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MAGISTRATURE INTERMEDIE

1. edili: da distinguersi in

- edili curuli (2);

- edili plebei (2/4).

2. tribuni della plebe (10): nascono come rappresentanti del concilio plebeo e non come magistrati, ma lo

diventano dopo il pareggiamento degli ordini nel 287 aC. Durante la guerra annibalica, avranno il diritto di

convocare il senato. Possono:

- opporre il proprio veto agli atti di tutti i magistrati, mentre gli altri magistrati possono opporre il veto solo

agli atti dei colleghi o dei magistrati minori;

- richiedere la provocatio qualora un magistrato, esercitando la propria coercitio, minacci l’integrità fisica di

un cittadino romano. La questione sarà oggetto di ulteriore consolidamento nel II secolo aC con

l’approvazione delle leggi Porciae.

MAGISTRATURE MINORI

1. quaestores: nel I secolo aC ne erano eletti 20 all’anno, per una strategia finalizzata al ricambio

nell’accesso al senato, ma fino al II secolo aC ne venivano eletti 10.

2. viginti sex viri (26): dal III secolo vengono eletti 26 magistrati minori con il compito di svolgere funzioni

pratiche per la tenuta dell’Urbe. Possono accedervi gli uomini ancor prima di candidarsi alla questura, ma

dopo aver assunto la toga virile, che si ottiene intorno ai 17 anni con una procedura che prevede l’inspectio

corporis, fatta da una specie di sacerdote.

Sono divisi in:

- 10 decemviri stlitibus iudicandis: amministrazione di cause di minima entità;

- 3 tresviri capitales/nocturni: funzione di vigilare sulle strade dell’Urbe di notte per evitare che avvengano

una serie di fatti di sangue. Possono combinare la pena capitale qualora si verifichi uno di questi fatti;

- 3 tresviri monetale: compito di sorvegliare e dirigere il lavoro della zecca pubblica, affiancando un

questore;

- 4 praefecti Capuae Cumis: dovevano andare ad amministrare la giustizia in affiancamento al pretore

urbano nel distretto di Capua e Cuma, densamente abitato di cittadini romani;

- 4 quattuorviri viis extra urbem purgandis: si occupano della pulizia delle strade esterne alla città di Roma;

- 2 duoviri viis urbis purgandis: si occupano della pulizia delle vie della città in affiancamento agli edili

curuli. 30

Tutte queste sono magistrature di scarsa rilevanza, ma servono a dare personale di apparato ai vari magistrati,

ovvero ai questori, agli edili e al pretore urbano.

3. magistrati municipali: esterni all’Urbe.

Dopo aver preso la toga virile, i cittadini dovevano guadagnarsi 10 anni di stipendia, ovvero di servizi

prestati in campagne militari, per poi candidarsi per uno dei 26 posti. Questi sono eletti in una particolare

forma del comizio, che è il comizio tributo, ovvero una sorta di concilio della plebe, perché si riunisce

secondo lo schema del concilio della plebe, ovvero secondo una divisione in tribù, ma vi partecipano anche i

patrizi.

I censori sono gerarchicamente al di sotto del senato, ma al di sopra dei consoli, perché sono essi stessi ex

consoli. Sono eletti in numero di 2, e restano in carica 5 anni. I loro compiti sono:

- fare il censimento;

- occuparsi della lectio senatus;

- assegnare e dare in affitto la terra e i beni immobili di proprietà della res publica.

I censori, normalmente eletti fra i consolari, sono il vertice del cursus honorum, ma sono esterni ad esso in

quanto autonomi rispetto al senato.

I magistrati prorogati nell’imperio, ovvero i proconsoli, i propretori e i proquestori, sono consoli che

hanno portato a termine loro carica, ma ricevono una proroga dell’imperium con una funzione più precisa,

normalmente l’amministrazione di una provincia.

Al di fuori di questo schema possiamo lasciare la dittatura e altre magistrature straordinarie che si vanno di

volta in volta a creare di fronte ad esigenze pratiche, perché questa è la piramide del certus ordo

magistratum, volgarmente detto cursus honorum, ovvero il corso normale delle magistrature.

Sotto Augusto, nel 17 aC, con la riforma del processo civile, i viginti sex viri saranno ridotti a 20: vennero

eliminati i 4 praefecti Capuae Cumis e i 2 duoviri viis urbis purgandis, mentre i restanti saranno eletti fino a

tutto il II secolo dC.

Questa piramide si viene ad instaurare dopo il 180 aC con l’approvazione della lex Villia annalis, che

stabiliva la sequenza di accesso alle magistrature e ribadiva il divieto dell’immediata reiterazione della

carica: ci si poteva candidare alla medesima carica solo dopo 10 anni e per avere un’eccezione sarebbe stato

necessario ottenere una deroga speciale dal senato, unico organo in grado di deliberare la sospensione delle

leggi pubbliche.

Questo schema conosce però delle eccezioni: infatti, si sono affermate durante la res publica delle dittature.

Francesco De Martino parla di “aberrazione del sistema istituzionale romano” in riferimento alle dittature

eccezionali di Silla e di Cesare.

La dittatura è al di fuori del cursus honorum: è una magistratura straordinaria perché legata a una

contingenza tale per cui si ha la necessità di intervenire. Il dictator era affiancato da un magister equitum,

non sempre scelto dal dictator.

Il principato è una trappola in quanto ci racconta la storia di un potere monarchico travestito da potere

repubblicano: nel 27 aC, Ottaviano fa un discorso al senato in cui afferma di voler ripristinare le garanzie

repubblicane, che durante le guerre civili erano venute meno, restituendo tutto il potere al senato.

Nella piramide dei poteri, il principato è un potere che deriva dal senato con l’approvazione del popolo,

apparentemente affiancato alla piramide del cursus honorum, ma ha un margine di autonomia tale che

prenderà decisioni, che sostituiranno tutti i poteri dei vari magistrati, tramite i suoi funzionari. Alcune

province, dette provinciae Caesaris, vengono affidate ad Augusto dal senato e queste vengono a loro volta

affidate da esso a figure che non sono proconsoli o propretori, ma sono dei legati Augusti propretore, che

hanno un imperium minus, derivante non dal senato ma dal principe, e che possono restare in carica quanto

decide il principe. Questo porterà alla costruzione di un apparato burocratico che si muove parallelamente

all’apparato dei poteri repubblicani, portando allo sviluppo di uno sdoppiamento del sistema dei poteri tra

poteri imperiali e poteri repubblicani. 31

APPROFONDIMENTO

Le funzioni della pena nell’ordinamento giuridico romano

La pena consiste in una conseguenza negativa, che l’ordinamento impone quando vengono commesse

determinate categorie di azioni punite per la loro gravità dal diritto penale: si tratta di sanzioni pesanti, che

vanno ad impattare sulla libertà della persona. La sanzione penale ha avuto una diversa modalità di

estrinsecazione e di attuazione: nell’antichità, era molto diffusa la concezione della pena come punizione

corporale del condannato, tramite fustigazione o tortura. La sanzione più comune oggi è il carcere, poco

praticata in antichità, e diffusasi soprattutto dopo il 1700. La sanzione del carcere non è normalmente

assegnata dopo la condanna e il riconoscimento di colpevolezza: è una misura cautelare utilizzata per tenere

sotto controllo il presunto colpevole prima del processo. L’ordinamento antico non può concepire il

mantenimento dell’individuo, individuato come colpevole, e per questo era spesso accompagnato dallo

svolgimento di lavori forzati, chiamati dai romani condanna ad medalla.

La pena può avere diverse funzioni:

- funzione general-preventiva: la pena viene attribuita con lo scopo di garantire l’ordine sociale tramite la

deterrenza. Poiché l’ordinamento giuridico indica che per determinate azioni si può ricorrere in una pena,

la popolazione è disincentivata alla commissione del reato stesso;

- funzione rieducativa: l’art. 27 della Costituzione italiana, al comma 3, afferma che la pena non può essere

contraria al senso di umanità e deve tendere alla rieducazione del condannato. Ciò significa che il

condannato deve essere reintegrato nella società senza il rischio che commetta nuovamente il crimine per

cui è stato punito: la pena deve permettere condannato di comprendere che tale reato non deve essere

ripetuto (prevenzione specifica). La rieducazione, nella Costituzione italiana, consiste in un percorso di

reallineamento del condannato ai valori della società, permettendogli di interiorizzare la consapevolezza

profonda dell’errore commesso. Nel 1988, per la prima volta, tramite una sentenza della Corte

Costituzionale, il giurista pugliese Dell’Andro riuscì a far prevalere il principio di rieducazione sul

principio dell’“ignorantia legis non exscusat”: il fondamento della pena è la rieducazione ed essa viene

applica per recuperare il condannato ai valori sociali. Ci sono dei casi in cui chi commette il reato è

veramente inconsapevole di commetterlo, soprattutto in caso di norme fiscali: in materia di normativa

tributaria, è molto semplice sbagliare e, se chi commette il fatto non lo ha fatto colpevolmente e

consapevolmente, non è possibile per nulla applicare il principio della rieducazione;

- funzione retributiva: questa funzione si è storicamente storicamente affermata più delle altre. Si tratta della

funzione espressa dai giuristi romani tramite l’espressione “malum passionis propter malum actionis”: una

sofferenza o un male, percepibile da chi ha trasgredito, è conseguenza di una cattiva azione commessa. Le

XII Tavole stabiliscono la possibilità per le vittime di reati di avvalersi della legge del taglione: questo

rappresenta un forte limite alla spirale di violenza che si sarebbe inscenata dalla libera vendetta privata.

Questo è necessario perchè non esiste un apparato statuale, in grado di farsi carico della condanna e della

punizione del criminale: le XII Tavole rappresentano in questo senso un’importante evoluzione del diritto.

La logica della vendetta, dunque, sta alla base della funzione retributiva della vendetta.

I romani, così come tutto il mondo antico, conoscevano bene la funzione rieducativa, chiamata emenda: una

volta commesso un reato, si riconosce la propria colpa e tramite alcune azioni si c era di rimediare ad essa, in

un processo che oggi verrebbe definito rieducativo. Inizialmente gli studiosi affermavano che le fonti relative

a questa forma di pena risalgono prevalentemente ai secoli dell’ultima fase dell’impero, durante i quali la

cultura cattolica, grazie al radicamento della gerarchia ecclesiastica negli apparati dello Stato, si era

affermata insieme a tutti i suoi principi. In tale fase, le fonti principali del diritto diventano le costituzioni

imperiali, ovvero delle disposizioni del princeps: la costituzione dell’imperatore Graziano del 383, raccolta

nel codice teodosiano, tratta dell’emenda in relazione all’i

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Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher eleonora0222 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Macerata o del prof Buongiorno Pierangelo.
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