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LIVIO E GLI ORIENTAMENTI DELLA STORIOGRAFIA
Nasce a Padova nel 59 a.c. Venuto a Roma entrò in contatto con Augusto.
Ai suoi interessi giovanili per la filosofia si sostituirono presto, fra il 27 e il
25 quelli per la sua grande opera storica, gli Ab Urbe condita liber. La
narrazione inizia dalle origini mitiche di Roma per arrivare con il libro 142
al 9 a.c., anni della morte del figliastro di Augusto Druso in Germania, ma
il progetto è interrotto con la morte nel 17 d.c, prevedeva forse anche il
racconto degli anni fino alla morte di Augusto, 14 d.c, per un totale di 150
libri.
Il piano dell’opera e il suo metodo storiografico
La struttura annalistica aveva caratterizzato fin dall'inizio la
storiografia romana, Livio la prende, rifiutando l’impianto
monografico delle prime opere di Sallustio. Il naufragio di vaste parti
dell’opera dipende probabilmente dalla ripartizione in gruppi separati di
libri. Le dichiarazioni introduttive si apriva ogni volta un nuovo ciclo; una
delle più celebri è il proemio d’apertura della terza decade, relativa alla
seconda guerra punica. Questo tipo di suddivisione rispecchia le fasi di
pubblicazione dell’opera volute dall’autore stesso.
La narrazione si amplia man mano che si avvicina all'epoca
contemporanea, più vicino alle aspettative dei lettori, più interessanti
alle vicende recenti e alla tremenda crisi politico-sociale da cui era emerso
il principato augusteo.
La storia più antica di Roma viene presa dagli annalisti. Nelle
decadi successive, circa l’espansione a Oriente, agli annalisti si
affianca il grande storico greco Polibio, da cui Livio attinse la
visione unitaria del mondo mediterraneo e dei legami fra Roma e i
regni ellenistici. Livio mostra scarsa attenzione a colmare le lacune della
tradizione storiografica con il ricorso a documentazione di altro genere.
La critica più forte mossa a Livio fu di lavorare di seconda mano sulla
narrazione degli storici precedenti con conseguente mancanza di una
concreta pratica politica. Una tesi eccessiva, infatti non significa che Livio
non sia uno storico fondamentalmente “onesto” né che scriva
un’esaltazione del regime gioiosa e priva di dubbi.
L’atteggiamento nei confronti del regime
Centrali sono le vicende del popolo romano, sulla cui base vanno
interpretati gli eventi della storia universale; un imperialismo
romano visto con assoluta parzialità, spesso non rispettosa
l'oggettività storica. Impostazione si caratterizza da una più
specifica ideologia di matrice repubblicana. Il naufragio della sezione
relativa alle recenti guerre civili rende impossibile farsi un’idea adeguata
res publica.
di come Livio narrasse la crisi della
Il probabile accordo su alcuni temi tra il regime augusteo e lo storico
permise una consonanza sostanziale di intenti. Del resto, su un tema
libertas,
delicato come quello della lo stesso Livio si dimostra
moderato; esalta la libertà se si tratta dei greci, ma nell'affrontare nel
libro II l’evento capitale della cacciata dei Tarquini, il giudizio sembra più
attento e circospetto; la libertà deve essere concessa al popolo a
tempo debito. Altro importante fattore di convergenza è la
restaurazione degli antichi valori morali e religiosi; il Liber è pieno
exempla
di grandi di virtù atte a soddisfare le profonde esigenze di
rinnovamento morale. Il consenso liviano non si traduce però in
un’adesione incondizionata. Roma non è più in grado di sopportare
né i propri mali (anarchia, corruzioni, discordie), né i rimedi
contro essi (il principato). Esterno al valore carismatico del Principato e
alla realizzazione di una nuova età dell’oro.
Lo stile
Si oppose alla tendenza di Sallustio, avvicinandosi allo stile ciceroniano
vagheggiato
per la storiografia; ampio e fluido, senza artifici e senza restrizioni, evita
asperitas candor.
ogni , chiarezza dei periodi il caratteristico
Sa in conferire allo stile duttilità e varietà: da concessioni al gusto
arcaizzante si passa ai canoni del nuovo classicismo. Largo spazio, inoltre,
per la drammatizzazione del racconto, dalle vicende tragiche dei
personaggi, alle sommosse popolari, ai resoconti dei dibattiti in senato.
La passione moralistica propria della concezione storica liviana
historia
risente della tradizione storiografica ellenistica. La , da
ricerca della verità, diviene esposizione drammatica delle storie e
può farsi vera e propria attività retorica; dimostrare l'importanza
decisiva dell’impatto, sugli avvenimenti, di qualità mentali e morali.
Livio appare come testimone immerso nei drammi che racconta, la
scrittura è quindi simpatetica, come dettata da un coinvolgimento diretto.
Scrive la storia è innanzitutto far vivere gli uomini che la fanno.
Lo stile storiografico è quello teorizzato da Cicerone in De
Oratore; la varietà di toni costituisce un discorso eloquente fatto di
sintassi ampia e scorrevole, completamente opposta all’odiato
Sallustio. Aderire a Cicerone si traduce in un periodare carico e involuto,
ma se il periodo ciceroniano è fatto per essere ascoltato, quello
liviano è fatto per essere letto, in un rapporto silenzioso, individuale,
domestico, di lettura privata, adeguato al carattere prevalentemente
moralistico e nostalgico.
PRIMA ETÀ IMPERIALE: L’ETÀ GIULIO-CLAUDIA 14 d.C. - 68
d.C. (morte di Nerone)
SENECA 4 d.c – 65 d.c
Nasce a Cordova nel 4 d.c. da una ricca famiglia equestre. A Roma
ricevette una buona educazione retorica e filosofica in vista della carriera
politica, iniziata poi come oratore e avvocato. Accusato di un
coinvolgimento in uno scandalo di corte, nel 41 venne condannato alla
relegazione in Corsica dall’imperatore Claudio. Compone qui le due
Consolazioni . Richiamato a Roma nel 49 per intercessione
dell’imperatrice Agrippina, sarà scelto da lei quale tutore di suo figlio
Nerone. Col progressivo degnare del comportamento del nuovo
imperatore attorno al 62 si ritira dalla scena per dedicarsi agli studi,
Dialoghi
difficile la datazione dei libri raccolti poi nei , mentre la
cronologia delle commedie risulta oscura. Inviso ormai a Nerone è ai suoi
collaboratori, viene coinvolto nella repressione della congiura di Pisone;
accusato da Nerone è costretto al suicidio (celebre il racconto di Tacito
negli Anneles).
I Dialoghi
Sono trattazioni autonome di aspetti o problemi dell’etica stoica.
De ira,
I tre libri del sono una sorta di fenomenologia delle passioni
umane (ne analizzano i meccanismi d’origine e i modi per inibirle e
De vita
dominarle. Indirizzata al fratello Novato, come più avanti anche il
beata . Quest’ultimo affronta il problema della felicità e il ruolo che agi e
ricchezze possono svolgere nel suo perseguimento. Seneca sembra voler
fronteggiare le accuse di incoerenza; posto che l’essenza della felicità
è nella virtù, il filosofo legittima l’uso della ricchezza se questa si
rivela funzionale alla ricerca della virtù. Estraneo al fascino del
sapientia
modello cinico, per Seneca chi aspira alla dovrà sopportare gli
agi e il benessere che le circostanze della vita gli hanno procurato, senza
lasciarsene invischiare.
Il superiore distacco del saggio dalle contingenze terrene è anche il tema
De constantia
unificante della trilogia dedicata all’amico Sereno;
sapientis De tranquillitate animi, De otio.
, Il primo esalta
l’imperturbabilità del saggio stoico, forte della sua interiore
fermezza di fronte alle ingiurie e alla avversità. Il secondo
affronta il problema fondamentale della partecipazione del saggio
alla vita politica. Seneca cerca una mediazione fra gli estremi
dell’otium civis romano.
e l’impegno del Se la tensione fra impegno e
De tranquillitate animi
rinuncia è nel ancora irrisolta, la scelta di una vita
De otio;
appartata è chiara nel una scelta forzata, tanto da non lasciare al
saggio alternativa diversa dal rifugio nella solitudine contemplativa di cui
si esaltano i pregi.
De brevitate vitae
In tratta del problema del tempo, della sua
fugacità e dell’apparente brevità di una vita che tale ci appare perché non
De Providentia
sappiamo afferrarne l’essenza. Ultima , una raccolta di
dialoghi dove affronta il problema della contraddizione fra il progetto
provvidenziale, che per gli stoici persiste nelle vicende umane, e
la sconcertante constatazione di una sorte che sembra spesso
premiare i malvagi e punire gli onesti. Per Seneca le avversità che
colpiscono chi non le merita non contraddico il disegno provvidenziale, ma
attestano la volontà divina di mettere alla prova i buoni ed esercitare la
Consolationes
virtù. Posto a parte occupano le tre . La consolazione
nella tradizione è un repertorio di temi morali, attorno al quale
Consolatio
ruota gran parte della riflessione filosofica di Seneca. La
ad Marciam è indirizzata alla figlia dello storico Cremuzio Cordo per
Ad Helviam matrem
consolarla della morte del figlio; cerca di consolare la
Ad Polybium,
madre sulle condizioni del figlio esule; per consolare il
potente liberto di Claudio della perdita del fratello, appare un tentativo di
adulare l’imperatore indirettamente e ottenere il ritorno a Roma.
Filosofia e potere
Seneca è uno dei pochi a realizzare l’utopia platonica dei filosofi
al potere.
Gran parte della riflessione ruota attorno a temi pubblici; se il
sapiente debba partecipare alla vita dello Stato, quale sia il
comportamento del buon principe, fino a che punto il possesso e la
ricchezza sono conciliabili con l’ideale di astinenza del filosofo. La
partecipazione del sapiente può esserci a condizione che questa non ne
turbi la serenità interiore. Egli potrà lavorare al benessere della comunità,
almeno finché i contrasti non diventino troppo tumultuosi col rischio di
provocare un turbamento.
De Beneficiis
Il tratta degli atti di beneficenza e filantropia, del
legame di riconoscenza che tali atti istituiscono tra benefattore e
beneficiario, dei doveri di gratitudine, delle conseguenze che colpiscono
beneficio
gli ingrati. Il è l’elemento coesivo dei rapporti interni
all’organismo sociale; trasferire sul piano della moralità individuale il
progetto di una società equilibrata e concorde. Un’ appello rivolto
soprattutto alle classi privilegiate, ai doveri della filantropia e
della liberalità, nell'intento di instaurare rapporti soci