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Siamo agli inizi del 900.
L’Italia è fatta, è uno stato neonato… Fino al 1909 (quando questi signori lavorano il territorio), la
legge dello stato italiano si appoggia completamente allo stato pontificio: secondo l’editto Pacca
quello che si andava scavando era da divide in tre terzi.
Un terzo allo scavatore, un terzo al proprietario del terreno e un terzo di diritto allo stato. Questi due
terzi, se lo scavatore e il proprietario coincidevano, lo Stato si sarebbe rivolto ad ‘una persona
unica. I due terzi potevano essere comprati da un museo straniero, diventavano così beni legalmente
acquistati.
Un esempio è la Tomba degli Ori: un terzo a Valle Giulia e due terzi al British Museum, nel
momento in cui lo Stato Italiano non aveva possibilità di acquistare i due terzi si è fatto avanti il
British Museum acquistando il bene legalmente (secondo le leggi dell’epoca).
Mentre in Italia vi era l’apertura dei fori italiani con la distruzione di tutto ciò che c’era di
medievale, all’estero vi era il filologo Wilamowitz che nel 1926: «Noi guardiamo sempre ancora
solo alla linea principale dello sviluppo: come cioè Roma scuote il dominio etrusco e in una lotta
vigorosa con le genti vicine reca sotto la sua signoria l’Italia [...] Così noi seguiamo sempre ancora
gli Annali di Livio, ma la storia d' Italia ha però un contenuto più ricco».
In un momento in cui l’Italia è andata in secondo piano, all’estero si continua un discorso teorico
partito dall’1800 con Micali e sviluppatesi anche nel periodo post unitario, portandolo su questioni
di ricostruzione storica.
Questi binari sono quelli su cui si fonda la disciplina ancora oggi, in altri termini, la lettura della
storia dell’Italia preromana vista dalla parte di popoli dell’Italia preromana.
Questo atto fondativo scritto da Wilamowitz viene accolto dal fondatore della disciplina, Massimo
Pallottino. Lui è il docente che ha fondato la disciplina a Roma ed è colui che si inventa la
disciplina incardinandola a livello accademico, prima come etruscologia e poi come etruscologia e
archeologia italica.
Nel’25 si crea il Comitato permanente per l’Etruria.
Nel’51 l’istituto di Studi Etruschi diventa l’istituto di Studi Etruschi e Italici.
Ancora oggi vi è un forte bilanciamento tra gli studi sull’Etruria e sui popoli italici.
Pallottino riprende Wilamowitz e va oltre, per lui la disciplina è “un’interpretazione storico
economica, storico politica ed etnica di queste culture alla luce dei dati extra-archeologici,
eventualmente tale da consentirci di spostare l’accento da un obbiettivo puramente archeologico
della ricerca ad una prospettiva di vera e propria ‘storia’ dell’Italia primitiva”: la sua è quindi una
disciplina storica a cavallo tra storia e archeologia, ma che ha le sue radici nell’archeologia.
Per quale ragione?
Perché noi siamo un popolo storicamente muto, abbiamo fonti indirette.
Pallottino lavora intensamente a questo progetto e il primo volume che scrive è “Genti e Culture
dell’Italia Preromana” 1981 e lo perfeziona con “Storia della prima Italia” 1984.
Se questo è il quadro, quali solo le fonti che possiamo utilizzare?
Fonti archeologiche (dirette)
Fonti epigrafiche (dirette)
Fonti storiche (indirette e quindi da maneggiare con cura)
FONTI ARCHEOLOGICHE (DIRETTE)
Comprendono il territorio, quindi l’analisi regionale (un conto è se sono nato in Pianura Padana, un
conto se sugli Appennini), insediamenti in tutte le loro forme e articolazioni (la topografia storica è
una parte fondante della disciplina storica), cultura materiale (moneta, coccio, architettura
monumentale) e ha necessità di un approccio metodologico chiaro.
Kossina sosteneva che “Le aree archeologiche culturali corrispondono indiscutibilmente con le aree
di un particolare popolo o tribù”.
Esempio: scavano l’aula dell’uni e trovano frammenti del telefono (cultura materiale), qualcuno
cercherà di capire il luogo in cui il telefono è stato prodotto, quindi prodotto in Cina, ma se io
applico quello che dice Kossina saremo tutti cinesi. La cultura materiale circola oggi come 2000
anni fa, i beni dell’antichità circolano, il bene materiale va classificato e non devo creare linee
interpretative che mi portano dal dato materiale al dato storico.
Il mondo antico non è un mondo statico, mi devo porre quindi delle domande, devo capire il
significato dell’oggetto.
Nel libro ci si chiede quali siano i significati che noi possiamo attribuire ad un oggetto, sono
multipli, pluristratificati e spesso si sovrappongono gli uni a gli altri e possono concernere per
esempio sessualità culture e ideologie.
Non c’è un singolo oggetto che non abbia più di un significato.
Allora cosa posso chiedere ad
un oggetto?
Noi
facciamo tutto questo ragionamento, ma cosa possiamo chiedere? Quali son i limiti che
noi dobbiamo dare alla nostra interpretazione storica partendo dal dato materiale?
T. J. Cornell si occupa della Roma arcaica, si pone un problema: gli storici e archeologi sono presi
dalla stessa attività, ma usano metodi diversi (lo scopo è sempre la ricostruzione storica), le fonti
scritte se disponibili non dovrebbero essere toccate dagli archeologi (stesso discorso vale per le foni
archeologiche con gli storici). Tuttavia cercare di scrivere una storia archeologica non va bene.
Le fonti archeologiche e le fonti testuali danno risposta a tipi di domande fortemente diverse e
cercare di combinarle forzosamente è difficile e a tratti rischioso e porta a una ricostruzione
sbagliata.
RICORDA: 396 a.C. conquista romana di Veio, prima città etrusca che cade, è un salto di qualità
nella percezione che le popolazioni italiche hanno nei confronti della potenza romana.
Veio è una metropoli e leggendo l’annalistica romana Veio e Roma sono di pari livello.
Roma conquista Veio per la conquista delle saline alla foce del Tevere, alla fine Veio soccombe
dopo una guerra decennale.
FONTI EPIGRAFICHE (DIRETTE)
DOVE e QUANDO
Siamo nel primo millennio a.C. che ha un momento che fa parte ancora della protostoria e un
momento molto lungo in cui noi ne siamo usciti.
La differenza tra protostoria e storia è la scrittura, in Italia preromana si scrive dalla metà del
settimo secolo a.C. e in Italia la scrittura arriva con i coloni greci, con la prima colonizzazione greca
e quindi zona Ischia.
La scrittura ha vari livelli di velocità perché non in tutte le regioni dell’Italia preromana si comincia
a scrivere nello stesso momento e non tutte cominciano proprio a scrivere (come i liguri) ma
l’acquisizione della scrittura è sicuramente un fenomeno più alto, infatti cominciamo ad avere le
primissime iscrizioni a fine ottavo secolo a.C. (soprattutto in ambito etrusco, ricordiamo che noi
vediamo le scritture quando c’è un supporto scrittorio non deperibile).
Stéphane Bourdin si è preso la briga nel 2012 di guardare le lingue dell’Italia preromana e vediamo
regioni come gli Equi (o tutte quelle che iniziano a scrivere nel II secolo a.C.) iniziano a scrivere: i
greci colonizzano l’occidente e hanno con loro un potente strumento, la scrittura, e le popolazioni
indigene ne acquisiscono l’alfabeto e lo modificano a seconda delle proprie necessità linguistiche
(l’etrusco non ha la lettera O, quindi prende l’alfabeto euboico in cui la O c’è ma, poiché
evidentemente la lingua etrusca non ha la necessità della O a livello di pronuncia, essa cade e mette
la lettera U)
La colonizzazione greca in occidente ha a che fare con gli euboici.
I nostri alfabeti dell’Italia preromana derivano tendenzialmente dall’alfabeto euboico modificato:
ecco l’impatto della colonizzazione greca in occidente.
Le iscrizioni dell’Italia preromana sono state raccolte recentemente in 3 volumi a cura di Crawford
ed a ogni iscrizione viene dedicata una scheda in cui c’è: il luogo di ritrovamento, la datazione di
massima, la foto ove possibile, il testo trascritto e un’ipotesi di traduzione… Tutto questo tranne che
per due, falisco ed etrusco.
Le iscrizioni sono di varia natura, si va dalle singole lettere ai singoli documenti (Esempio: penna di
sant’Andrea, Stele del V sec. a.C.) e vi analizziamo due parole: Safirus (dicitura italica di sabini);
ricordiamoci che li conosciamo con i nomi dati dagli storici latini.
Quindi, quando andiamo a vedere come si chiamavano tra loro, spesso e volentieri vi è una
discrasia: i Tusci (etruschi) per esempio, si chiamavano tra loro Rasna (lo sappiamo dalle iscrizioni)
e in questo caso invece vi è una sovrapposizione tra i Sabini e i Safini.
Un altro dettaglio per la quale queste iscrizioni posso essere utili è il tipo di ordinamento socio-
politico, che caratterizza queste popolazioni, quindi non aspettiamoci l’uniformità delle città, perché
la forma urbana arriva tardissimo.
Com’era prima della forma urbana? C’è una realtà che va al di là del singolo villaggio?
Si, la TOUTA: è una lega tra quelle che saranno le diverse città, iscrizioni di questo genere sono la
fonte primaria per la ricostruzione storica, ma di quelle molteplici iscrizioni solo una parte ha questa
funzionalità, le altre sono molto limitate e hanno a che fare con l’onomastica perché sono iscrizioni
funerarie (tombe di Orvieto= iscrizione di chi vi era sepolto).
Alcune di queste iscrizioni vengono lette ma non capite infatti l’etrusco è letto ma non decifrato
perché è una lingua non europea.
Ma allora perché riusciamo a leggerle?
Perché l’origine dell’alfabeto è greco, quindi chiunque sappia il greco è in grado di leggere
un’iscrizione dell’Italia preromana, laddove è indoeuropea riesco anche a capirne il significato,
mentre siamo in grado di capire tutto ciò che è di matrice italica.
Hanno mai espresso un loro tipo di letteratura?
Un certo tipo di complessità epigrafica va in quella direzione e le fonti latine e ci dicono che
esistevano testi in etrusco, persi, probabilmente racconti di storia locale.
FONTI STORICHE (INDIRETTE)
Noi usiamo:
la tradizione geografica greca,
o la tradizione storica greca coloniale,
o la tradizione annalistica romana,
o la tradizione “antiquaria” romana.
o
Va tenuto in considerazione però che per il 95% sono fonti del tutto indirette tenendo conto che la
nostra ricostruzione deve essere dalla parte delle popolazioni che abitavano l’Italia preromana.