Concetti Chiave
- La Jugoslavia post-Prima Guerra Mondiale nacque dall'unione di Serbia, Montenegro, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Slovenia, ospitando popolazioni etnicamente diverse e spesso in conflitto.
- Le tensioni etniche in Jugoslavia sfociarono in violenze, aggravate dall'occupazione italiana e tedesca nel 1941, portando alla creazione di uno stato fascista croato indipendente.
- La repressione italiana in Jugoslavia fu caratterizzata da metodi brutali, con internamenti di massa e rappresaglie, giustificati da Mussolini come dimostrazioni di forza.
- I partigiani jugoslavi, guidati da Tito, opposero resistenza agli invasori, puntando a ottenere autonomia da Mosca e occupare la Venezia Giulia, commettendo violenze nel processo.
- Le foibe rappresentano un periodo di violenze estreme contro italiani, con storici che criticano i miti politici e storiografici che sono emersi dalle interpretazioni contrastanti.

Indice
La situazione nei Balcani dopo la Prima Guerra Mondiale
L’evento principale che coinvolge l’Europa centrale del dopoguerra è la disgregazione dell’Impero Austro-ungarico, al seguito del quale nacquero diversi stati in base al principio di nazionalità; questi tuttavia comprendevano delle minoranze etniche, che percepivano i nuovi governi come dominio straniero.
I diversi stati che nacquero da questa divisione furono:
- Austria: gli austriaci avrebbero preferito l’annessione al territorio tedesco, che tuttavia fu impedita dai vincitori poiché questi non volevano che la Germania ne traesse vantaggio ma al contrario volevano punirla;
- Cecoslovacchia: Unione forzata imposta dai vincitori del conflitto ai cechi e agli slovacchi. Dopo il 1939 venne divisa in più parti: Boemia e Moravia (che divennero protettorato del Reich) e Slovacchia (paese vassallo di Hitler);
- Ungheria: Subì pesanti amputazioni territoriali. Gli ungheresi erano determinati a rimettere in discussione i trattati per ridisegnare i confini (quel che viene chiamato revisionismo ungherese);
- Jugoslavia: Nacque dall’unione di Serbia, Montenegro, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Slovenia. Ospitava popolazioni molto diverse e in conflitto tra loro.
La situazione in Jugoslavia e il comportamento delle truppe italiane nei Balcani
In Jugoslavia, le tensioni tra le varie etnie sfociarono in episodi di violenza: nel giugno del 1928, un montenegrino uccise il leader dell’opposizione fascista croata, Stjepan Radic; alcuni terroristi croati capitanati da Pavelic assassinarono il sovrano serbo Alessandro I. A ciò si aggiunse l’invasione degli eserciti italiano e tedesco nel 1941 (la Slovenia fu annessa al Reich mentre la Dalmazia divenne italiana). Come conseguenza di questi eventi, nacque uno stato indipendente di Croazia, guidato dal movimento fascista di Pavelic, gli ustascia. Lo storico Davide Rodogno parla dell’occupazione italiana delle regioni Jugoslave partendo dal paragone tra le rappresaglie di Mussolini e le repressioni attuate dai nazisti. Il duce aveva inoltre già adoperato una simile contromisura in Etiopia, quando fece fucilare, senza processo, ogni civile sospetto di aver partecipato all’attentato alle truppe italiane. I metodi di repressione impiegati in Jugoslavia dai militari italiani erano, secondo lo storico, eccessivi: dopo un primo processo di “catalogazione” in zone di situazione normale e zone di situazione anormale, ovvero quelle aree dove erano in atto azioni belliche, si procedeva all’internamento di massa. Lo storico riporta quindi le parole di Mussolini, che nel rapporto di Gorizia del luglio 1942, ribadisce quelli che erano stati i punti portanti del programma del fascismo: l’Italia, secondo il duce, era una nazione forte e conquistatrice, onde per cui le rappresaglie in Jugoslavia non erano altro che una semplice azione dimostrativa per tutti coloro ancora convinti che il paese non potesse essere sufficientemente “duro quando occorre”. Le ultime parole con cui si chiude il testo storiografico rappresentano il modo di pensare che era proprio anche del nazismo. Mussolini giustifica le azioni di repressione asserendo: “considerate senza discriminazione i comunisti: sloveni o croati, se comunisti vanno trattati allo stesso modo”
Per ulteriori approfondimenti sulla Jugoslavia vedi qui
Le conseguenze della repressione italiana in Jugoslavia: Tito e le foibe
Alle forze degli invasori e degli ustascia si opposero due movimenti di resistenza. Il primo comprendeva i partigiani nazionalisti serbi fedeli alla monarchia, il secondo, di orientamento comunista, era guidato da Tito, il quale, con il sostegno militare, tenne testa ai tedeschi fino all’arrivo dell’Armata Rossa. Tito era un comunista ma anche un nazionalista convinto. Infatti, non celò mai i suoi obiettivi: ottenere l’autonomia da Mosca e occupare la Venezia – Giulia. Egli incominciò ad occupare la regione italiana nel Settembre 1943, quando, dopo l’armistizio dell’Italia, assunse il controllo sull’Istria.
Cominciò un periodo di violenze durante il quale morirono soprattutto insegnanti, carabinieri, impiegati ecc. che vennero uccisi e gettati nelle foibe, delle cavità carsiche molto profonde. Con l'arrivo delle truppe tedesche Tito si dovette ritirare. Due anni dopo, però, nel maggio 1945, le forze jugoslave riconquistarono l’Istria e ripresero a fare violenza. Dopo l’assegnazione delle regioni jugoslave, avvenuta il 10 febbraio 1947 a Parigi, oltre 300.000 persone fuggirono verso l’Italia.
Per quanto concerne l’evento storico delle foibe, gli storici Pupo e Spazzali criticano, con il loro libro “Foibe”, i diversi punti di vista adottati dai comunisti e dai neofascisti scrivendo: “Dietro tali rimozioni incrociate sta probabilmente il fatto che la storia del confine orientale per un verso ha potentemente favorito la nascita di veri e propri miti politici e storiografici, per l’altro, […] offre pure tutti gli elementi per mettere in crisi quei medesimi miti.
[…] Ciò vale, per esempio, per il mito del buon italiano, che può uscire alquanto ridimensionato dalla conoscenza critica delle esperienze di occupazione italiane nei territori ex jugoslavi. […] Ma ombre tutt’altro che lievi non possono che addensarsi anche sul mito del Movimento di liberazione jugoslavo, a lungo considerato un esempio per tutti i movimenti resistenziali europei, di fronte all’osservazione delle violenze di massa”.
Per ulteriori approfondimenti sulle foibe vedi qui
Domande da interrogazione
- Quali furono le conseguenze della disgregazione dell'Impero Austro-ungarico nei Balcani?
- Come si comportarono le truppe italiane durante l'occupazione della Jugoslavia?
- Chi erano i principali movimenti di resistenza contro gli invasori in Jugoslavia?
- Cosa accadde durante il periodo delle foibe?
- Quali critiche vengono mosse dagli storici Pupo e Spazzali riguardo alla narrazione delle foibe?
La disgregazione portò alla nascita di nuovi stati basati sul principio di nazionalità, ma con minoranze etniche che percepivano i nuovi governi come dominio straniero, causando tensioni e conflitti.
Le truppe italiane attuarono metodi di repressione eccessivi, con internamenti di massa e rappresaglie, giustificati da Mussolini come azioni dimostrative per affermare la forza dell'Italia.
I principali movimenti di resistenza erano i partigiani nazionalisti serbi fedeli alla monarchia e i partigiani comunisti guidati da Tito, che si opponevano agli invasori e agli ustascia.
Durante il periodo delle foibe, molte persone, tra cui insegnanti e carabinieri, furono uccise e gettate nelle cavità carsiche, in un contesto di violenze perpetrate dai partigiani jugoslavi.
Gli storici criticano i miti politici e storiografici creati attorno alla storia del confine orientale, evidenziando le ombre sia sul mito del "buon italiano" che sul Movimento di liberazione jugoslavo.