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Ovidio era in grado di seguire effettivamente il passaggio del sole fra le costellazioni:
la terza costellazione è quella del Leone, di cui deve attraversare nella bocca.
Catasterismo del leone, nato dopo l’episodio di Ercole ed il leone di Nemea. Eracle
(gigantomachia, mortale che Zeus mette al mondo per uccidere i giganti, figlio di Zeus
e Alcmena- Anfitrione-). Sarà per tutta a vita perseguitato da Era, nonostante il nome,
gli manda sofferenze, pericoli per tutta la vita. Una di queste è una follia improvvisa in
cui uccide la moglie e i figli, a questo punto deve fuggire dalla patria e trovare un
sacerdote che lo purifichi, per lui sarà Euristo, re di Miceo, accetta di purificarlo se
affronterà le 10 o 12 fatiche. Prima di queste; mandato a Nemea (Peloponneso) ad
uccidere il leone nemeo. Leone mostruoso dalla forza immane che devastava la
regione uccidendo bestiame e umani. Aveva una pelle impenetrabile a tutti i metalli.
Eracle prima prova ad ucciderlo con delle frecce, quindi gli si avvicina e combatte
corpo a corpo, lo uccide strozzandolo. Il segno che deve riportare sarà la pelle del
leone. Per scuoiarlo, usa gli artigli stessi del leone. Pelle che userà come mantello,
diventa attributo di Eracle-leonte.
Il sole poi deve passare fra le branche dello scorpione. Ovidio sta scegliendo vari
elementi che caratterizzano queste costellazioni, li sceglie sempre ostili, spaventosi.
Alternanza che pare voluta, non si conosce molto dello scorpione. Vicenda di Orione
(cacciatore per eccellenza), mortale -Igino- concesso come figlio da Zeus e da
Mercurio da un vecchio pastore che li aveva ospitati e dato loro l’ultimo pezzo di pane.
Era diventato gigantesco e cacciatore. Diverse versioni, secondo una era cacciatore,
quindi, era in contato con Artemide, secondo la tradizione una volta cercò di
violentarla e gli dèi mandarono uno scorpione ad ucciderlo. Altra versione: era così
forte da dire che poteva uccidere qualsiasi animale della terra, allora Gaia manda uno
scorpione a dimostrazione che non era vera ed a tutela di sé e degli animali. Altra
tradizione: amava Artemide ma la rispettava, viveva con lei e spesso incontrava Apollo
e Latona, in una delle occasioni in cui Era volle uccidere LAtona, manda lo scorpione
ad ucciderla ed Orione si sacrifica per lei.
Infine, si ritroverebbe a dover attraversare le branche ricurve del cancro. Cancro da
cancer: granchi. Seconda impresa di Eracle: doveva uccidere l’Hydra, mostro che
viveva nella palude di Lerna. Aspetto: corpo di serpente e tante teste, numero
variabile che si rigeneravano il doppio, solo una vitale. Eracle la affronta con la sua
clava, comincia a colpirla ma comincia ad avvilupparlo con la coda da serpente.
Secondo la tradizione mitologica, nel momento di difficoltà, Era mandò un mostro in
forma di granchio, schiacciato da Eracle col piede. Alla fine, fu aiutato da Iolao, suo
nipote che arriva con un tizzone acceso così che ogni volta che abbatteva una testa,
Iolao chiudeva la ferita.
FATICHE DI ERACLE: non c’è un libro che le racchiuda tutte, non c’è un numero preciso.
Generalmente sono 12. Gli autori moderni di manuali mitologici raccolgono le fatiche
dalle varie fonti e ne fanno l’elenco. Terza fatica: catturare la cerca di Cerinea,
sacra ad Artemide. Cerva velocissima che non poteva uccidere la insegue per oltre un
anno e alla fine la rapisce nel sonno.
Quarta fatica: catturare il cinghiale di Erimanto.
Quinta fatica: ripulire in un solo giorno le stalle di re Augia, mandrie più ampie del
Peloponneso, e che non erano mai state pulite, per Eracle fatica impossibile ed
umiliante, usa forza ed ingegno: abbatte i muri delle stalle e fa deviare il corso di due
fiumi.
Sesta fatica: scacciare dal lago Stinfalo degli uccelli particolarmente violenti. Li caccia
e li incontrerà Giasone con gli argonauti-.
Settima fatica: ponte fra due leggende, a CRETA DOVEVA CATTURARE IL TORO CON
CUI Pasifae aveva concepito il Minotauro. Minosse lo concede ad Eracle, lo porta a
Micene dove si libererà, vagherà fino Maratona dove devasta la regione. Poi il re di
Atene manda giovani ad ucciderlo, manda anche il re di Minosse che morirà: causa
guerra. Lega due tradizioni mitologiche.
Ottava fatica: Rubare le cavalle del re Diomede, cannibali.
Nona fatica: Impossessarsi della cintura di Ippolita, regina delle amazzoni.
Decima fatica: Rubare i buoi di Cerione, colonne d’Ercole.
Undicesima fatica: Rubare i pomi d’oro delle Esperidi.
Dodicesima fatica: andare nell’oltretomba e portare vivo Cerbero a Micene.
Quindi, inizio viaggio del sole. Per il momento si ferma qui.
Poi parla dei cavalli impetuosi, letteralmente focosi, non ordinari per cui serve una
mano molto ferma per resistere al loro impeto. Ottica dissacrante: Febe dice che già lui
ha paura e fa fatica a reggere le redini del suo carro.
Infine, dice al figlio che non vuole che il suo regalo gli porti la morte. Predestinazione,
tipico di Ovidio. Gli chiede di cambiare desiderio. Ovidio riporta giù dal cielo, come un
colloquio padre-figlio, Febe dice che per dimostrazione che è suo padre c’è il suo
timore, la sua angoscia. Ultimo tentativo, gli dice che può avere tutto nel cielo, mare e
terra. Dice che gli sta chiedendo un supplizio, non un favore. Snodo del discorso in cui
il sole fa una riflessione già vista: il mortale deve fare attenzione a quello che chiede.
Fetonte non capisce però, perché è un mortale. Capirà solo quando è troppo tardi.
Termina qui i suoi consigli (Ovidio li definisce consigli riportando alla memoria lo stesso
schema quando la vecchia signora dà consigli ad Aracne). Stesso schema in cui il più
giovane non vuole saperne, lo brucia il desiderio del carro. Mentre parlano, il tempo
passa ed arriva il momento ineluttabile in cui il sole deve uscire dalle stanze ed
iniziare il viaggio. Così, porta il ragazzo al carro (dono di Vulcano- Efesto), aureo
(scintillante), Ovidio descrive il carro: d’oro il mozzo, il timone, il cerchione, d’argento i
raggi, gemme e topazi lungo il giogo. Contesto scintillante che fa ammirare Fetonte,
audace che sta sfidando un limite. Nel frattempo, apre Aurora già desta- chiarore che
precede il giorno che nasce secondo la mitologia dal gesto di Aurora che apre le porte
da cui deve uscire il sole. Apre le porte di porpora, le stelle fuggono (dispersione delle
tenebre), stringe le fila Lucifero (commistione diverse tradizioni)- etimologia: portatore
di luce. Reinterpretazione cristiana, nella tradizione antica era il nome di una stella, di
un corpo celeste che gli antichi vedevano illuminarsi poco prima dell’alba, che spariva
per ultima. È il pianeta Venere, gli antichi pensavano fossero due stelle diverse, che si
davano il cambio: una che annunciava il buio, il Vespero, al mattino compariva invece
Lucifero.
Ormai è tempo di andare, il Sole ha fallito nel tentativo di salvare Fetonte e si deve
rassegnare a lasciare il cavallo a Fetonte, il Titano che in questo caso è il sole
(dimostrazione che Ovidio non vuole entrare nei dettagli, il Sole si può impersonificare
come si vuole), è solo il dio luminoso. Quindi inizia la preparazione del carro, le dee
iniziano a farlo, i cavalli sputano fuoco, gonfi di succo di ambrosia (non si sa cosa
fosse, qualcosa che gli dèi mangiano o bevono). Imbrigliano i cavalli che sono pronti a
partire. Allora il padre spalma un unguento divino sulla faccia del figlio, rendendolo
immune al carro del sole. Mette la corona di raggi sulla testa di fetonte. Tira un sospiro
sopra l’altro. Presagio di lutto: il Sole sta salutando il figlio in modo luttuoso. Gli dice,
finora non lo ha ascoltato ma gli dà altre istruzioni: non usare la frusta ma le redini.
Metafora, il Sole sa che il figlio è impetuoso come Icaro (Dedalo che aveva detto di
viaggiare in mezzo), il Sole fa lo stesso, di non andare troppo veloce, i cavalli sanno
correre da soli, il problema è frenarli. Simbolo della hybris: deve imparare a frenare sé
stesso e i cavalli.
Ovidio parla di 5 fasce celesti, cielo diviso in 5 fasce. Menziona solo una concezione
antica secondo cui esistevano fasce climatiche in cielo, il Sole dice di lasciare stare la
strada che vedrà, di seguire un sentiero più piccolo che percorre solo tre fasce,
facendo una curva. Rinuncia a toccare il polo australe e l’Orsa (estremo nord). Sta
dicendo al figlio di rimanere nella zona centrale, così vedrà i solchi del carro; quindi,
strada che il Sole fa sempre. Il padre è prudente e chiede al figlio di fare altrettanto.
Polo australe e Orsa saranno con gli aquiloni: venti che spirano da nord.
Ovidio dice la stessa cosa di Igino: deve portare il calore alla terra in modo regolare,
non deve portarla troppo in basso e neanche andare alle cime dell’Etere (monte). Se
va troppo in alto brucerà le case degli dèi, se va troppo in basso brucerà la terra. Non
deve neanche far sì che le ruote lo portino troppo a destra, dalle spire della
costellazione del serpente, né troppo a sinistra, dove in basso si leva l’altare.
Rimette il di più alla Fortuna, sperando lo protegga.
Mentre gli parla, ciclo giorno-notte come inseguimento e on devono mai incontrarsi,
l’Esperia (terra d’Occidente, isola all’estremità occidentale dove il sole va a
tramontare), è l’ultimo saluto. Gli chiede di cambiare idea di nuovo di prender il
consiglio invece del carro, Ovidio accompagna a guardare il momento in cui il giovane
sale sul carro. Ultimo aggettivo del sole per il figlio: incosciente. Fetonte si slancia nel
carro, che è lieve per quel giovane corpo. Contrapposizione di quando il padre sale sul
carro, che affonda. Indizio.
Fetonte si butta sul carro che non ne sente il peso, si drizza e dall’alto del carro
ringrazia il padre che è lì a malincuore. Momento della partenza.
Cita i 4 nomi dei cavalli: Pyoris, Eòo, Etone e Flegone, fanno nitrii infuocati e scalciano
contro le sbarre. Impetuosi come Fetonte. Appena Teti, aprì le sbarre in cui sono
trattenuti i cavalli, si avventarono in colpa e fecero con gli zoccoli a pezzi le nuvole.
Partenza esplosiva. Cominciano a volare più veloci degli Euri (venti di Oriente, secondo
la tradizione figli di Aurora). Teti non sa ancora quale sarà il destino del nipote
(Fetonte, figlio di Climene).
Ovidio aveva dato l’anticipazione del carro che non era affondato sotto il peso di
Fetonte, differenza di peso avvertita anche dai cavalli, carico troppo leggero,
impossibile da trovarcisi per i cavalli, se ne meravigliano, allora c’è una similitudine: i
cavalli corrono alla stessa velocità ma sbandano come una giusta zavorra le navi,
necessario un peso corretto per contrapposizione delle altre spinte. Non avendo la
zav