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THE CONTEST”,
conteso ma è un rapporto di finzione, fingo che mi interessi il contesto ma le dimensioni del
progetto non permettono nessun tipo di legame stretto.
Nel 2001 Koolhaas pubblica un saggio intitolato Junkspace, pubblicato all’interno di un libro
successivo, una grande ricerca fatta insieme alla scuola di architettura
Guide to Shopping,
dell’università di Harward. Sostiene che lo shopping è diventato parte centrale della vita odierna, è
un differenziale di cose, materiali o meno, che passa da una persona all’altra.
Riflette su cosa rimarrà dell’architettura moderna del Novecento, non rimarrà tanto l’oggetto in sé
ma lo ovvero ciò che resta dopo che la modernizzazione ha fatto il suo corso, o
spazio spazzatura,
meglio, quello che si coagula mentre la modernizzazione sta facendo il suo corso. Il junkspace è
l’essenza, ciò che conta, può essere visto come il punto di incontro tra la scala mobile e il
condizionatore, entrambi chiusi in un nucleo di cartongesso, elementi che non compaiono nei libri
di storia, in questo passaggio è presente anche dell’autocritica. È sempre uno spazio interno, non
ha qualità particolari, è uno spazio ingannatorio.
La presente in copertina, è un elemento emblematico creato ad hoc per invogliare e
scala mobile,
permettere al consumatore di fare ciò che vuole senza sforzi. Permette di guardare lo spazio
circostante liberi da impegni, va incontro a ciò che vuole lo shopping.
L’aria condizionata diventa elemento obbligatorio in spazi di queste dimensioni, se l’architettura
separa, l’aria condizionata unisce, dando luogo a spazi pressoché infiniti.
Il cartongesso, infine, è emblema di muri ingannatori, non sono più portanti, costituisce degli spazi
fasulli di cui ci si nutre quando si è all’interno di quegli edifici, costituiscono una verità di
cartongesso.
Il junkspace è sempre uno spazio interno di cui non ne vediamo i limiti, ambiente senza qualità,
promuove il disorientamento con ogni mezzo, specchi e superfici lucide, è sigillato e tenuto
insieme non dalla sua struttura ma dalla sua pelle.
Fig. 212 - OMA, Junkspace, Interno Eurolille, 2001.
OMA fin dal suo principio rovescia la linea, il (buon) senso comune, per trovare la verità che sta
sull’altro lato della medaglia, si vede anche nel primo logo che sopra riporta l’uovo di Colombo
(sinonimo dell’idea ma anche di un legame con l’America) dal quale esce il grattacielo, rivelazione
della cultura americana.
Durante i suoi studi va negli Stati Uniti per compiere la sua prima ricerca, Delirious New York, in
cui Koolhaas si occupa di una New York molto diversa da quella attuale, sporca, pericolosa e
violenta, è una città che però secondo lui contiene un vistosissimo segreto, il grattacielo. In
copertina il “Fragrante Delitto” di due grattacieli, emblema ironico delle vicende newyorkesi,
l’Empire State Building e il Chrysler Building, a letto insieme e scoperti dalla pila di un poliziotto.
Rem trova la sua teoria in America, scopre che il fondamento dell’architettura americana, il
grattacielo, corrisponde a un oggetto perfetto per unire quelle differenze che sono presenti sia in
Europa che nella sua futura architettura. La ricerca è svolta collezionando molte cartoline
popolari, nel libro è ricorrente lo sfruttamento della congestione, mettere tante cose diverse
insieme, questo è quello per cui si ama la città, la sua intensità, la congestione. Va contro a quelle
idee di decongestionamento portato aventi dagli architetti del Movimento Moderno. Coney Island è
sede di un laboratorio sperimentale, quasi divertente, di ciò che verrà fatta successivamente a
Manhattan con serietà.
La progetto mai realizzato in cui vengono uniti i dei due miti newyorkesi, la verticalità
Globe Tower,
del grattacielo e la continua fame di spazio e volume, diventa un grattacielo che è sia alto che
tozzo, dentro alla sfera è presente un parco divertimenti. L’unica cosa realizzata sono i piloni delle
fondazioni.
Partendo dal fenomeno casuale o senza interpretazione e senso, si arriva al concetto. Nel teorema
si mostra la sommità di un grattacielo di 80 piani, ci si immagina la vita a quelle altezze.
del 1909,
Rappresentata come una sezione di una struttura metallica all’interno della quale ci sono paesaggi
e ville differenti, Rem desume che potenzialmente il grattacielo potrebbe avere uno scisma
ovvero una sconnessione logica tra un piano e l’altro, non si richiede una coerenza di
verticale,
utilizzi. Il grattacielo diventa il luogo unificante di tante cose diverse, un altro principio che teorizza
è la ovvero la separazione tra interno ed esterno, come le facciate dei grattacieli
lobotomia,
americani, che rappresentano un’unica veste per molte cose differenti.
Un altro edificio a cui dedica attenzione è l’Equitable Building, visto come un campanello di
allarme del fatto che l’estrusione dello stesso piano porta rapidamente alla saturazione della città,
non solo al suolo ma anche nella sua altezza.
Recupera una foto del ballo in maschera delle Beaux-Arts, intitolato all’idea dello skyline di New
York, in cui gli architetti vengono chiamati sul palco e travestiti come i grattacieli che hanno
progettato. Tutti gli architetti ad eccezione del progettista del Chrysler Building indossano lo
stesso costume e si differenziano solo per il ovvero la parte terminale dell’edificio.
cappello,
Koolhaas desume da questo che le leggi regolative del grattacielo sono la materializzazione del
mercato capitalistico, in cui non importa più la qualità dell’architettura se non nella terminazione,
unico elemento in cui può esprimere una autorialità. I grattacieli sono animati tutti dalla stessa
necessità, volumetria e bisogno di spazio affittabile.
Infine, nella viene rappresentato un momento in cui gli United Architects,
mossa di Corbett,
gruppo di architetti americani, si riuniscono intono ad un tavolo per discutere
dell’operazione immobiliare del Rockfeller Centre, simulando quasi una partita a scacchi,
dove la pedina è rappresentata dal grattacielo.
OMA partecipa al concorso per la realizzazione del Parc de la Villette, in cui presenta un
progetto emblematico, in cui si ripropone l’idea di grattacielo
Congestion Without Matter,
smaterializzato, del quale passa solo il concetto di congestione contenuto al suo interno.
Suddivide il parco in tante fasce di terreno, ognuna delle quali è occupata da un modo
diverso di trattare la natura, l’unità del parco viene divisa in tanti suoi possibili utilizzi. Il
parco diventa un grattacielo orizzontale, che conserva l’idea di scisma e lo riversa sulle
sue parti, l’obiettivo è offrire il massimo delle differenze partendo dall’unità.
Fig. 213 - OMA, Parc de la Villette, Parigi, 1982.
Il primo progetto di Koolhaas è Exodus, una fascia inserita in modo radicale e violenta una
parte centrale di Londra. All’interno di un doppo muro allestisce diversi palcoscenici
quadrati che offrono un potenziale utilizzo e divertimento della città. Uno di questi scenari,
ad esempio, prevede che una parte di città non subisca più modifiche, rimanendo
congelata in una sorta di capsula del tempo a testimonianza di un’epoca, un altro delle
terme romane per la cura del corpo, un palcoscenico, un parco, ecc.
Fig. 214 - R. Koolhaas, E. Zenghelis, Exodus or The Voluntary Prisoners of Architecture, 1972.
Questo progetto deriva da una delle prime esercitazioni fatte da Koolhaas all’interno
dell’AA School, in cui veniva chiesto di analizzare graficamente e fotograficamente un
edificio storico e illustrandolo in aula. Mentre tutti si concentrano su edifici importanti
Koolhaas decide di portare come caso il Muro di Berlino, struttura militare utile a
contenere di un flusso tra Berlino est e ovest. Koolhaas utilizzerà alcune immagini che
aveva prodotto e recuperato, mostrando fin da subito un talento per il collage. Mette
insieme, ad esempio, immagini del Muro di Berlino, di Metropolis, una simil radiografia
moltiplicate più volte dell’Empire State Building, ecc. creando un’idea di città separata da
muri, dove all’esterno c’è la città liberista e capitalista, all’interno invece c’è l’idea di
offrire ai prigionieri volontari dell’architettura delle possibilità che la città all’esterno non
dà. È vero da un lato che la città capitalistica è la città delle occasioni, però in fondo non
succedono cose molto diverse da quelle che succedono all’interno del muro.
Viene realizzata anche un’immagine che mostra il punto di passaggio tra le due città, che
nella deformazione della realtà immaginata da Koolhaas viene chiamato C’è un
reception.
richiamo anche a Mies van der Rohe con i marmi utilizzati nel padiglione di Barcellona.
L’idea generativa alla base di Exodus è il progetto Monumento continuo di Superstudio del
1969, nel quale, molto ironicamente ed enigmaticamente, veniva pensata una struttura
senza inizio o fine e senza senso, come una grande architettura in acciaio e vetro priva
aperture o funzione. Critica radicale e negativa dei grattacieli acciaio e vetro che venivano
costruiti, in questo caso, a New York. È un tipo di architettura consapevolmente negativa
che ha come scopo il mettere in mostra un problema.
Fig. 215 - Sopra: R. Koolhaas, E. Zenghelis, Exodus,1972. Sotto: Superstudio, Monumento continuo, 1969.
Nelle pagine finali di Delirious New York viene presentato un quadro fatto dalla moglie di
Koolhaas, La Città del Globo Prigioniero, in cui si riporta il concetto proprio del grattacielo
in termini alternativi. Viene formulato attraverso la lezione newyorkese dei ovvero
blocks,
degli isolati che in una griglia di strade si staccano l’uno dall’altro ospitando un episodio
singolare, come fosse un insieme di solisti. Il pianeta Terra è posto al centro, a
fondamento di tutto questo, e conferma la centralità del luogo. Intorno sorgono dei podi in
marmo, ulteriore richiamo a Mies, sopra i quali vengono adagiati i che attraversano il
miti
Novecento: i grattacieli cruciformi del Plan Voisin di Le Corbusier, i planiti di Malevic, uno
degli edifici del Rockfeller Centre, l’ago e la sfera, uno dei simboli dei New York Fair del
’39, il rifacimento di un quadro di Dalì che diventa scultura, tante cose diverse dentro
quella griglia che ospita e tiene insieme tutto. In fondo è questa la città americana, in tutta
la sua americanità, non ha radici o stor