Caratteri comuni
Tali rimedi rivestono un carattere preventivo e cautelare; preventivo perché vi si può ricorrere prima
che l’inadempimento si consumi e che la responsabilità patrimoniale del debitore si concretizzi
nell’azione esecutiva – cautelare perché la conservazione del patrimonio del debitore non è in grado
di soddisfare l’interesse del creditore, ma è prodromico e funzionale a tale soddisfacimento nella
misura in cui preserva le condizioni materiali idonee a consentirlo. È ben difficile che un creditore
garantito da un pegno, da un’ipoteca o da un privilegio speciale ricorre ad uno dei rimedi indicati
perché egli è già ampiamente tutelato sia dal diritto di seguito attribuitogli sul bene sia dal diritto di
preferenza attribuitogli sul ricavato della vendita. Accanto all’azione surrogatoria, all’azione
revocatoria e al sequestro conservativo l’ordinamento contempla anche altri rimedi diretti a
preservare la garanzia patrimoniale del credito, il cui ambito di operatività non ha portata generale ma
è legato ad ipotesi specifiche.
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L’art. 2900 attribuisce al creditore la legittimazione a sostituirsi al debitore nell’esercizio di un diritto o
di un’azione che questi, pur essendone titolare, ometta di far valere nei confronti dei terzi. Tali inerzia
incide negativamente sul patrimonio del debitore sia perché ne impedisce un possibile incremento
sia perché ne può causare un decremento. Incidendo negativamente sul patrimonio del debitore,
l’inerzia pregiudica anche la garanzia patrimoniale del credito, riducendo le possibilità che il creditore
consegua il soddisfacimento coattivo del proprio diritto.
Precisazioni terminologiche e concettuali
Il rimedio in parola e nodo come azione surrogatoria; sarebbe preferibile dire che al creditore è
attribuita una legittimazione surrogatoria all’esercizio dei diritti del proprio debitore. Ciò per due
ragioni; in primo luogo questa surrogazione può risolversi anche in un’attività stragiudiziale – in
secondo luogo quando il creditore agisce in giudizio in luogo del proprio debitore egli non esercita
un’azione individuata dal legislatore in via tipica, ma promuove in via surrogatoria l’azione che di volta
in volta compete al debitore. Il creditore in surrogatoria opera nel proprio interesse perché è mosso
dall’esigenza di preservare la garanzia patrimoniale, ma agisce pur sempre nomine alieno, cioè in
luogo del proprio debitore, poiché fa valere un diritto di costui. A ciò si potrebbe obiettare che l’art.
2900 investe il creditore del diritto potestativo di sostituirsi al proprio debitore inerte, ma il contenuto
di questo diritto potestativo si specifica pur sempre nel diritto che di volta in volta il creditore fa valere
in luogo del debitore medesimo. Le osservazioni precedenti trovano un riscontro nella circostanza
per cui gli effetti dell’utile esperimento delle prerogative nelle quali il creditore si sostituisce al
debitore ricadono nel patrimonio di quest’ultimo. L’azione surrogatoria non ha e non può avere un
esito direttamente satisfattorio delle ragioni del creditore e il risultato della conservazione della
garanzia patrimoniale già realizza pienamente l’interesse cautelare che muove il creditore. L’azione
surrogatoria è esperibile solo in presenza di tre presupposti. È necessario che l’attore vanti
effettivamente un credito nei confronti di colui al quale si sostituisce; non è necessario però che tale
credito sia liquido ed esigibile.
Presupposti
Il secondo presupposto è rappresentato dall’inerzia del debitore, la quale rileva indipendentemente
dalla circostanza che essa sia imputabile o meno al debitore medesimo. Il terzo presupposto è
individuabile nel periculum damni; è necessario che l’inerzia del debitore determini un pericolo attuale
di un pregiudizio futuro, pregiudizio consistente anche in una mela diminuzione delle possibilità di
ottenere il soddisfacimento coattivo del credito attraverso l’espropriazione forzata. L’aspetto più
problematico della disciplina in esame è rappresentato dalla esatta individuazione dei diritti che il
creditore può esercitare in luogo del debitore.
Ambito di applicazione
Una prima indicazione al riguardo si ricava dalla circostanza che l’art. 2900 si riferisca ai diritti e alle
azioni che spettano al debitore verso terzi, ossia a posizioni di vantaggio che si radicano all’interno di
un rapporto giuridico. Da ciò si desume che il creditore non può sostituirsi al proprio debitore
nell’esercizio dei diritti reali, i quali prescindono da un contesto relazionale. La legittimazione
surrogatoria inoltre è circoscritta dall’art. 2900 ai diritti che abbiano contenuto patrimoniale e che
possano essere esercitati anche da un soggetto diverso dal loro titolare. Quanto al limite della
patrimonialità, esso inerisce strutturalmente al rimedio in discorso perché l’azione surrogatoria, quale
mezzo di conservazione della garanzia patrimoniale, ha un senso solo in relazione a quelle situazioni
giuridiche il cui mancato esercizio può incidere su quest’ultima. La concreta applicazione di tale
limite è più problematica di quanto potrebbe apparire perché quasi tutte le situazioni giuridiche
presentano un qualche profilo di ordine patrimoniale in tesi idoneo a giustificare una legittimazione
surrogatoria del creditore. Il fatto che un’azione possa avere conseguenze indirette sul piano
patrimoniale non è sufficiente a riconoscere il carattere patrimoniale alla situazione giuridica fatta
valere; ciò che qualifica un diritto sono solo le ricadute immediate del suo esercizio. Più complesso
risulta identificare la classe dei diritti nei quali il creditore non può sostituirsi al debitore perché
inerenti alla persona di quest’ultimo. L’interpretazione prevalente ritiene che la disposizione in esame
riguardi quelle situazioni giuridiche il cui esercizio è connotato da una discrezionalità qualificata, ove
la scelta in ordine all’opportunità di esercitare o di non esercitare il diritto rimanda a valutazioni
strettamente personali rispetto alle quali il creditore non può pretendere di sostituirsi al debitore e ciò
perché il diritto finirebbe per investire anche una dimensione morale o affettiva.
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Ove il debitore abbia compiuto un atto di disposizione che “rechi pregiudizio alle ragioni del
creditore” questi può promuovere l’azione revocatoria al fine di ottenere che l’atto di disposizione sia
dichiarata inefficace nei suoi confronti, ossia inopponibile.
Finalità
Si spiega perché l’ordinamento predisponga quale mezzo di conservazione della garanzia
patrimoniale un rimedio diretto a rendere inopponibile al creditore l’atto di disposizione posto in
essere dal debitore; ciò al fine di consentirgli di assoggettare alle sue pretese il bene che di quell’atto
ha costituito oggetto come se esso non fosse mai fuoriuscito dal patrimonio del debitore. È
opportuno precisare che l’atto revocato e resta valido ed efficace erga omnes, la sua inefficacia
riguarda il solo creditore attore in revocatoria. Ciò significa che nella procedura esecutiva da questi
promossa, gli altri creditori del disponente non potranno intervenire; viceversa, potranno intervenire i
creditori del terzo acquirente del bene, atteso che il bene medesimo era ormai diventato parte
integrante del patrimonio di quest’ultimo. Anche sotto il profilo oggettivo, lino punibilità che consegue
all’utile esercizio dell’azione revocatoria risulta circoscritta a quanto strettamente necessario alla
conservazione della garanzia patrimoniale e alla cura e semplice rimozione dell’ostacolo che
l’alienazione del bene comporta per la sua credibilità da parte del creditore.
e presupposti del rimedio
Venendo ai presupposti dell’azione revocatoria va detto che il primo di essi è rappresentato dalla
effettiva sussistenza del credito, ancorché soggetto a termine o condizione. L’azione revocatoria può
colpire solo gli atti di disposizione. Tali sono gli atti con i quali si trasferisce la proprietà di un bene –
quelli con cui si costituisce su un bene un diritto reale di godimento o di garanzia – quelli con cui il
debitore assume un’obbligazione verso un terzo. È innegabile che anche l’assunzione di
un’obbligazione può compromettere la garanzia patrimoniale del creditore, nella misura in cui amplia
il novero di coloro che concorreranno sul patrimonio del comune debitore; peraltro, l’art. 2901, co. 2
contempla la revocabilità degli atti con i quali viene prestata una garanzia, senza distinguere tra
garanzie reali e garanzie personali. Non è soggetto a revoca, per espressa previsione normativa e
diversamente dal debito prescritto, l’adempimento di un debito già scaduto. Perché un atto di
disposizione possa essere revocato, esso deve recare pregiudizio alle ragioni del creditore. Questo
ulteriore presupposto noto come eventus damni ricorre quando l’atto comporta una diminuzione del
patrimonio del debitore orrenda più difficoltosa il soddisfacimento delle ragioni creditorie. Infine, la
legge individua un presupposto di carattere soggettivo, il quale si atteggia diversamente a seconda
che l’atto di disposizione posto in essere dal debitore sia a titolo gratuito o a titolo oneroso. Nel
primo caso è sufficiente che il debitore fosse consapevole del pregiudizio procurato dall’atto al suo
creditore (scientia damni); peraltro non è necessario provare la conoscenza effettiva dell’eventus
damni, essendo sufficiente che quest’ultimo fosse quantomeno conoscibile. Quando l’atto di cui si
chiede la revoca sia a titolo oneroso il creditore dovrà provare che anche il terzo acquirente era a
conoscenza dell’incidenza negativa dell’atto sul patrimonio del debitore; trattandosi di un atto a titolo
oneroso il legislatore ne subordina la revoca alla mala fede dell’acquirente secondo quel principio di
meritevolezza dell’affidamento nella stabilità dell’atto che trova applicazioni numerose altre ipotesi.
L’atto pregiudizievole potrà essere revocato perfino se il posto in essere prima del sorgere del
credito, ma soltanto se il creditore riuscirà a dimostrare la dolosa preordinazione (consilium fraudis),
quindi non la semplice consapevolezza ma la volontà di arrecargli pregiudizio, che non deve
necessariamente trasfigurarsi in dolo specifico bastando il mero dolo generico da parte del debitore e
ove l’atto sia a
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