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ANSCHLUSS | CONFERENZA DI MONACO
La crisi di Wall Street dovuta ad una crescita industriale statunitense che si era sviluppata a
partire dagli anni ’20, con una produzione ingente dal punto di vista industriale, agricolo, e
anche una gonfiatura dei titoli azionari (bolla inflazionistica), viene a maturazione nel corso del
1929. A presiedere questi anni negli Stati Uniti, era stato il partito repubblicano che aveva
favorito una larga speculazione azionaria da parte della grande finanza americana. Questa crisi
ebbe delle ripercussioni molto forti sia negli Stati Uniti sia in Europa. La situazione di forte
instabilità economica causò il fallimento anche di alcune Banche Nazionali, che determinò una
serie crisi politiche.
Le conseguenze psicologiche e pratiche della crisi portarono sfiducia nel liberalismo politico ed
economico, e nella democrazia, a tal punto da orientare gli intellettuali verso assetti totalitari
come il comunismo e il fascismo. La risposta alla crisi fu un forte egoismo nazionale, come
barriere protezionistiche, politiche di contenimento della spesa pubblica e la riduzione dei salari.
Queste pratiche, invece di rilanciare la domanda interna, tagliavano i servizi essenziali, e non
riuscirono a far ripartire le economie. Da un lato le barriere protezionistiche non fecero che
aumentare la rivalità tra i singoli Stati, introducendo così un ulteriore elemento di conflittualità
dovuta ad una politica di tassi doganali che favoriva la produzione interna, sfavorendo le
importazioni, dall’altro le parte politiche di contenimento della spesa pubblica e la riduzione dei
salari andavano a comprimere ulteriormente la capacità di acquisto delle popolazioni, e
tagliavano i servizi essenziali.
In questi anni l’economista inglese John Keynes contestava queste misure, parlando del deficit
spending, che puntava a investire in opere pubbliche per favorire la crescita dell’occupazione e
dei salari, per far ripartire la domanda interna. Le teorie di Keynes non vennero adottate in
Europa, bensì nel New Deal rooseveltiano. Le conseguenze sociali furono una forte
disoccupazione, povertà diffusa, e un aumento dei crimini. La crisi, in particolare in Germania e
in Austria, fu anche risentita dal forte legame che avevano con gli Stati Uniti, i quali negli anni
’20 grazie a questo surplus produttivo e finanziario, cominciarono ad investire nella ripresa
industriale della Germania attraverso dei prestiti a medio e lungo termine.
Allo svilupparsi della crisi, ci fu la necessità da parte delle banche americane di ritornare in
possesso di liquidità, perciò chiesero a tutte le industrie in cui avevano investito, di far fronte al
finanziamento ricevuto. Queste, però, non riuscirono a far fronte alla richiesta e ciò porterà al
fallimento di molte industrie e apparati industriali. L’Italia fu toccata solo marginalmente dalla
crisi, grazie alla forza del suo sistema bancario. Se Paesi come Francia e Inghilterra riuscirono ad
uscire dalla crisi senza abbandonare la liberal democrazia, in altri Stati nacquero movimenti che
contestavano il liberalismo, come l’Ungheria, la Bulgaria, la Polonia, la Romania, la Spagna, il
Portogallo.
Dopo il ‘29 anche la repubblica di Weimar andò incontro alla sua dissoluzione. Fu proprio la crisi
del ‘29 a garantire al nazional-socialismo i voti e i motivi propagandistici migliori per far crollare
Weimar. L’ascesa del nazionalsocialismo in Germania fu l’elemento di maggior destabilizzazione
del quadro europeo a partire dal 1929 e portò al secondo conflitto mondiale. Salito al potere,
Hitler cercò di rivisitare le clausole del patto di Versailles. Per questa ragione, Francia Germania
Inghilterra e Italia decisero di firmare un Patto a Quattro, che tentava di dare stabilità
all’Europa. In realtà questo patto non fu mai ratificato dai parlamenti interni. Mentre Italia e
Germania consideravano il patto come uno strumento per revisionare il trattato di Versailles, la
Francia non era ben disposta. L’Inghilterra in questo quadro tentava di alleviare il sentimento
anti-tedesco che c’era in Francia.
La volontà tedesca di riarmarsi e di rivisitare Versailles condusse ad un irrigidimento della
Società delle Nazioni nei confronti della Germania. Nel 1934 procedette al riarmo e proseguì
verso la propria politica estera che voleva stravolgere il quadro internazionale uscito da
Versailles. Il tentativo hitleriano che venne portato avanti nel corso del luglio 1934 era quello di
realizzare l’Anschluss, ossia l’annessione dell’Austria con la Germania, andando contro quanto
stabilito del Patto di Versailles. Il cancelliere austriaco Dolfuss, molto amico di Mussolini, venne
ucciso dai nazisti austriaci in un tentativo di colpo di Stato per riunire Germania e Austria. Ciò
determinò la reazione delle potenze europee, in particolare l’Italia, che fu l’unica a schierare le
divisioni. Mussolini, che proprio in questo periodo stava cercando di stringere più stretti rapporti
con l’Austria, reagì inviando i soldati al Brennero, per chiarire che l’Italia non avrebbe tollerato
una modifica dello status dell’Austria.
Davanti a questa reazione, Hitler fece un passo indietro, rinunciando a realizzare l’Anschluss,
anche perché non si sentiva ancora abbastanza forte da sfidare l’Italia e le altre potenze
europee. Il 1935 si apre con il successo per il referendum sulla Saar, regione molto ricca al
confine tra la Francia e la Germania. Secondo le clausole del Trattato di Versailles, nel territorio
della Saar, governato da un commissario della Società delle Nazioni, dopo 15 anni dal Trattato,
doveva svolgersi un referendum tra la popolazione circa l’appartenenza dell’area. Dopo le
fallite trattative franco-tedesche per il ritorno del territorio alla Germania, prima del termine
previsto, l’esito del referendum dichiarò la volontà degli abitanti della Saar di lasciare lo status
internazionale voluto da Versailles, per riunirsi alla Germania. L’annessione della Saar fu un
evento internazionale, che dopo il riarmo unilaterale, andò a fortificare l’hitlerismo tedesco.
Sempre violando il Trattato di Versailles, Hitler ripristinò la coscrizione obbligatoria in
Germania. La reazione di Francia, Inghilterra e Italia fu di siglare ad aprile il Patto di Stresa,
che denunciava la revisione unilaterale dei trattati da parte della Germania, riaffermava il
rispetto del Patto di Locarno, l’intangibilità delle frontiere che erano uscite dal Trattato di
Versailles e la necessità dell’integrità territoriale dell’Austria, proprio per evitare qualsiasi
tentativo di Anschluss. Non vi furono provvedimenti militari nei confronti della Germania.
A far fallire il patto di Stresa fu l’operazione coloniale etiopica di Mussolini. La sua volontà di
favorire una campagna africana, e quindi una politica estera aggressiva, era funzionale alla
volontà di aumentare la presa totalitaria del regime sul Paese. Prendendo a pretesto un
incidente di frontiera tra Etiopia e Eritrea (colonia italiana), il governo fascista decise di inasprire
le proprie relazioni diplomatiche con l’Etiopia. Nonostante il tentativo inglese attraverso la
Società delle Nazioni di favorire un arbitrato tra Italia e Etiopia, Mussolini era ormai deciso a
invadere il paese africano.
Nell’ottobre 1935 Mussolini cominciò le operazioni militari italiane contro l’Etiopia. Tale
intervento portò la SDN a decretare le sanzioni contro l’Italia: sia la Francia che l’Inghilterra
favorirono la Società delle Nazioni a votare delle sanzioni, che ebbero natura finanziaria ed
economica, ma non militare (per non indispettire troppo l’Italia). Tale caratterizzazione delle
sanzioni portò al fallimento delle stesse, sebbene ormai l’Italia avesse già conquistato l’Etiopia
e nel maggio 1936 Vittorio Emanuele III fosse stato proclamato Imperatore d’Etiopia.
Le vicende della guerra etiopica avevano, però, determinato una prima spaccatura nella
precedente relazione tra Italia, Francia e Inghilterra: infatti, se fino a quel momento Mussolini
si era sempre schierato a fianco delle ex alleate, dopo la guerra etiopica la politica estera
fascista assunse un atteggiamento di progressivo avvicinamento alla Germania nazista, che
non aveva posto obiezioni all’impresa africana dell’Italia. Nel 1936 vi furono ulteriori elementi
di tensione internazionale. La Germania rimilitarizzò la Renania, in maniera unilaterale. La
Renania era una regione al confine tra Francia e Germania ed era previsto che fosse
mantenuta smilitarizzata.
Le proteste delle potenze europee, segnatamente della Francia e dell’Inghilterra, non
mancarono, ma lasciarono il passo allo scoppio della guerra civile spagnola nel luglio 1936. La
guerra spagnola scoppiò con un colpo di stato che partì dalle guarnigioni dell’esercito spagnolo
in Marocco. Tale rivolta era susseguente alla vittoria, nelle elezioni politiche del 1936, delle forze
di sinistra e repubblicane, che avevano imposto la vittoria del fronte popolare. Ciò aveva portato
a una diffusa instabilità politica e allo scoppio del conflitto interno. Le potenze europee, cioè
Francia, Inghilterra, Germania e Italia decisero per il non intervento, ma poi cambiarono
politica: l’Italia, la Germania e il Portogallo appoggiarono le truppe golpiste guidate dal generale
Francisco Franco.
La Germania approfittò della guerra civile spagnola per testare il proprio armamentario bellico.
Mussolini, in Italia, nonostante avesse affermato il principio di non intervento, si trincerò dietro
il fatto che ad andare in Spagna fossero dei volontari, e non dei reparti dell’esercito regolare.
L’unico paese che aiutò l’esercito repubblicano legittimo fu l’Unione Sovietica che non solo inviò
armi e denaro ma favorì la creazione delle Brigate Internazionali, composte da volontari
provenienti da tutto il mondo, per combattere contro il generale Franco. La guerra si concluse
nel 1939 con la vittoria di Franco, e con l’instaurazione di un regime autoritario clerico-fascista.
La guerra civile spagnola è stata interpretata dalla storiografia come anticipatrice degli
schieramenti della seconda guerra mondiale, una sorta di confronto/scontro tra le dittature
e le democrazie. Il supporto dei due paesi al generale Franco, portò ad avvicinarsi ancora di
più l’Italia e la Germania, che finirono con stipulare, nell’ottobre 1936, l’accordo Asse
Roma-Berlino, i cui punti più importanti erano: l’impegno nel contrastare la corrente
bolscevica, l’impegno a sostenere Francisco Franco, la permanenza strumentale dell’Italia
nella SDN, la collaborazione italo-tedesca economica nei Balcan