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GIACOMO LEOPARDI

La vita

Giacomo Leopardi nasce a Recanati il 29 giugno 1798, figlio primogenito di alcuni rappresentanti dellapiccola aristocrazia terriera picena, conservatrice e bigotta. Il giovane cresce assieme ai fratelli Carlo ePaolina in un ambiente rigido, reso ancora più tale dallo stato fallimentare delle finanze e dal patrimonio difamiglia, compromesso dal padre stesso, e quindi successivamente sottoposto all'amministrazionecontrollata della madre, che riesce a ripristinare una condizione economica decorosa. La formazione diGiacomo, Carlo e Paolina è delegata a dei precettori clericali, che gli insegnano la letteratura e le scienze.Giacomo inizia a distinguersi già all'età di dieci anni, grazie alla sua conoscenza della cultura classica,favorita anche dalla biblioteca di casa che il padre gli mise orgogliosamente a disposizione.Tra il 1809 ed il 1816, in sette anni di studio matto e disperato, coltiva in solitudine letture sterminate

ericerche approfondite che gli permettono di acquisire una padronanza assoluta nel campo della filologia edi sviluppare vasti interessi filosofici, ma a prezzo di irreversibili danni alla salute e alla sua struttura fisica.

La grande apertura culturale di Leopardi gli permette di concepire in maniera ancora più acuta l'infelicità, lachiusura e l'oppressione a cui lo costringono la natura e l'autoritarismo oppressivo della sua famiglia.

L'insoddisfazione e il bisogno di nuove esperienze lo spingono poi ad applicarsi più direttamente allo studiodella poesia.

Tra li 1819 ed il 1822 il poeta vive oramai in maniera molto tesa il rapporto con la sua famiglia, che volevaavviarlo alla carriera ecclesiastica, il tutto aggravato da una malattia agli occhi. Nel novembre del 1822riceve il permesso di potersi recare a Roma, fino al maggio 1823. Il soggiorno nella ormai decadentecapitale è fonte di nuove delusioni, da cui emerge una più lucida

coscienza della propria diversità e alienazione di fronte al mondo. Dato l'addio alla poesia, si dedica ed elabora una serie di prose satiriche, le Operette morali (1827), ai quali affida la proiezione della sua triste immagine della condizione umana. Nel 1825 giunge l'invito dell'editore milanese Antonio Fortunato Stella, grazie al cui accordo garantisce a Leopardi un'indipendenza economica sufficiente per allontanarsi dalla famiglia.

Nel 1826, Leopardi torna a Recanati per trascorrere l'inverno. Nel giugno 1827, raggiunge Firenze: qui conosce e frequenta, non senza dissapori, diversi scrittori ed intellettuali, come ad esempio Alessandro Manzoni.

Alla ricerca di un clima più mite, nel novembre 1827 si trasferisce a Pisa, dove trascorre un inverno tanto sereno quanto creativo: infatti, nell'aprile 1828 scrive A Silvia, dando il via al cosiddetto ciclo pisano-recanatese, chiamato così perché nel novembre dello stesso anno, essendo

venuto meno il sostegno di Stella, Leopardi è costretto di nuovo tra le odiate mura familiari. Tra depressioni e impulsi creativi, nell'anno 1829 vedono la luce capolavori come La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio e il Canto notturno. Il soggiorno a Recanati dura circa sedici mesi, ovvero fino all'aprile 1830. Nel 1831, Leopardi torna a Firenze, dove esce la prima edizione dei Canti. Dopo una breve parentesi romana, il poeta a Firenze compone gli ultimi due dialoghi delle Operette morali, scrive un gruppo di liriche dedicate alla passione non corrisposta per Fanny Targioni Tozzetti, e detta l'appunto finale del proprio Zibaldone (1832). Nell'ottobre 1833, potendo finalmente usufruire di un assegno fisso passatogli dalla famiglia, Leopardi si trasferisce a Napoli, dopo un riacutizzarsi della malattia agli occhi, anche nella speranza che un cambio di clima potesse portargli un po' di conforto. In effetti, l'aria del golfo sembra alleviare un

Po' il suo stato di salute, tuttavia appare complicato il rapporto con la vita culturale della città partenopea, nella quale si avverte il prevalere di una tendenza ottimistica del tutto estranea alle convinzioni leopardiane. Fra il 1836 e il 1837, Leopardi trascorre lunghi soggiorni in una villetta ai piedi del Vesuvio, tra Torre del Greco e Torre Annunziata, anche per sfuggire ad un'epidemia di colera. Questo è il tempo e il luogo degli ultimi due canti, ovvero Il tramonto della luna e La ginestra, massimo capolavoro dell'autore. Il poeta si spegne a Napoli il 14 giugno 1837, a soli trentanove anni.

Lettere e scritti autobiografici

Di Leopardi ci è rimasto un folto gruppo di lettere. Tra le più significative vanno annoverate quelle a Pietro Giordani, a partire dal 1817. Il giovanissimo Leopardi trovò nell'amico intellettuale un confidente a cui confessare il proprio agitato mondo interiore, ma anche le proprie idee letterarie e i propri progetti.

Un gruppo cospicuo di lettere è indirizzato poi ai familiari: al fratello Carlo e alla sorella Paolina, a cui il poeta si rivolge con affetto, ricevendone in cambio solidarietà. Le lettere al padre rivelano invece una difficoltà di rapporto: traspare, attraverso il rispetto formale del figlio, il bisogno di affetto e di calore umano, ma anche l'irreparabile distanza. Oltre che ai familiari, vi sono poi lettere destinate a importanti personalità della cultura, letterati come Vincenzo Monti o Gian Pietro Vieusseux, filologi come Louis de Sinner. Tra gli scritti autobiografici va segnalato inoltre il disegno di un romanzo autobiografico (1819), sul modello del Werther di Goethe e dell'Ortis di Foscolo, che Leopardi pensava di intitolare Storia di un'anima o Vita di Silvio Sarno. Di tale progetto restano vari appunti in cui si riconoscono in germe temi che saranno ripresi poi nelle poesie. Il pensiero Il retroterra culturale della visione leopardiana della realtà.

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Che lo Zibaldone (sterminata raccolta di riflessioni personali) permette di seguire nella sua evoluzione, è costituito dal sensismo e dal materialismo settecenteschi. La felicità si identifica con uno stato di piacere dei sensi, infinito nella durata e nell'intensità, che l'uomo desidera istintivamente ma non può raggiungere mal. Da questa tensione inappagata nasce l'infelicità, quel senso di insoddisfazione perpetua che solo l'ingenuità fanciullesca, l'ignoranza del "vero", potrebbe placare. La Natura, concepita inizialmente come madre benigna, offre alle sue creature la capacità di immaginare e illudersi, ma il progresso della ragione ha precluso agli uomini moderni questo rimedio che permetteva agli antichi di essere felici. La condizione negativa del presente è dunque l'esito di un processo storico di allontanamento da una originaria pienezza vitale, che rendeva possibili azioni generose ed eroiche.

Leopardi dà un giudizio negativo in particolare sull'Italia contemporanea, corrotta e dominata dall'inerzia: ne deriva un atteggiamento titanico, di sfida solitaria e disperata da parte del poeta, unico depositario dell'antica virtù, contro la barbarie dominante. Questa fase del pensiero leopardiano, definita "pessimismo storico", evolve intorno agli anni 1820-24 nel cosiddetto "pessimismo cosmico": la Natura è vista ora come un meccanismo cieco, indifferente alla sorte delle sue creature; l'infelicità è considerata una condizione assoluta e universale, che coinvolge tutti gli esseri in ogni tempo; al titanismo giovanile subentra un atteggiamento distaccato e ironico di rassegnazione. La poetica Il nucleo germinale della poetica di Leopardi risiede nella teoria del piacere. Se l'immaginazione è l'unica fonte di piacere, ciò che la stimola offre un illusorio appagamento al bisogno di infinito: alivello poetico, essa è stimolata da immagini e suoni vaghi, indefiniti, capaci di evocare sensazioni che ci hanno affascinato da fanciulli. La poesia è dunque il recupero della visione immaginosa della fanciullezza attraverso la "rimembranza". Maestri in questo tipo di poesia sono gli antichi, mentre ai moderni, disincantati e infelici, è possibile solo una poesia sentimentale, che nasce dalla consapevolezza della miseria umana e dal rimpianto per un'armonia perduta. Leopardi e il romanticismo Nella polemica tra classicisti e romantici Leopardi si schiera a favore dei primi, rimproverando ai romantici italiani il predominio della logica e l'aderenza al "vero". Egli prende tuttavia le distanze dal classicismo accademico e pedantesco: la sua ammirazione per i poeti antichi poggia, come s'è detto, sul vagheggiamento nostalgico, tipicamente romantico, di una dimensione ingenua, non contaminata dalla razionalità. Per questa ragionesi può parlare, nel caso di Leopardi, di un “classicismo romantico”.

I Canti

Il periodo successivo alla conversione «dall'erudizione al bello» del 1816, sino alla grande crisi del 1819, è ricco di esperimenti letterari, che si rivolgono in direzioni molto diverse: idilli pastorali, elegie (Il primo amore), "visioni" sul modello di Monti (Appressamento della morte), canzoni su argomenti moderni e cronachistici, tragedie pastorali, inni cristiani, un romanzo autobiografico (Vita di Silvio Sarno, o Storia di un'anima). Molti di questi esperimenti rimangono allo stadio di puri progetti, o di abbozzi presto abbandonati.

Fra il 1818 e il 1823 il poeta compone dieci canzoni, che pubblica in un opuscolo a Bologna nel 1824; sempre a Bologna, nel 1826, stampa una raccolta di Versi, che comprende due elegie, un'epistola in versi e sei componimenti riuniti sotto il titolo di Idilli; infine nel 1831, a Firenze raccoglie le canzoni, i testi dei

Versie alcuni lavori giovanili con altri testi scritti fra il 1828 e il 1830, e al volume dà il nome complessivo di Canti.Postuma, a cura dell'amico Ranieri (che segue però il piano ordinato da Leopardi stesso), esce nel 1845 a Firenze l'ultima edizione, ancora aumentata di due poesie composte dopo il 1835. Il titolo Canti, del tutto inedito nella tradizione letteraria italiana per una raccolta di versi, rimanda al carattere squisitamente lirico di queste poesie, che traggono alimento dall'intima soggettività dell'autore, anche quando trattano temi civili o filosofici. Le Canzoni Le Canzoni sono componimenti di impianto decisamente classicistico, che riproducono lo schema metrico fissato sin dalla lirica duecentesca e da Dante e che impiegano il linguaggio aulico, sublime e denso della tradizione, con sensibili influenze soprattutto di Alfieri e Foscolo. Le prime cinque (All'Italia, Sopra il monumento di Dante, Ad Angelo Mai, Nelle nozze dellasorella Paolina, A un vincitore nel pallone),composte tra il '18 e il '21, affrontano una tematica civile.Sono animate da aspri spunti polemici contro l'età presente, inerte e corrot
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I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher _chiaragallo07__ di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Letteratura italiana e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Salerno o del prof Falardo Domenica.