saepe inter nimbos guttae cecidere cruentae
caerulus et vultum ferrugine Lucifer atra 790
sparsus erat, sparsi Lunares sanguine currus
tristia mine locis. Stygius dedit omina bubo,
mille locis lacrimavit ebur cantusque feruntur
auditi sanctis et verba minantia lucis.
victima nulla litat magnosque instare tumultus 795
fibra monet caesumque caput reperitur in extis
inque foro circumque domos et templa deorum,
nocturnos ululasse canes umbrasque silentum
erravisse ferunt motamque, tremoribus urbem.
non tamen insidias venturaque vincere fata 800
praemonitus potuere deum strictique feruntur
in templum gladii; neque enim locus ullus in Urbe
ad facinus diramque placet, nisi curia, caedem.
tum vero Cytherea manu percussit utraque
pectus et Aeneaden molitur condere nube, 805
qua prius infesto Paris est ereptus Atridae
et Diomedeos Aeneas fugerat enses.
talibus hanc genitor: "sola insuperabile fatum,
nata, movere paras? intres licet ipsa sororum:
tecta trium; cernes illic molimine vasto 810
ex aere et solido rerum tabularia ferro,
quae neque concussum caeli neque fulminis iram
nec metuunt ullas tuta atque aeterna ruinas.
invenies illic incisa adamante perenni
fata tui generis; legi ipse animoque notavi 815
et referam, ne sis etiamnum ignara futuri.
hic sua complevit, pro quo, Cytherea, laboras,
tempora perfectis, quos terrae debuit, annis.
ut deus accedat caelo templisque colatur,
tu facies natusque suus; qui nominis heres 820
impositum feret unus onus, caesique parentis
nos in bella suos fortissimus ultor habebit.
illius auspiciis obsessae moenia pacem
victa petent Mutinae; Pharsalia sentiet illum
Emathiique iterum madefient caede Philippi 825
et magnum Siculis nomen superabitur undis;
Romanique ducis coniunx Aegyptia taedae
non bene fisa cadet frustraque erit illa minata
servitura suo Capitolia nostra Canopo.
quid tibi barbariam gentesque ab utroque iacentes 830
oceano numerem? quodcumque habitabile tellus
sustinet, huius erit; pontus quoque serviet illi.
pace data terris, animum ad civilia vertet
iura suum legesque feret iustissimus auctor
exemploque suo mores reget inque futuri 835
temporis aetatem venturorumque nepotum
prospiciens, prolem sancta de coniuge natam
ferre simul nomenque suum curasque iubebit;
nec nisi cum senior Pylios aequaverit annos,
aetherias sedes cognataque sidera tanget. 840
hanc animam interea caeso de corpore raptam
fac iubar, ut semper Capitolia nostra forumque
divus ab excelsa prospectet Iulius aede.
Vix ea fatus erat, media cum sede senatus
constitit alma Venus, nulli cernenda, suique 845
Caesaris eripuit membris nec in aëra solvi
passa recentem animam caelestibus intulit astris;
dumque tulit, lumen capere atque ignescere sensit
emisitque sinu; luna volat altius illa
flammiferumque trahens spatioso limite crinem 850
stella micat; natique videns benefacta fatetur
esse suis maiora et vinci gaudet ab illo.
hic sua praeferri quamquam vetat acta paternis,
libera fama tamen nullisque obnoxia iussis
invitum praefert unaque in parte repugnat. 855
sic magni cedit titulis Agamemnonis Atreus;
Aegea sic Theseus, sic Pelea vicit Achilles.
denique, ut exemplis ipsos aequantibus utar,
sic et Saturnus minor est Iove; Iuppiter arces
temperat aetherias et mundi regna triformis; 860
terra sub Augusto; pater est et rector uterque.
di, precor, Aeneae comites, quibus ensis et ignis
cesserunt, dique Indigetes genitorque Quirine
urbis et invicti genitor Gradive Quirini
Vestaque Caesareos inter sacrata penates 865
et cum Caesarea tu, Phoebe domestice, Vesta,
quique tenes altus Tarpeias Iuppiter arces,
quosque alios vati fas appellare piumquest,
tarda sit illa dies et nostro serior aevo,
qua caput Augustum, quem temperat, orbe relicto, 870
accedat caelo faveatque precantibus absens.
Iamque opus exegi quod nec Iovis ira nec ignis
nec poterit ferrum nec edax abolere vetustas.
cum volet, illa dies, quae nil nisi corporis huius
ius habet, incerti spatium mihi finiat aevi; 875
parte tamen meliore mei super alta perennis
astra ferar nomenque erit indelebile nostrum;
quaque patet domitis Romana potentia terris,
ore legar populi perque omnia saecula fama,
siquid habent veri vatum praesagia, vivam
TRADUZIONE
A questi (eroi) tuttavia si aggiunse un estraneo ai nostri templi:
Cesare è un dio nella sua città; e lui che più di chiunque altro
fu eccelso nelle guerre e nella toga,
non tanto le guerre finite con trionfi,
le imprese compiute in pace e la gloria delle azioni accelerate
l’innalzarono a una nuova stella cometa in cielo,
quanto la sua discendenza; infatti degli atti di Cesare
non vi è impresa maggiore che il fatto d’esser padre di questo (Augusto).
In verità è più importante aver domato i Britanni
e aver guidato navi vittoriose lungo i sette rami
del Nilo colmo di papiro,
aver domato i Numidi ribelli,
Giuba, e il Ponto famoso per il nome di Mitridate,
averlo aggiunto al popolo romano,
aver meritato molti trionfi, averne ottenuti alcuni,
piuttosto che aver generato un tale uomo?
Con quale guida degli eventi, o dei, avete favorito così tanto il genere umano?
Perciò, affinché non sembrasse nato da seme mortale,
bisognava farlo diventare un dio: e quando la madre di Enea (Venere)
vide ciò, e vide anche che si preparava
una morte crudele per il pontefice (Cesare)
e che si muovevano armi congiurate,
impallidì, e rivolgendosi a ogni divinità presente disse:
"Guarda – diceva – con quanto grande congiura
si prepara un'insidia al mio discendente
e si tenta, con inganno, la sua testa:
quello che solo mi resta di Iulo Dardanide.
Sola sarò sempre tormentata da giusti dolori?
Lui che fu colpito dalla lancia di Diomede,
poi le mura di Troia non difese bene caddero;
lui che ho visto peregrinare a lungo,
gettato nel mare, scendere nel regno dei morti,
combattere con Turno, anzi – se diciamo il vero – con Giunone.
Perché ora ricordo i vecchi dolori?
Il timore attuale non mi consente di ricordare i dolori passati:
vedete i pugnali contro di me affilati,
voi, dei, impedite il crimine, respingete l’empietà,
e non spegnete con il sangue del sacerdote le fiamme di Vesta!"
Inutilmente così parlava ansiosa Venere all’intero cielo
e commuoveva gli dei: che, sebbene non possano
infrangere i decreti delle Parche,
diedero comunque chiari segni di lutto futuro.
Si udirono armi fra nere nubi,
terribili trombe e corni risuonarono nel cielo,
il sole pallido dava sinistri lumi alla terra,
spesso fiamme arsero tra le stelle,
e spesso caddero gocce di sangue tra le nubi,
Lucifero fu visto velato di ferro e ferrugine,
la Luna macchiò di sangue il suo carro.
Il gufo stigeo portò lugubri presagi,
ebbe lacrime l’avorio delle statue, si udirono
voci nei templi, parole minacciose.
Nessuna vittima era accettabile,
le viscere avvisarono di gravi eventi,
si trovò una testa mozzata nelle viscere,
si udirono i cani ululare nella città e
ombre dei morti errarono, la città tremò.
Ma neppure i segni e i presagi
poterono evitare il destino,
e si riferisce che furono estratti i pugnali nel tempio:
nessun luogo piacque per il delitto,
se non la curia.
Allora Venere colpì il petto con entrambe le mani
e cercò di sottrarre il discendente di Enea con una nube
come già aveva sottratto Paride da Menelao
e Enea dalle armi di Diomede.
Allora il padre (Giove) così a lei:
"O figlia, cerchi tu sola di vincere il destino invincibile?
Puoi pure entrare nel palazzo delle Parche:
vedrai i registri incisi con adamante eterno
che non temono crolli del cielo o del fulmine.
Ho letto io stesso e ricorderò:
per lui, che tu difendi, il tempo terreno è compiuto.
Ora come dio salirà al cielo e sarà venerato nei templi,
tu e suo figlio ne farete un nume.
Il figlio erediterà il nome,
sarà vendicatore del padre ucciso,
riporterà la pace a Modena, a Farsalo,
e i campi di Filippi saranno di nuovo insanguinati,
supererà Pompeo sulle acque della Sicilia,
la moglie egiziana del duce romano cadrà,
e inutilmente minaccerà il Campidoglio.
Perché ti nomino i barbari?
Qualunque terra abitata sarà sua, anche il mare.
Data la pace, si volgerà alle leggi civili
e guiderà i costumi con l’esempio.
Guardando al futuro,
darà al figlio il proprio nome e il peso del governo
e, quando avrà raggiunto l’età di Nestor,
salirà in cielo tra le stelle.
Intanto tu rendi stella la sua anima,
perché vegli divino sul foro e sul Campidoglio
dal tempio di Giulio."
Appena disse queste cose,
Venere si fermò nel mezzo del Senato (invisibile),
strappò l’anima di Cesare e,
non permettendo che svanisse in aria,
la condusse fra gli astri;
e mentre la portava, sentì che si accendeva
e la vide diventare una cometa,
che brillò nel cielo.
E vedendolo, il figlio (Ottaviano) riconobbe
che le sue imprese erano superate da quelle del padre
e fu lieto d’essere vinto.
Anche se impediva che le sue gesta superassero quelle paterne,
la fama libera lo fa comunque,
come Atreo fu superato da Agamennone,
Egeo da Teseo, Peleo da Achille.
Così Saturno fu superato da Giove:
Giove regge il cielo, Augusto regge la terra.
O dei, vi prego:
fate che quel giorno sia lontano,
quel giorno in cui Augusto abbandonerà il mondo
e salirà in cielo e protegga, assente, i devoti.
Tuttavia, con la parte migliore di me (cioè la mia fama),
sarò portato, eterno, al di sopra delle alte stelle,
e il mio nome sarà indelebile;
e dovunque si estenda la potenza romana sulle terre sottomesse,
sarò letto dalla bocca del popolo, e attraverso tutti i secoli, nella fama;
se qualcosa di vero hanno le profezie dei poeti, vivrò.
Verbo latino Traduzione Tempo e modo
accessit si aggiunse perfetto indicativo attivo
est è presente indicativo attivo
vertere trasformarono perfetto indicativo attivo
egisse aver compiuto perfetto infinito attivo
favistis avete favorito perfetto indicativo attivo
foret fosse imperfetto congiuntivo attivo
faciendus erat doveva essere fatto perifrastica passiva (imperfetto)
vidit vide perfetto indicativo attivo
dicebat diceva imperfetto indicativo attivo
iacit lancia presente indicativo attivo
movet commuove presente indicativo attivo
possunt possono presente indicativo attivo
dant danno presente indicativo attivo
cadunt, micat cadono, brilla presente indicativo attivo
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