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Questi progetti rappresentano un momento di transizione nell'architettura romana tra il tardo barocco e
il neoclassicismo, con architetti che reinterpretano e mescolano elementi delle tradizioni precedenti in
nuove composizioni creative e innovative. La diversità di proposte evidenzia la complessità e la ricchezza
del contesto artistico e architettonico dell'epoca.
Alessandro Galilei (1631-1737) fu un architetto che, pur lavorando principalmente in Inghilterra, tornò a
Roma per contribuire a importanti progetti architettonici. La sua facciata di San Pietro del Maderno,
realizzata tra il 1732 e il 1735, si distinse per la sua innovativa interpretazione della facciata preesistente,
che si caratterizzava per una serie di partiti colonnari. Galilei, con grande maestria, riuscì a perforare
questa facciata, mantenendo l'integrità dell'architrave mediano, delle arcate superiori e del secondo piano
del portico. Questo nuovo approccio, che bilanciava riferimenti al San Pietro del Maderno e al Palazzo
dei Conservatori, incluse anche elementi classici.
Nel suo progetto, Galilei integrò una Serliana per la loggia delle benedizioni, un motivo architettonico
associato a Sebastiano Serlio, che consisteva in un arco aperto con due ante rettilinee. La sua facciata
presentava un disegno riconoscibile e facile da interpretare, caratterizzato da un pronao tetrastilo
schiacciato e una sorta di facciata "bucata" che creava un effetto di leggerezza e trasparenza. Utilizzò
pietra in travertino e specchiature in marmo per dare vita a un effetto di cameo su alcune parti della
facciata.
Galilei riuscì ad evolvere la facciata verso una dimensione scultoreo-pittorica, mantenendo una grande
pulizia nella trabeazione e un disegno raffinato delle colonne corinzie. Le basi delle colonne, ispirate al
modello attico, erano particolarmente curate e pulite. Un elemento distintivo della sua facciata fu l'uso
innovativo della Serliana, integrata con colonne leggere e una disposizione che conferiva equilibrio alla
struttura.
La facciata di San Giovanni dei Fiorentini, realizzata tra il 1732 e il 1735, seguì l'impostazione
architettonica di San Giovanni in Laterano, con riferimenti alle opere di Maderno e Rainaldi. Ogni
colonna e parasta furono posizionate con sobrietà, riflettendo l'attenzione all'equilibrio e alla
proporzione.
Antonio Canevari progettò il Bosco Parrasio dell'Arcadia Romana al Gianicolo nel 1725, inserendo con
cura un'architettura in un paesaggio scosceso, cercando di mimetizzarla e integrarla con l'ambiente
naturale circostante.
Nicola Salvi, esponente significativo dell'Arcadia, vinse il concorso per la composizione della Fontana di
Trevi, realizzando un'opera maestosa che integrava elementi mitologici e architettonici con grande abilità.
Progettò anche la chiesa di Santa Maria in Gradis a Viterbo tra il 1737 e il 1742, caratterizzata da
un'elegante architettura che richiamava l'impronta greco-ellenistica
Fernando Fuga, conosciuto anche come "Dedalo Ippodromatico", realizzò la facciata di Santa Maria
Maggiore nel 1740-1741, che presentava un'integrazione innovativa di elementi architettonici,
concentrandosi sul partito centrale e utilizzando una varietà di stili e dettagli ornamentali.
Questi architetti e i loro progetti rappresentano una fase cruciale nell'evoluzione dell'architettura barocca
verso il neoclassicismo, con un'attenzione particolare alla reinterpretazione e all'innovazione dei motivi e
degli stili precedenti. La loro capacità di bilanciare tradizione e innovazione ha contribuito a plasmare il
panorama architettonico di Roma nel XVIII secolo.
Continuità del borrominismo a Roma nella prima metà del ‘700: D. Gregorini
(1695-1782) e G.Valvassori (1683-1761)
Il restauro della Basilica di Santa Croce in Gerusalemme, eseguito da Domenico Gregorini tra il 1741 e il
1744, rappresenta un importante esempio di continuità del borrominismo a Roma durante la prima metà
del XVIII secolo. Questo restauro faceva parte di un più ampio programma di interventi che coinvolse
le principali basiliche romane, promosso sotto il pontificato di Clemente XII.
Una delle caratteristiche più significative del restauro è stata l'aggiunta di un vestibolo ellittico al corpo
principale della basilica. Questo vestibolo divenne il fulcro del progetto architettonico, attirando
l'attenzione dei visitatori e creando un'entrata maestosa alla chiesa. La parete del vestibolo, che seguiva
un profilo inflesso, rappresentava un'innovazione architettonica audace, con tutti gli elementi strutturali
e decorativi che seguivano questa curva, compresi gli ordini architettonici e il frontone superiore.
Il piano attico del vestibolo presentava un frontone convesso con volute di estremità, che conferiva un
senso di dinamismo e movimento alla facciata. Questo motivo stilistico si raccordava con la curvatura
prepotente al centro del vestibolo, che si estendeva fino alle ali estreme attraverso sequenze concave
molto inclinate. Questa complessità formale conferiva alla facciata un carattere unico e dinamico, in linea
con i principi del borrominismo.
Un dettaglio di particolare rilievo era il portale del vestibolo, caratterizzato da un ovato centrale. La
cornice del portale si ripiegava con due volute di estremità a raccordarsi con l'ovato stesso, creando un
effetto di continuità e armonia tra gli elementi architettonici. Tuttavia, il portale presentava anche delle
"mostre rotte", che conferivano un senso di discontinuità e frammentazione, tipico del linguaggio
borrominiano.
Oltre alla configurazione architettonica, un ruolo importante era giocato dagli elementi decorativi di
dettaglio. Ad esempio, la presenza di una valva di conchiglia sottolineava l'attenzione al particolare e il
desiderio di creare un effetto scenografico e suggestivo. Queste scelte stilistiche erano in linea con il
principio caro al borrominismo di "Nessuna cosa sia in rappresentazione che non sia in funzione", come
sottolineato da Carlo Lodoli, che riconosceva l'importanza di integrare forma e funzione nell'architettura.
Allo stesso modo, l'oratorio di Santa Maria in Via a Roma, progettato da Gregorini, presentava una sorta
di facciata in miniatura della Basilica di Santa Croce, con un ovato di dimensioni imponenti che dominava
la composizione architettonica. Questo ovato giganteggiante rappresentava un'ulteriore espressione della
predilezione per le forme dinamiche e complesse proprie del borrominismo.
Infine, il Palazzo Doria-Pamphili al Corso, progettato da Gabriele Valvassori, contemporaneo alla
facciata di San Giovanni progettata da Alessandro Galilei, presentava una sequenza di paraste pseudo-
bugnate o bugnate liscie molto ben distinte sulla parete. Le edicole che attraversavano la quinta
enfatizzavano ulteriormente l'instabilità della materia e l'attenzione al dettaglio tipiche dello stile
borrominiano. Anche qui, elementi come la valva di conchiglia e il capitello araldico contribuivano a
creare un linguaggio architettonico ricco e sofisticato, in linea con i principi del borrominismo.
Aspetti dell’architettura e dell’arte italiana tra ‘700 e primo ‘800: tra ultimo barocco,
neoclassicismo e razionalismo teorico
Luigi Vanvitelli (1700-1773) emerge come una figura architettonica di grande rilievo nel panorama del
XVIII secolo, caratterizzato da un fervido dibattito tra gli stili tardobarocco e neoclassico. Il suo percorso
artistico, che si estende per circa tre quarti del secolo, presenta una serie di opere che riflettono
un'interessante oscillazione tra queste correnti architettoniche.
Nato a Utrecht da Caspar Van Wittel, pittore di paesaggi olandese, Luigi Vanvitelli si forma in Italia, dove
dimostra fin da giovane una predisposizione al disegno. La sua educazione artistica è influenzata sia
dall'esperienza nella bottega del padre, frequentata da artisti e architetti, sia da un precoce talento nel
disegno.
Il primo grande successo di Vanvitelli arriva con il concorso per la facciata di San Giovanni in Laterano,
una delle basiliche più importanti di Roma. Le proposte presentate dal giovane architetto si distinguono
per una sobria compostezza formale, che riflette una sensibilità artistica già matura.
Successivamente, a Vanvitelli viene affidato l'incarico di costruire l'ampliamento del porto ad Ancona e
il Lazzaretto, un'opera di fondazione artificiale progettata per accogliere coloro che potessero essere fonte
di contagio. Questo progetto mette in luce la sua capacità di unire pragmatismo di cantiere e visione
architettonica innovativa.
Un altro importante intervento di Vanvitelli è il restauro di Santa Maria degli Angeli a Roma, un'opera
che testimonia la sua profonda conoscenza dei materiali e dei dettagli decorativi, nonché la sua sensibilità
nell'armonizzare gli elementi architettonici preesistenti con le nuove aggiunte.
La sua opera più celebre è la Reggia di Caserta, progettata per Carlo III di Borbone e concepita come una
sorta di Versailles italiano. Questo imponente complesso architettonico, caratterizzato da dimensioni
gigantesche, rappresenta un perfetto esempio di fusione tra lo stile barocco e elementi di classicismo, con
l'uso sapiente delle colonne e delle paraste per conferire ordine e grandiosità al prospetto.
Vanvitelli si distingue anche per il suo ruolo nel consolidamento della cupola di San Pietro, dove si
adopera per rinforzare la struttura attraverso l'uso di cavi d'acciaio e catene messe in tensione,
dimostrando la sua abilità sia come architetto che come ingegnere.
In sintesi, l'opera di Luigi Vanvitelli rappresenta un importante capitolo nella storia dell'architettura
italiana del XVIII secolo, segnando un momento di transizione tra il barocco e il neoclassicismo e
lasciando un'impronta significativa nel panorama architettonico del suo tempo.
L’opera eccentrica di un “divergente” ingegnere piemontese: Bernardo Antonio
Vittone (1704-1770)
Bernardo Antonio Vittone (1704-1770) è stato un ingegnere piemontese che ha intrapreso un percorso
architettonico eccentrico e distintivo, divergendo dalla strada seguita dal contemporaneo Luigi Vanvitelli.
Nato nel 1704, Vittone si caratterizzò per la sua lotta costante per gli ideali architettonici che perseguiva
con determinazione. Dopo aver studiato all'Accademia di San Luca a Roma, si trasferì a Torino, dove fu
influenzato dalle stelle morali dell'architettura come Guarino Guarini e Filippo Juvarra.
Contrariamente alla tendenza predominante dell'epoca, Vittone non si proponeva di spegnere il
Rinascimento Barocco, ma piuttosto di continuarlo innovando. La sua architettura non era rivolta ai
ricchi o alle classi dominanti, ma piuttosto alle comunità agricole del Piemonte, dove si st