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Gli accordi del secondo tipo, invece, sostituiscono il provvedimento: nella versione originaria dell’ art.
11 ciò era possibile soltanto nei casi previsti dalla legge (quali l’ accordo amichevole in materia di
espropriazione e la convenzione in materia urbanistica). La novella del 2005 ha soppresso, però, tale
inciso: sicché l’ accordo sostitutivo del provvedimento è oggi ammesso senza limitazioni.
A questo punto ci si pone un quesito fondamentale: per quale motivo l’ amministrazione, che dispone di
un potere unilaterale (che si estrinseca nel provvedimento), dovrebbe optare per un accordo, ossia per
una risoluzione che implica il consenso del privato?
Per rispondere a questa domanda, è necessario sottolineare che oggi il privato è sempre più riluttante a
sottostare all’ autorità amministrativa e, invece, sempre più propenso a contestarne le determinazioni e i
comandi (sia nel procedimento, sia in via di fatto); vi è, quindi, un interesse dell’ autorità ad ottenere il
consenso preventivo della parte se vuole raggiungere il suo obiettivo; dal canto suo, invece, il privato
può avere interesse a venire a patti con un’ autorità ostile se vuole realizzare il suo interesse. In quest’
ottica, le due parti, pubblica e privata, si fanno reciproche concessioni, che consentono di raggiungere
un’ intesa: così, ad es., sostituendo al provvedimento l’ accordo, l’ autorità può ottenere dal privato, che
richiede un permesso di costruire, una prestazione supplementare (ad es., la manutenzione del tratto di
strada antistante) che non potrebbe formare oggetto di condizione apposta al provvedimento (perché ne
snaturerebbe la tipicità e sarebbe, quindi, illegittima); la proposta può anche venire dal privato che, in
questo modo, ottiene ciò che avrebbe incontrato resistenza.
Il sistema degli accordi, ex art. 11 L. 241/90, viene chiuso da una clausola che riguarda la giurisdizione:
le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione degli accordi sono riservate alla
giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. In particolare, la controversia può insorgere tra le
due parti dell’ accordo (ad es., perché l’ autorità si rifiuta di emettere il provvedimento, il cui contenuto
è stato determinato con l’ accordo, o perché una delle parti non adempie alle obbligazioni nascenti dall’
accordo sostitutivo), ma può anche insorgere con un terzo che ricorre contro l’ accordo (o contro il
provvedimento sostitutivo dell’ accordo), assumendo di aver subìto il pregiudizio che l’ accordo non
dovrebbe comportare.
In ogni caso, è necessario sottolineare che gli accordi, ex art. 11, ricorrono raramente nella prassi: le
amministrazioni, infatti, da un lato, non sono, di norma, disposte a rinunciare all’ esercizio unilaterale
del potere; dall’ altro, gli amministratori temono di venire a patti con i privati per timore che dietro l’
operazione il giudice penale possa ravvisare le fattispecie di corruzione, concussione e abuso.
Sezione III
L’ efficacia del provvedimento
§1. L’ efficacia del provvedimento amministrativo
a) l’ efficacia del genus provvedimento
In dottrina ci si chiede se accanto agli effetti peculiari del singolo provvedimento amministrativo
(autorizzazione, concessione, etc.) possa essere configurata un’ efficacia del genere provvedimento, che
sia capace di accomunare le singole specie di provvedimento.
Per rispondere a tale quesito, occorre procedere analiticamente, partendo dai singoli provvedimenti
amministrativi; in tal modo, infatti, ci si potrà rendere conto che gli effetti di questi provvedimenti
hanno perfetti equivalenti in altri rami del diritto: si pensi, ad es., all’ espropriazione per pubblica
utilità, che rappresenta il provvedimento amministrativo per eccellenza; eppure la sua efficacia non è
diversa dalla pronuncia del giudice dell’ esecuzione, che trasferisce all’ aggiudicatario il bene immobile
espropriato (art. 586 c.c.). 60
Si pensi, ancora, all’ autorizzazione amministrativa: anch’ essa, a prima vista, sembra un unicum; ma,
in realtà, è sufficiente guardare ai rapporti di vicinato nella proprietà immobiliare (art. 873 c.c.) per
rendersi conto che quasi tutti i divieti e i limiti che gravano sul proprietario a tutela del fondo vicino
possono essere rimossi con il consenso del proprietario di quest’ ultimo (che può, ad es., tollerare la
comunione forzosa del muro sul confine o consentire una deroga alle distanze, ex art. 878 c.c.).
Il discorso non cambia se dalla singola specie di provvedimento si passa al provvedimento in genere,
dal momento che sussiste una forte analogia tra l’ atto posto in essere dall’ autorità amministrativa ed il
contratto: anche il provvedimento amministrativo, infatti, in virtù della definizione contenuta nell’ art.
1321 c.c., è capace, come il contratto, di costituire, regolare o estinguere un rapporto giuridico (con la
differenza, però, che l’ effetto del provvedimento amministrativo viene prodotto unilateralmente e non
da un accordo).
b) l’ autoritarietà e l’ imperatività del provvedimento
Un aspetto interessante dell’ efficacia del provvedimento amministrativo è la sua autoritarietà (o
autorità). In relazione a tale aspetto, la dottrina italiana, sulla scorta di quella francese, ha messo in
rilievo che questa efficacia si produce indipendentemente dal consenso del terzo o anche in presenza di
un suo dissenso: in ciò il potere amministrativo si distinguerebbe dal potere privato, proprio perché l’
atto di esercizio di quest’ ultimo non produce conseguenze giuridiche in capo al terzo.
Di recente, però, questo aspetto dell’ incidenza unilaterale del provvedimento amministrativo sulla sfera
giuridica altrui è stato messo in discussione con riferimento ad alcune categorie di provvedimenti
favorevoli, come l’ autorizzazione o la concessione: in tali casi, si è osservato che non si può
prescindere dal consenso del privato, perché la richiesta da parte di questi (che implica, ovviamente, un
consenso anticipato) costituisce una condizione di legittimità del provvedimento e coincide con l’ avvio
del relativo procedimento. Ciò, però, non significa che il consenso, ove richiesto, faccia venir meno il
carattere unilaterale del provvedimento: ad es., il consenso manifestato con la richiesta di concessione
non si fonde con la volontà dell’ autorità amministrativa (come accadrebbe se si trattasse di un
contratto), ma rimane ad essa esterna. Ragionando a contrario, quindi, se ne deduce che l’ efficacia
unilaterale sulla sfera giuridica del terzo è esclusiva dei provvedimenti amministrativi sfavorevoli (che
prescindono dal consenso del terzo). Ciò, però, non è del tutto vero: ed infatti, con riferimento,
quantomeno, alle concessioni (provvedimento amministrativo favorevole) si è detto che esse non si
esauriscono nell’ attribuzione di un vantaggio al beneficiario, ma possono anche dar luogo ad un
diniego nei riguardi di altri aspiranti allo stesso bene o servizio (tant’è vero che questi sono legittimati a
ricorrere dinanzi al giudice amministrativo contro la concessione rilasciata ad altra persona).
Sempre con riferimento all’ aspetto dell’ incidenza unilaterale nella sfera giuridica del terzo si pone,
poi, la questione della cd. imperatività del provvedimento, la cui nozione è stata proposta per la prima
volta dallo studioso Giannini: questi, in particolare, ha identificato l’ imperatività con l’ autorità del
provvedimento, che si articola in tre effetti tra loro collegati: la degradazione dei diritti, l’ esecutività e
inoppugnabilità.
l’
Viceversa, nella ricostruzione più recente della dottrina (in particolare: Scoca) l’ imperatività (concepita
come una particolare qualità dell’ atto amministrativo) viene a costituire, insieme all’ autotutela, uno
dei due elementi dell’ autorità; secondo quest’ impostazione, l’ imperatività perde la sua autonomia e
viene ad identificarsi con l’ idoneità del provvedimento a produrre eventi di nascita, modificazione ed
estinzione di situazioni soggettive nella sfera giuridica altrui, indipendentemente dalla collaborazione
del soggetto che lo subisce.
c) la questione della forza tipica
Un diverso modo di affrontare il tema dell’ efficacia giuridica del provvedimento amministrativo è
quello di chi parte dallo schema evocato, a proposito del contratto, dall’ art. 1372 c.c., il quale stabilisce
che il contratto ha forza di legge tra le parti. Partendo da questo assunto, ci si domanda, pertanto, se il
provvedimento amministrativo possieda un’ analoga forza.
A differenza della dottrina tedesca, che ha dato al quesito risposa positiva, quella italiana non ha mai
accettato l’ equiparazione dell’ efficacia del provvedimento amministrativo con la forza di legge tra le
61
parti, propria del contratto, perché essa non si concilierebbe con categorie fondamentali di
provvedimenti amministrativi come le concessioni, le autorizzazioni e gli atti ablativi (così, ad es., se si
parte dal presupposto che l’ autorizzazione rimuove un limite all’ esercizio di un diritto, la
determinazione del diritto del soggetto autorizzato non nasce dall’ autorizzazione, ma dalla norma che
tutela la libertà, la quale, per effetto dell’ autorizzazione, può essere pienamente dispiegata).
Di conseguenza, allo scopo di cercare di attribuire al provvedimento amministrativo una sua forza
tipica, in dottrina l’ attenzione si è spostata sul vincolo che il provvedimento pone a carico dell’
amministrazione; in virtù di tale vincolo, infatti, il provvedimento amministrativo instaura una
situazione che non può essere modificata fino a quando l’ amministrazione non adotti un atto ulteriore,
di annullamento o di revoca del precedente, in presenza dei presupposti che autorizzano il contrarius
actus (così, ad es., se il sindaco autorizza chi ne ha fatto richiesta ad esercitare il commercio non può
poi disporre la chiusura della bottega, come se l’ autorizzazione mancasse; allo stesso modo, se la
provincia ha espropriato un immobile per farvi un impianto sportivo non può poi destinare il bene
acquisito ad altro uso).
§2. L’ esecuzione del provvedimento (l’ esecutorietà)
Con il provvedimento amministrativo l’ autorità dispone qualcosa; un qualcosa che, di solito, richiede
un’ attività materiale ulteriore (o del privato o della stessa autorità)