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MITI E RITI
Secondo molti studiosi per spiegare cos'è la religione si può usare come base il
binomio rito-mito, binomio fondamentale per la comparazione. Il rito e il mito sono
elementi della religione che hanno un legame molto stretto con il tempo in quanto il
mito da senso al tempo mentre rito gestisce il tempo. Se si volesse dividere i miti in
categorie si potrebbero individuare quattro tipologie di miti:
1) Cosmogonici. Che parla, cioè, della creazione del mondo. Questa tipologia di
mito risponde alla necessità di comprendere l'origine della Terra e degli esseri
viventi.
2) Teogonici. vengono definiti così i miti che parlano delle origini delle divinità;
che possono nascere da elementi naturali, da alti dei (è presente spesso una
sorta di gerarchia da dei) oppure attraverso le elezioni a divinità di esseri
umani. Questi miti rispondono alla necessità di immaginare/vedere le
divinità, ma anche di conoscere la loro vita.
3) 3)Antropogenici. Sono definiti così i miti che narrano l'origine dell'uomo.
4) Escatologici. Questa è la tipologia di miti che si occupa della fine del mondo.
Anche i riti, così come i miti, possono essere classificati, anche se si tratta solo di una
convenzione, in quattro categorie:
1) Festival/rituali stagionali cioè riti/feste che aiutano ad organizzare il tempo. Se
si prende tempo di riferimento un anno spesso il corrispondono con cambio
delle stagioni Infatti, nella maggior parte dei casi, queste ricorrenze
discendono da usanze più antiche legate all'agricoltura. prendendo come
punto di riferimento un anno un altro esempio di rituali di questo tipo può
essere il capodanno, che varia da cultura a cultura ( il Capodanno, cinese,
ebraico, persiano ecc…). prendendo come tempo una settimana si può parlare
del venerdì, del sabato o della domenica, giorni sacri rispettivamente per
musulmani, ebrei o cristiani, che si ripetono ogni settimana.
2) Riti di crisi cioè quei riti che sono compiuti una tantum e sono connessi a
periodi di crisi; possono essere ripetuti nel tempo sia per prevenire che per
ricordare.
3) Riti collettivi e privati che non sono altro che rituali compiuti in collettività o
individualmente per esempio la preghiera.
4) Riti di passaggio che prendono come riferimento l'intera vita di una persona.
I riti di passaggio sono dei riti che testimoniano dei cambiamenti individuali e
collettivi, costituiscono un argomento molto diffuso nelle comparazioni, in quanto
sono presenti in tantissime religioni (riti di nascita, di iniziazione/passaggio all’età
adulta, di matrimonio e riguardanti la morte).oltre a questo a loro volta prevedono 3
fasi:
1) Una fase detta “di separazione”
2) Una fase detta “liminale”
3) Una fase “finale”
La prima fase prevede l’abbandono dello stato precedente. In questa fase il soggetto
dovrà dimostrare alla comunità di essere in grado di essere in grado di cambiare.
Spesso a questo punto può avvenire un allontanamento oppure il semplice
abbandono dei simboli e delle caratteristiche che si avevano prima. Durante la
seconda fase si perde lo status precedente senza che ne venga acquistato uno
nuovo. Questo è un momento molto delicato, ma fondamentale, infatti senza di
esso non potrebbe avvenire il cambiamento. C’è poi l’ultima fase, testimoniata
spesso da cambiamenti corporali: oggetti e segni tipici del nuovo status.
Tra i vari riti esistenti ce ne è uno che è considerato particolarmente importante: il
sacrificio. Il sacrificio è un tipo di rituale, presente in molte religioni, che include
l’allontanamento o la distruzione (può andare dalla distruzione di oggetti inanimati
come il cibo, all’uccisione di animali o esseri umani) e che mette in comunicazione
l’extraumano con chi compie il rituale. Il sacrificio è un rito talmente importante da
essere stato utilizzato, a volte, insieme al già citato binomio mito-rito come modo
per spiegare cos’è una religione.
Parlando di rituali e festività si può prendere come esempio l’esperienza giudaico-
cristiana e in particolar modo il “Levitico”. Il Levitico, che prende il nome da “Levi”
(la tribù ebraica da cui venivano i sacerdoti) è uno dei libri che costituiscono il
Tanakh ed è formato dall’insieme delle leggi sacerdotali. Nel capitolo 23 il Levitico si
occupa delle feste dell’anno, tra cui se ne distinguevano tre (legate all’agricoltura):
la festa degli azzimi, la mietitura e il raccolto. Queste 3 festività, nel corso del tempo,
hanno assunto significati e nomi diversi legati alla storia degli ebrei:
• La festa degli azzimi celebra la Pasqua
• La festa della mietitura celebra l’alleanza delle dieci tavole
• La festa del raccolto celebra il soggiorno nel deserto. Questa festa viene anche
chiamata “festa delle capanne” in ricordo delle capanne costruite nel deserto
dopo la liberazione dall’Egitto (inizialmente venivano fisicamente costruite
delle capanne per celebrarla)
Altre festività ebraiche possono essere:
• Il capodanno, che prevede un periodo successivo di 10 giorni caratterizzato da
penitenze e digiuni che termineranno con la festa del Yom kippur
• L’Hanukkah
• Il Purim. il Purim è stato per tanto tempo interpretato in modo errato come il
"carnevale" data la loro consuetudine di travestirsi durante questa festa. la
motivazione di questa usanza è da ricercare in un testo del Tanakh chiamato il
"libro di Ester"; qui si racconta di Aman un principe alla corte del re Assuero
che avrebbe tentato di sterminare il popolo ebraico e che sarebbe stato
fermato proprio da Ester moglie del re Assuero ed ebrea. una delle
particolarità di questa festa e che viene letto il libro di Ester e quando si legge
il nome di Aman si cerca di fare più chiasso possibile. questa usanza può
essere ricollegata all'importanza del tabù della parola di Frazer.
Sempre parlando del mondo sacerdotale Ebraico ci si può concentrare sul rito che
accompagnava l’elezione del Sommo Sacerdote (ad Israele tutti i sacerdoti erano
uguali tranne uno, il sommo Sacerdote appunto, che era superiore agli altri). Questo
rito prevedeva l’unzione con l’olio sacro; la particolarità era, però, che lo stesso tipo
di olio veniva usato per consacrare anche il re. È evidente, quindi, che questo
oggetto, che conferiva il Carisma ad entrambe le figure, legittimava sia il potere
spirituale che temporale. Qui va ricercato uno dei motivi per cui Cristo (cristo
significa “unto”) venne visto come inaccettabile: non era un pericolo esclusivamente
religioso, ma soprattutto politico. Nel corso del tempo c’è una regola che si è
sviluppata per quanto riguarda i riti religiosi e che si applica in particolar modo per
l’ebraismo:” I riti si devono adattare alla situazione che si vive”. Infatti, con la
distruzione nel 70 d.C. del tempio è venuta meno la possibilità di compiere
determinati riti (almeno fino a quando non ci sarà l’arrivo del nuovo messia e quindi
potrà essere rifondato il “tempio”). Questo perché la sinagoga è un semplice luogo
di preghiera e al suo interno non può avvenire un “Olocausto”. A tutto ciò si deve
aggiungere che non i tutti i paesi è permesso o anche solo fisicamente possibile
portare avanti determinate pratiche: nel caso degli Ebrei è logico che in aree come
Manhattan (dove c’è una comunità ebraica molto grande) è impossibile compiere,
per esempio, il rito del Capro espiatorio.
L’INDUISMO
Il termine “Hindu” è un termine di origine persiana utilizzato per la prima volta nel V
secolo a.C. per indicare le persone che vivevano lungo il fiume “Indo”.
Quest’espressione verrà poi ripresa da Alessandro Magno e successivamente, tra il
XII e il XIII secolo dai musulmani che arrivarono in India per indicare le popolazioni
locali, accomunate dal fatto che non erano cristiani, ebrei o musulmani. Nel XIX
secolo l’East Indian company utilizzerà il termine “Hinduism” per indicare la
religione degli indigeni. È evidente, sapendo ciò, che il mondo che era entrato in
contatto con i culti presenti in India non si sia accorto delle differenze che vi erano
tra di loro e li abbia accorpati tutti insieme basandosi principalmente su criteri di
similitudine per negazione: appunto non si sa come definirli in quanto non sono né
ebrei né musulmani né cristiani. Per dirla in altre parole si sa cosa non è. Ad un certo
punto si cercherà di studiare l’induismo in positivo: “che cos’è?”. Dato che non si
riusciva a dare una risposta precisa a questa domanda inizialmente verranno
utilizzate una serie di metafore, tra cui quella del “Fico del Bagnan”. Bisogna tenere
presente che quest’immagine, che verrà usata finché non si cercherà una
comparazione con il cristianesimo, tentava di spiegare come una ed unica una
religione che in realtà era formata da un gruppo eterogeneo di culti diversi che,
però, avevano dei punti in comune:
• Teoria della retribuzione degli atti (Karman)
• Ciclo della rinascita (che prevede però la possibilità della fine di questo ciclo)
• Accettazione dei veda
Tra i fedeli c’è un termine più comune per riferirsi all’induismo: “Sanātana Dharma”.
Il Sanātana dharma, traducibile come dovere/legge eterna, è nato dall’incrocio tra
una civiltà autoctona che probabilmente era lì da millenni e civiltà indoeuropee. Si
potrebbe definire come un tentativo di interpretare/creare un insieme di pratiche
che hanno in comune una territorialità, una lingua e credenze preesistenti. I testi più
importanti dell’induismo sono i “Veda”. Redatti in un periodo tra il 1500 e il 400 a.C.,
i veda affrontano moltissimi temi: al suo interno troviamo sacrifici cruenti (specie
del cavallo), divisione in demoni buoni e cattivi, ma soprattutto, all’interno dei
Risveda (la raccolta più antica dei Veda), troviamo per la prima volta la divisione
della società in Varna. I Varna sono una sorta di classi, rappresentate da dei colori,
che non sono basate tanto sulla ricchezza quanto sul mestiere. La base di questa
divisione si trova nel mito del sacrificio dell’ “uomo primordiale”: Purusha. Purusha
è, come detto, l’uomo primordiale che si sacrifica; dal suo scarifico ¼ de suo corpo
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