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8. GUY COQUILLE E LA CRITICA ALLA SCIENZA GIURIDICA

Guy Coquille (1523-1603), giurista francese, già ci tato precedentemente, ha una

posizione nettamente differente da quella dei giuristi della tradizione, nei confronti dei quali

è particolarmente critico.

L’opinione sulle istituzioni francesi

8.1.

Anzitutto, in Coquille abbiamo una forte esaltazione delle rappresentanze cetuali (Stati

Generali, Stati provinciali etc.), e sottolineava come nonostante il fatto che le assemblee e gli

Stati svolgessero un ruolo significativo, la Francia fosse comunque una monarchia e non uno

stato misto (forma di governo in cui è presente sia la componente monarchica, sia

l’aristocratica che la democratica), In particolare, quando parla di Stati generali, evidenzia il

fatto che questi ultimi si occupassero di politica generale, e nello specifico dirimevano

controversie in materia di successione dinastica, motivo per cui ritenevano di rappresentare

la continuità dello Stato persino aldilà del succedersi delle dinastie, posizione diversa

dai togati e dai giuristi della tradizioni, convinti di essere, incarnare essi stessi la continuità

dello Stato. Invece, gli Stati Provinciali hanno avuto un importante ruolo per la redazione

per iscritto del diritto consuetudinario.

La polemica contro i giuristi e la scienza giuridica

8.2.

La critica al ‘’quarto stato’’ Coquille era particolarmente critico nei confronti di quello che

29

chiamava “quarto stato” (ceto forense e magistratuale) . Nello specifico, Coquille criticò i

togati di ispirazione italiana (all’epoca l’Italia viveva una fase di frammentazione politica

e i togati svolgevano un ruolo significativo di supplenza rispetto a poteri politici deboli ed

incerti, incapaci di esprimere una volontà univoca): egli polemizza contro quella che lui

chiama la “Glossa Italiana” (glossa intesa come mos italicus, dunque anche il commento) in

quanto i glossatori hanno avuto la pretesa di fare la legge, ma non di cooperare a realizzarla,

bensì di far diventare legge la dottrina giuridica ed è questo che non accetta dei giuristi

italiani.

La critica alla communis opinio Connessa a questa vi è un’altra polemica contro la

communis opinio: per Coquille la communis opinio è espressione di un macchinismo sterile

(ma in realtà non era così, nel senso che non era limitato ad un mero conteggio delle opinioni

ma vi era anche un criterio qualitativo); aggiunse che se pur dovessimo servircene, bisognava

cercare dei criteri attendibili:

- disinteresse dei giuristi nel parlare di quella data materia [v. basso medioevo, §11.1.];

- che siano opinioni recenti, espressive della evoluzione della realtà giuridica (le antiche

opinioni invece, erano inutili).

Valorizzazione del diritto consuetudinario francese

8.3.

Alla polemica contro i giuristi e contro la scienza giuridica si accompagna una netta

valorizzazione del diritto consuetudinario francese: fece riferimento ad una polemica

che aveva avuto per protagonisti due alti magistrati (primi presidenti del Parlamento di

Parigi): Pierre Lizet e Christophe De Thou; non avendo gli scritti di questi magistrati

dobbiamo fidarci di ciò che dice Coquille sulle loro posizioni (anche Arthur Duck farà

riferimento alle contrastanti opinioni dei due magistrati attingendo a Coquille). Pierre Lizet

aveva sostenuto la tesi tradizionale secondo cui l’espressione “diritto comune” andava intesa

solo come diritto romano, mentre Christophe De Thou, invece, aveva sostenuto che il

“diritto comune” fosse anche un diritto comune consuetudinario francese, quest’ultima

posizione condivisa da Coquille.

Qui vi è una sottolineatura importante: siccome in Francia il diritto comune non va inteso solo

come diritto romano ma anche come diritto consuetudinario, non si applicano i principi

che la scienza giuridica italiana aveva elaborato per l’interpretazione degli statuti (i criteri

secondo cui gli statuti erano privi di forza espansiva ed andavano interpretati secondo le

categorie del diritto comune romano, per cui lo statuto che andava in contrasto con il diritto

29 l’espressione allude all’assunzione da parte dei forensi di un’autonomia in sede di riunioni degli Stati; infatti, accadeva

spesso che i togati si riunissero autonomamente prima dell’assemblea per concordare le decisioni da prendere o i discorsi

da fare (prima che si riunisse il terzo stato, cioè il popolo).

romano andava interpretato restrittivamente), per cui vi è una forte rivendicazione della

peculiarità dell’esperienza giuridica francese rispetto all’esperienza italiana.

9. JEAN BODIN E IL LEGICENTRISMO

La dipendenza dal pensiero giuridico medievale

9.1.

La Francia della seconda metà del ‘500 è la Francia di Jean Bodin (1530-1596) considerato il

padre del concetto moderno di sovranità. L’opera di Bodin (I sei libri della Repubblica) è stata

oggetto di diverse interpretazioni, perché alcuni hanno teso a sottolineare la modernità delle

sue posizioni e il carattere innovativo, altri invece ne hanno sottolineato la dipendenza dal

pensiero giuridico medievale e soprattutto dal modo di argomentare dei giuristi

medievali (un metodo tipicamente medievale per cui si faceva un larghissimo uso di citazioni

di altri giuristi; cd. argomentum ab auctoritate, fortemente criticato in quanto si riteneva

che non avesse senso citare sfilze di autori senza sostenere una propria tesi individuale).

Potremmo però dire che questo fosse un modo di procedere prudente, in quanto sapeva di

doversi interfacciare con un pubblico fortemente attaccato agli antichi modi di

argomentazioni, ma in realtà il suo pensiero è fortemente innovativo.

Opinioni su diritto e giurisprudenza

9.2.

La legge come cifra del sovrano e la critica al consensus gentium In Bodin abbiamo

un’assoluta affermazione della centralità e del primato della legge, fortemente ricollegata

alla figura del sovrano (la legislazione è intesa come la cifra della sovranità): affermava

infatti che il sovrano dovesse fare la pace e la guerra, ma il suo compito è principalmente

quello di abrogare e fare le leggi (e dunque, il ruolo di legislatore) – per cui vi è una netta

presa di distanze dalla iurisdictio globale.

Conseguenzialmente, critica la visione per cui la legge è fondata sul consenso del popolo

(come la receptae in usum): la legge è espressione della voluntas principis, attraverso la

quale il sovrano sceglie e decide. Nonostante ciò, non bisogna pensare che nella visione di

Bodin il potere sia privo di limiti: la legge del principe, infatti, trova dei grandi limiti nella

legge divina e naturale, ma soprattutto nelle leggi fondamentali, cioè quelli leggi

costituzionali francesi non scritte (come la legge salica, che disciplinava la successione

dinastica).

La relativizzazione della giurisprudenza Bodin operò una distinzione tra tre

regioni/aree:

- Nord: i popoli nordici sono dei popoli in cui è forte l’attitudine per la guerra e per l’arte

militare (dal nord provengono infatti i popoli barbarici;

- Meridione (arabi): i popoli meridionali hanno invece particolari attitudini scientifiche

e filosofiche;

- Centro: i popoli delle regioni intermedie invece avevano una spiccata attitudine per il

diritto e tutto ciò che riguardava la scienza e l’organizzazione politica.

Sulla base di questa divisione, affermò che la soluzione di affidare ai togati un ruolo

importante non si adattasse a tutti i contesti e a tutti gli stati (mentre Hotman riteneva

che la mediazione giuridica fosse sbagliata a prescindere): da qui ne traiamo l’implicazione

della critica all’universalità della giurisprudenza, essa non è una scienza universale ma si

adatta solamente a determinati contesti (cd. relativizzazione della giurisprudenza): sulla

base di ciò Bodin afferma che l’errore del re Mattia Corvino I [v. §7.2.2] era stato quello di

voler adattare ad una realtà profondamente diversa dall’Italia – qual era quella

dell’Ungheria – una soluzione imperniata sul primato dei giuristi.

L’evoluzione dell’opinione sul diritto romano Inerentemente alla posizione nei confronti

del diritto romano, c’è una forte evoluzione delle posizioni di Bodin: nel 1559 in un’orazione

tenuta nell’Università di Tolosa aveva sostenuto la sacertà del diritto romano e aveva speso

a favore di quest’ultimo i classici argomenti che spendevano i giuristi della tradizione. Ma

cambiò posizione nel ‘’Metodus’’, in cui ne aveva fortemente ridimensionato il peso, mentre

nei ‘’Sei libri della repubblica’’ (1576) riteneva addirittura che preferire il diritto romano alla

legge del principe costituisse un crimen lesae maestatis, e quindi arriva a criticare il

diritto romano a favore della legislazione principesca. La posizione di Bodin non era

condivisa da molti: i giuristi, infatti, spesso facevano e volevano continuare a fare

riferimento al diritto romano.

La posizione sulle forme di governo

9.3.

Poi vi è la posizione sulle forme di governo: l’impero, secondo Bodin, non era una monarchia

ma un’aristocrazia in quanto chi conta realmente sono i principi che eleggono

l’imperatore; criticò fortemente la democrazia, in quanto riteneva che l’uguaglianza

economica fosse un’aberrazione, ed ancor di più quella politica ritenendo che fosse assurdo

pensare che tutti gli uomini potessero esercitare il potere - perché ci sono alcuni uomini

‘’angeli’’ ed altri uomini ‘’bestie’’ - per cui l’uguaglianza era completamente contronatura.

L’aristocrazia era meno irrazionale della democrazia, ma il modello politico per eccellenza

è la monarchia in quanto in essa il sovrano, proprio perché non ha nessuno al di sopra di sé

e non può essere surclassato da nessun altro, può scegliere i migliori e farsi coadiuvare da

chi preferisce. [approfondimento: riflessione sulla schiavitù di Bodin]

Nel primo libro dei ‘’Sei libri della Repubblica’’ fece una riflessione a proposito dell’istituto

della schiavitù (ius gentium), passando in rassegna diverse opinioni inerenti al fondamento

della schiavitù:

- un argomento, rigettato da Bodin, era quello secondo cui lo schiavo è il prigioniero di

guerra e dovrebbe essere grato di essere ancora vivo ed essere solo schiavo;

- un altro argomento era quello secondo cui il vero schiavo è l’ignorante per cui lo schiavo

intelligente finisce lui per dominare sul padrone, anche questo viene rigettato in quanto

è un argomento perlopiù s

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A.A. 2023-2024
105 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/19 Storia del diritto medievale e moderno

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher antobiondo2013 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto medievale e moderno e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Napoli - Parthenope o del prof Luongo Dario.