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La deculturazione e il culturocentrismo
La deculturazione è il fenomeno della perdita di caratteri della propria cultura a favore di altri, perdita che può essere dovuta a un determinato fatto culturale che viene considerato non più in grado di soddisfare un bisogno umano. Quando vengono persi tutti gli elementi culturali, e si ha una sostituzione di interi modelli, si chiama assimilazione.
Quando parliamo di atteggiamenti centrici si parla di tutti quegli atteggiamenti scaturiti dall'incontro con gli altri, col diverso, dove, però, si tende a vedere ed analizzare le cose secondo il proprio punto di vista. Questo diverso modo di declinarsi fa sì che si possa parlare di culturocentrismo, etnocentrismo, urbanocentrismo, androcentrismo, antropocentrismo, eurocentrismo, egocentrismo, ecc.
A seconda di chi è l'altro con cui interagiamo prevale uno di questi centrismi, i quali vengono considerati l'auto certezza di tutti raggruppati nel culturocentrismo. L'antropocentrismo,
invece, essere la specie migliore e superiore rispetto alle altre, autoconsapevolezza che ci porta a considerare tutto il resto in funzione dell'uomo - specismo. Il culturocentrismo è un atteggiamento mentale spesso non dichiarato e più o meno consapevole dove viene ritenuta la propria cultura migliore e superiore rispetto a quella degli altri. Questo crea delle gerarchie, delle situazioni diseguali. È, quindi, la tendenza a considerare il proprio gruppo di appartenenza come il centro di ogni cosa. Siamo portati spontaneamente ad essere culturocentrici, dove il soggetto giudicante seleziona ed utilizza i metri di paragone e di giudizio in base ai quali far scaturire la propria superiorità. Gastrocentrismo è una declinazione del culturocentrismo, incentrato sul definire il proprio "il cibo italiano è il migliore al mondo", cibo migliore rispetto a quello degli altri. Esempio, ma lo decidiamo noi che siamo abituati a mangiare così.un giapponese direbbe che la sua cucina è la migliore al mondo. Dismissione del culturocentrismo, concetto che nasce negli anni '20.
Relativismo culturale: del '900, con il riconoscimento delle diversità che esistono tra le culture e tra i popoli, e che le diversità facciano in modo che non sia possibile creare delle gerarchie. Essendo le culture così diverse, non possono essere misurate tra di loro: sono grandezze immisurabili, quindi nessuna prevale sull'altra.
Langue: L'antropologia fa propri dei concetti elaborati nell'ambito della linguistica: la langue è quel codice interindividuale che tutti quanti posseggono e che stabilisce in maniera univoca le relazioni tra significati e significanti, il che rende possibile la comunicazione, altrimenti non riusciremmo a trasportare il nostro pensiero in una maniera comprensibile all'altro, sia verbale che no. Questo collegare un significante a un significato specifico avviene attraverso
Il processo di significazione. L'antropologia è, infatti, un sapere che ricerca i significati.
Parole: L'atto concreto dei membri della comunità che comunicano attraverso la langue, ovvero qualsiasi atto che compiamo per soddisfare i nostri bisogni attuando la langue.
La cultura serve a caratterizzarci come uomini, in quanto abbiamo bisogno di rimarcare la differenza rispetto agli altri attraverso il nostro modo di comportarci. La cultura è tutto ciò di cui l'uomo si serve per soddisfarsi. La cultura non è facile da definire, in quanto comprende tutti i ragionamenti per ottenere ciò che vuole.
Il vino è cultura liquida.
Il vino non esiste in natura, ma nasce da un procedimento chimico attuato dall'uomo. Carattere normativo e prescrittivo della cultura: spesso la cultura e le tradizioni sembrano più potenti e influenti della legge stessa. Il concetto di "buono".
fortemente plasmato dalla cultura. Il cibo diventa portatore di significato grazie alla cultura, e il collegamento tra significato e l'obbligare e condizionare i nostri comportamenti. Il significante finisce anche.
Esistono due modalità diverse attraverso le quali è possibile spiegare i diversi comportamenti culturali: il punto di vista emico è il modo di spiegare la cultura dal punto di vista di chi ne è portatore e che la attua, interpretando la cultura dal punto di vista di chi è organico a quella cultura. Il punto di vista etico, invece, descrive un comportamento secondo una prospettiva estranea, ovvero è quel livello di spiegazione esterno al sistema culturale all'interno del quale si svolge quel comportamento, utilizzando metodi a livelli generali con una visione oggettiva.
La prospettiva antropologica sul cibo
La prospettiva antropologica del cibo non focalizza le sue attenzioni sulla costruzione chimica del cibo, non si conclude
all'interno del rapporto gastronomico che abbiamo col cibo, o dell'antropologo, cibo come merce, nonostante questo faccia parte della ricerca antropologica. Inoltre, non è interessato alle combinazioni di cibo possibili. La prospettiva antropologica, invece, si concentra sul capire perché si fanno inclusioni o esclusioni di determinati cibi. Noi uomini, infatti, facciamo del cibo degli usi che fuoriescono dal semplice fabbisogno fisiologico di nutrirsi. L'élite e la massa hanno un dialogo con il cibo di tipo dialettico, in quanto l'élite pratica la sua distinzione con beni e cibi particolari, mentre le masse cercano di imitarli utilizzando gli stessi beni. Ma, appena l'élite si accorge della diffusione dei propri beni quindi, un lusso diffuso - smette di considerali come elitari: è il caso, questo, del consumo vistoso. Il cibo diventa un oggetto culturale, diventando identità e territorialità, e inmaniera più o meno consapevole tutti quanti ricerchiamo nel cibo questi significati che gli diamo. Il cibo oltre ad essere bisogno, al cospetto dell'esperienza umana, diventa qualcosa che oltre ad essere identificante diventa anche fatto sociale totale, ovvero il cibo è un fatto totale, nel senso che si diramano all'interno di tutti i campi del vivere umano. Si pone il suo uso e i suoi significati come elemento di intersezione attraverso il quale diversi umani interagiscono tra di loro. Si intende dire che con esso l'uomo ha instaurato un rapporto diverso, basato sull'adeguamento e sulla trasformazione, basato sull'acquisizione di nozioni che vengono tramandate nelle generazioni. Tuttavia, non è stato sempre così: all'inizio che l'uomo ha fatto propria con i mezzi che aveva il cibo era solo una fonte energetica cultura quando l'uomo ha inizianoA cucinare il cibo, disposizione. È diventato, invece, instaurando un rapporto culturale con il cibo iniziando a cuocerlo, iniziando, quindi, a diventare innescato, tutta una serie di cambiamenti effetti domino di cui noi siamo i terminali. Come sia nata la cottura del cibo non è semplice da sapere con esattezza, ma si può immaginare che sia nata per caso. E, prima che l'uomo iniziasse a produrre oggetti culturali, si avvaleva di elementi naturali per realizzare la bollitura: ad esempio, cibo scozzese che viene bollito all'interno dello stomaco del bovino. Il pretendere sempre di più dal cibo ha portato a modalità sempre più dettagliate di trattare il cibo, come la salatura, applicando il principio di causa effetto.
Come nel realizzare il formaggio, se io aggiungo questo elemento illatte si solidifica. L'Unesco ha iniziato nel 2010 a includere nei propri patrimoni anche quelli considerati immateriali, ovvero il mangiare, iniziando con la dieta mediterranea, la quale non solo viene considerata espressione di cultura di una zona ben delimitata, ma anche per i suoi caratteri di universalità; e, sempre nel 2010, l'UNESCO ha riconosciuto come elemento culturale il modello di mangiare francese, la cultura messicana. Queste valutazioni non si basano solo sull'aspetto del cibo, ma su tutto quello che c'è intorno, quindi il realizzare e sull'aspetto del cibo, il condividerlo, ovvero tutto quello che lo rende cultura.
Le funzioni culturali e identitarie del cibo - La nostra selettività nel mangiare determinati alimenti piuttosto che altri escluse ovviamente le patologie alimentari dipende dalle nostre basi culturali, rendendo le nostre diete molto limitate.
Rispetto a quello che potremmo davvero mangiare, escludendo cose che altre culture invece consumano giornalmente. Siamo, quindi, degli onnivori dimezzati (perché potremmo mangiare di tutto invece scegliamo di non farlo) ma con una dimensione aumentata nei confronti del cibo (perché siamo gli unici essere viventi a dare a quello che mangiamo un significato superiore a quello fisiologico); quindi, vediamo nei cibi non solo i loro nutrienti, ma cose che non fanno parte della struttura molecolare ma che noi conferiamo.
Gli uomini con la loro cultura affidano al cibo una pluralità di significati che poi devono essere codificati, e l'antropologia, nel suo essere problematizzazione dell'ovvio, ha proprio questo compito con l'obiettivo non solo conoscitivo, portando a maggiore consapevolezza di quello che facciamo, ma con obiettivi diversi in quanto si possono utilizzare queste conoscenze in campi disparati, come il turismo. Ha dato all'uomo un grande vantaggio.
competitivoCucinare il cibo rispetto agli altri animali, dando all'uomo la possibilità di adattarsi a maniere diverse di ottenere gli alimenti, disponendo di una tipologia molto più ampia di cibo, che senza la cottura non avrebbe ottenuto esempio, le patate diventando, così, non più un animale ad alimentazione specializzata (ovvero che mangia una sola cosa per tutta la vita, tipo i panda con il bambù). La cottura del cibo ha permesso all'uomo anche di viaggiare in luoghi di diversi climi adattandosi alle differenze climatiche e soprattutto dei regimi alimentari. Agire trasformativamente sulle cose. Il collegamento tra cibo e identità culturale si fonda su varie ragioni, come il paragone con buono all'interno della macchina e quella andrà la macchina: metti un carburante molto bene. Nutrirsi significa ingerire tutti i materiali chimici del cibo per renderli parte integrante del nostro corpo, trasformandolo nel nostro stesso essere.