svevuzzz
Ominide
41 min. di lettura
Vota

Concetti Chiave

  • L'impero zarista si basava principalmente sull'agricoltura, con l'80% della popolazione composta da contadini, mentre la Russia era il secondo produttore mondiale di petrolio grazie ai pozzi di Baku.
  • La rivoluzione di febbraio 1917 portò all'abdicazione dello zar Nicola II, con la Duma e i soviet che si contendevano l'autorità, mentre il governo provvisorio incontrava resistenza sia militare che popolare.
  • Lenin e i bolscevichi presero il potere con la rivoluzione d'ottobre, instaurando la dittatura del partito comunista e utilizzando la Ceka per sopprimere ogni opposizione politica.
  • La guerra civile tra "bianchi" e "rossi" si concluse con la vittoria bolscevica, mentre la successiva guerra contro la Polonia nel 1920 si risolse con un accordo sfavorevole per la Russia.
  • Sotto Stalin, l'URSS intraprese una drastica industrializzazione con piani quinquennali e collettivizzazione forzata, causando carestie e repressione, culminando nel Grande Terrore del 1937-1938.

Indice

  1. Economia dell'impero zarista
  2. Rivoluzione del 1905 e i soviet
  3. La Duma e l'opposizione zarista
  4. Sciopero e rivoluzione di febbraio
  5. Abdicazione dello zar e governo provvisorio
  6. Socialisti rivoluzionari e menscevichi
  7. Bolscevichi e Lenin
  8. Colpo di stato e dittatura del proletariato
  9. Consolidamento del regime bolscevico
  10. Pace di Brest-Litovsk e guerra civile
  11. Guerra tra bianchi e rossi
  12. Sconfitta polacca e Comintern
  13. Carestia e comunismo di guerra
  14. NEP e nascita dell'URSS
  15. Morte di Lenin e lotta per il potere
  16. Stalin e il primo piano quinquennale
  17. Collettivizzazione forzata e kulaki
  18. GULag e deportazioni
  19. Grande Terrore e purghe staliniane

Economia dell'impero zarista

L’impero zarista basava gran parte della propria economia sull’agricoltura al punto che l’80% circa della sua popolazione era composto da contadini. Le industrie non erano del tutto assenti, ma erano concentrate solo in poche zone dell’impero.

In un unico settore la Russia primeggiava, almeno in Europa: la produzione di petrolio. I pozzi del Medio Oriente non erano ancora attivi, all’inizio del secolo scorso; così, mentre gli Stati Uniti erano il produttore più importante al mondo della nuova fonte energetica, la Russia si collocava al secondo posto, grazie alle attività di estrazione dell’area di Baku, vicino al Mar Caspio.

Rivoluzione del 1905 e i soviet

Le sofferenze e le privazioni provocate dalla guerra avevano innescato un intenso (ma breve) focolaio rivoluzionario; il trono dello zar Nicola II aveva tremato, ma poi non era crollato, in quanto l’esercito gli era rimasto fedele.

Con la rivoluzione del 1905, fecero la loro prima comparsa i soviet, consigli di operai eletti in modo democratico nelle fabbriche, al fine di coordinare gli scioperi e le altre azioni di lotta utilizzate per proseguire la rivolta.

Nel 1917, in occasione della rivoluzione di febbraio (che avrebbe infine provocato l’abdicazione dello zar), essi vennero rilanciati, creando un ponte ideale con il moto di 12 anni prima. Inoltre, lo zar fu costretto ad attenuare il proprio governo assoluto, che viene denominato di solito autocrazia, per indicare che tutte le decisioni importanti potevano essere prese solo dall’imperatore.

La Duma e l'opposizione zarista

Nel 1906 i cittadini poterono eleggere un parlamento, per la prima volta, denominato Duma, che inizialmente suscitò notevole entusiasmo fra gli intellettuali più aperti e la borghesia industriale, di orientamento liberale e interessata a imitare il modello liberale inglese. Lo zar, tuttavia, era di parere del tutto opposto, e anzi prestava fede alla propaganda antisemita che presentava il liberalismo, il socialismo, l’industrializzazione e ogni innovazione finalizzata a mettere la Russia al passo con l’Occidente, come una pericolosa macchinazione degli ebrei.

Lo zar temeva che la modernità avrebbe distrutto la civiltà cristiana, di cui lui si sentiva responsabile e garante.

Pertanto, Nicola II fece di tutto per boicottare il funzionamento della Duma, per altro guardata con disprezzo crescente anche dai numerosi movimenti di sinistra che operavano in Russia: agli occhi dei socialisti la Duma era un inutile tentativo di accordo con un potere, quello zarista, che avrebbe dovuto essere eliminato da un’insurrezione popolare.

Lo zar aveva commesso l’errore di assumere il comando diretto delle operazioni militari; quindi, non appena la guerra iniziò a prendere una brutta piega, tutte le responsabilità delle disfatte non potevano che essere addebitate alla sua strategia e alle sue scarse competenze militari.

Sciopero e rivoluzione di febbraio

La guerra nelle città provocò rapidamente un formidabile aumento dei prezzi di tutti i beni di prima necessità, mentre nelle campagne le mogli dei soldati al fronte dovevano coltivare i campi da sole. Le donne erano quindi i soggetti più arrabbiati, coraggiosi e determinati a protestare contro una situazione di privazioni sempre più difficile da sostenere.

Anche nella capitale, San Pietroburgo, a dare fuoco alle polveri furono le donne. Proclamato improvvisamente uno sciopero, le operaie uscirono dalle fabbriche e scesero in piazza il 23 febbraio 1917, con il pretesto di celebrare l’8 marzo: la festa della donna.

Per la maggior parte, le donne che sfilarono in corteo a Pietrogrado il 23 febbraio erano operaie delle industrie tessili del quartiere Vyborg. Il 25 lo sciopero divenne generale, cioè investì tutta Pietrogrado, mettendo in difficoltà le forze di polizia, che chiesero l’appoggio dell’esercito. Domenica 26 febbraio alcuni reparti spararono sulla folla, provocando una cinquantina di morti, ma alla sera, nelle caserme, si registrarono i primi ammutinamenti. Al mattino, un numero sempre più elevato di soldati aveva ormai deciso che non avrebbe più usato le armi contro i manifestanti, mentre altri militari scelsero addirittura di schierarsi al loro fianco, contro la polizia.

Il 28 febbraio, mentre la capitale era ormai nelle mani dei rivoluzionari, nella maggior parte delle fabbriche si svolsero le votazioni per eleggere (in ragione di 1 deputato ogni 1000 lavoratori) i rappresentanti del consiglio (o soviet) cittadino, che avrebbe diretto le mosse future della ribellione. Parteciparono al consiglio anche i militari, che inviarono subito propri rappresentanti al soviet di Pietrogrado.

Il punto più importante era costituito da una solenne proclamazione, in base alla quale i soldati riconoscevano il soviet di Pietrogrado come unica autorità, impegnandosi a obbedire agli ordini di qualsiasi altro soggetto solo nella misura in cui non fossero in conflitto con quelli del consiglio operaio rivoluzionario.

Abdicazione dello zar e governo provvisorio

Il 2 marzo, una delegazione di deputati della Duma si recò dallo zar, per invitarlo ad abdicare; in linea teorica, la corona avrebbe dovuto passare al fratello di Nicola II. Ma questi si guardò bene dall’accettare la responsabilità di un trono privato di gran parte del proprio potere, cosicché la Russia divenne, di fatto, una repubblica, mentre il Parlamento diede vita a un governo provvisorio.

Si pose quasi subito la questione di quale autorità dovesse essere considerata la più alta autorità dello stato. La maggior parte dell’esercito non si sentiva obbligata a obbedire agli ordini del governo provvisorio.

Socialisti rivoluzionari e menscevichi

In un primo momento, il problema non si fece sentire in maniera acuta, in quanto nel soviet prevalevano forze di sinistra disponibili a collaborare con l’autorità ufficiale. Tra questi socialisti moderati, vanno ricordati i socialisti rivoluzionari, un partito che godeva di notevoli consensi nelle campagne, in quanto proponeva l’espropriazione senza indennizzo dei latifondi nobiliari e la distribuzione di queste terre ai contadini, che le avrebbero poi gestite grazie ad appositi comitati di villaggio. Per iniziativa dei socialisti rivoluzionari, i soviet si diffusero molto rapidamente anche nelle zone rurali della Russia, coinvolgendo un numero sempre maggiore di contadini, alimentando giorno dopo giorno la rabbia dei soldati al fronte.

I socialisti rivoluzionari desideravano un radicale cambiamento dell’assetto delle campagne e una radicale redistribuzione delle ricchezze fondiarie; tuttavia non erano marxisti. In Russia i seguaci di Marx si erano organizzati nel Partito socialdemocratico. Nell’impero zarista, tuttavia, qualsiasi organizzazione dei lavoratori era illegale, per cui il Partito socialdemocratico russo era debole, clandestino e mal organizzato.

Per di più, al Congresso del 1903, il partito si era diviso in due correnti, una minoritaria (menscevichi) e una di maggioranza, i bolscevichi: i primi pensavano a una vasta organizzazione di massa che arruolasse migliaia di militanti fra gli operai delle fabbriche; i bolscevichi, al contrario, ritenevano che l’oppressione del regime zarista obbligasse a costruire un nuovo partito, composto da un nucleo ristretto di rivoluzionari di professione.

I menscevichi erano convinti che la Russia (paese arretrato e prevalentemente agricolo) non fosse assolutamente pronta per il socialismo, perché questo avrebbe potuto sorgere solo in quei paesi in cui il capitalismo aveva raggiunto il massimo sviluppo.

I bolscevichi pensavano che la guerra avesse accelerato i tempi; secondo la loro valutazione, in tutte le nazioni il collasso della borghesia era imminente. Anche in Russia, quindi, era possibile abbattere il sistema capitalistico, perché la rivoluzione russa si sarebbe verificata in perfetta sincronia con la rivoluzione mondiale.

Per l’esattezza, questa era la posizione del leader dei bolscevichi, Lenin. Con il sostegno dei tedeschi nell’aprile del 1917 riuscì a raggiungere Pietrogrado e lanciò un programma rivoluzionario (denominato “tesi di aprile”).

Bolscevichi e Lenin

I menscevichi pensavano che il governo provvisorio fosse l’unica vera autorità legittima dello stato, che fosse giusto collaborare con esso e che i soviet dovessero svolgere solo un’attività di controllo. Il ruolo dei soviet sarebbe piano piano diminuito, fino a cessare del tutto nel momento in cui fosse stata eletta dal popolo un’Assemblea costituente, capace di disegnare un nuovo assetto democratico per la Russia.

Lenin concepiva in modo completamente diverso il rapporto tra governo provvisorio e soviet; a suo giudizio il primo doveva essere eliminato e cedere subito tutto il potere ai secondi. Quanto alla guerra, occorreva chiudere le ostilità il più in fretta possibile.

La linea politica di Lenin e dei bolscevichi può essere riassunta nelle due formule: “pace immediata” e “tutto il potere ai soviet”. Quindi, i bolscevichi rifiutarono di partecipare al governo provvisorio, mentre una scelta opposta fecero sia i menscevichi sia i socialisti rivoluzionari. Questi socialisti moderati erano decisi a continuare il conflitto, perché temevano che una vittoria tedesca sul fronte orientale avrebbe avuto durissime conseguenze per la Russia.

Colpo di stato e dittatura del proletariato

La figura di maggior spicco all’interno del governo, Kerenskij, rivestì dapprima l’incarico di ministro della guerra e poi quello di capo del governo stesso.

A seguito di una sconfitta, niente fu più in grado di contenere la rabbia dei soldati, che iniziarono a disertare e tornarono in massa ai propri villaggi. In parallelo i bolscevichi ottennero la maggioranza in un numero crescente di soviet.

La nuova situazione di difficoltà del governo Kerenskij spinse Lenin a pensare che i tempi erano maturi per l’insurrezione e il colpo di stato. All’interno del partito, Lenin godeva di un prestigio indiscusso e, il 10 ottobre 1917, quando si riunì il Comitato centrale bolscevico, la sua linea venne approvata a maggioranza. Il risultato fu l’assalto al Palazzo d’Inverno: sede del governo provvisorio. Sotto il profilo strategico, il colpo di stato fu pianificato soprattutto da Trockij. Subito dopo la conclusione dell’operazione militare, Lenin si presentò al congresso per annunciare che il governo provvisorio non esercitava più alcun potere e che esso sarebbe stato esercitato dai soviet stessi. Più precisamente, Lenin dichiarò che il potere era stato assunto da un nuovo organo denominato Consiglio dei commissari del popolo, presieduto dal leader bolscevico.

Stando alle parole di Lenin, il regime borghese era stato sostituito dalla dittatura del proletariato.

Come il leader bolscevico aveva scritto in un breve testo, Stato e rivoluzione, la supremazia di una classe sociale sulle altre è dovuta al fatto che essa controlla il potere dello stato e lo mette a servizio dei propri interessi.

Una classe rimane dominante fino a quando l’esercizio della forza statuale le garantisce la possibilità di possedere i mezzi di produzione e di reprimere qualsiasi tentativo di rivolta delle classi subalterne. Pertanto, l’esercito e la polizia permettono alla borghesia di dominare il proletariato, schiacciando qualsiasi tentativo di mettere in atto la proprietà privata, sanzionata dalla legge dello stato come un diritto inviolabile.

Con la rivoluzione, secondo Lenin, la situazione si capovolge: impadroniti si del potere statale, i proletari possono usarne la forza per abolire la proprietà dei mezzi di produzione e impedire ai borghesi di organizzare una qualsiasi azione diretta a riprenderne il controllo.

Trasformata in misure pratiche, l’impostazione leninista portava a conseguenze molto pericolose, in quanto i bolscevichi non tolleravano alcuna opposizione alla loro linea e consideravano controrivoluzionaria qualsiasi forza politica che cercasse di sbarrar loro la strada.

Di fatto, la dittatura del proletariato assunse immediatamente la forma della dittatura di un solo partito, che trovò il proprio strumento operativo nella Ceka: una polizia politica, incaricata di combattere ogni tipo di oppositore.

Consolidamento del regime bolscevico

Il colpo di stato dell’ottobre 1917 e la creazione della Ceka non facevano sì che la rivoluzione fosse consolidata. Il primo problema che Lenin dovette affrontare fu quello dell’Assemblea costituente; il governo provvisorio l’aveva solennemente promessa e la popolazione russa aveva riposto in essa grandissime aspettative: molti contadini erano convinti che essa avrebbe varato una radicale riforma in modo da trasferire le terre ai contadini.

Lenin non si sentì sufficientemente forte per impedire le elezioni, e forse si illudeva di vincere con grande scarto. In realtà, dalle consultazioni a suffragio universale (maschile e femminile), i bolscevichi uscirono pesantemente sconfitti, mentre i veri vincitori furono i socialisti rivoluzionari, che intercettarono il sostegno dei contadini e ottennero la maggioranza.

Il partito di Lenin risultò vincitore nelle grandi città, ma nelle regioni agricole venne nettamente superato. In effetti, nelle campagne i comunisti erano quasi sconosciuti. E’ importante anche il ruolo delle donne, che erano molto legate alla tradizione e guardavano con diffidenza e sospetto l’atteggiamento anti-religioso dei militanti marxisti.

L’insuccesso non scalfì la determinazione di Lenin, che decise di lasciar riunire l’assemblea, ma la fece disperdere subito, dopo la prima seduta inaugurale. A giustificazione del proprio operato, il leader bolscevico affermò che il proletariato, al momento del voto, non aveva deciso liberamente, perchè ancora condizionato dall’ideologia che la classe dominante gli aveva trasmesso per tenerlo soggiogato.

Solo la linea politica dei bolscevichi poteva essere considerata veramente rispondente agli interessi del proletariato; finchè il popolo non avesse spontaneamente aderito a quell’orientamento, il partito doveva guidarlo e, se necessario, persino costringerlo a seguirlo.

Lo scioglimento dell’Assemblea costituente è un evento di capitale importanza, perchè permette di capire pienamente la concezione che Lenin aveva della dittatura del proletariato.

Socialrivoluzionari e menscevichi erano partiti che cercavano di risolvere i problemi dei lavoratori, tuttavia, non accettavano di essere guidati da Lenin. Per Lenin, un atteggiamento del genere era inammissibile: di fatto, per lui, dittatura del proletariato significava leadership incontrastata dei bolscevichi, indiscutibile dittatura del partito comunista, che si era autoproclamato “avanguardia” del proletariato stesso.

Tutti quei proletari o quelle organizzazioni dei lavoratori che in qualche modo dissentivano dalla linea dei bolscevichi, e avevano condannato l’insurrezione di ottobre, furono bollati come elementi controrivoluzionari e imprigionati o costretti all’esilio.

Alcuni socialisti rivoluzionari particolarmente determinati proseguirono per qualche altro tempo la lotta contro il governo bolscevico, facendo ricorso all’azione terroristica, cioè prendendo di mira alti esponenti del nuovo regime. Il 30 agosto 1918, una giovane donna ebrea che aveva trascorso molti anni di prigionia in Siberia, sparò allo stesso Lenin, ferendolo gravemente.

Per il regime bolscevico quell’episodio segnò una svolta fondamentale, in direzione della repressione violenta di ogni forma di opposizione. Subito dopo il fallito attentato, fu organizzato il cosiddetto Terrore rosso: 10-15000 persone detenute nelle carceri furono eliminate. Si trattava di esponenti del regime zarista, di capitalisti e di borghesi.

Sul ruolo che la Ceka era stata chiamata a svolgere nel 1921 un alto ufficiale si sarebbe espresso con estrema chiarezza: “La Ceka non è solo un organo investigativo: è l’organo di battaglia del partito del futuro. Il Terrore rosso non giudica il nemico, lo colpisce. Non mostra pietà, ma riduce in cenere chiunque imbracci le armi dall’altro lato della barricata e chi non ci è di alcuna utilità”.

In sintesi, prima ancora che si concludesse il 1918, il regime bolscevico lasciò intravedere i tratti tipici dei regimi totalitari che avrebbero caratterizzato gran parte del Novecento:

  • pretesa di verità assoluta da parte di un’ideologia;
  • dittatura a partito unico;
  • presenza di una polizia politica, incaricata di reprimere qualsiasi tipo di opposizione;

  • disponibilità a far ricorso a misure estreme; pur di raggiungere i propri obiettivi.

Pace di Brest-Litovsk e guerra civile

Consapevole delle crescenti difficoltà che il nuovo regime stava affrontando, Lenin dapprima ordinò di trasferire la capitale di Pietrogrado a Mosca e poi si affrettò a stipulare la pace con la Germania, l’accordo venne firmato a Brest-Litovsk. L’impero tedesco pose condizioni durissime, in base alle quali, la Russia perdeva i tre paesi baltici sia l’Ucraina; quest’ultima aspirava a una maggiore autonomia dalla Russia o addirittura l’indipendenza.

Trockij e altri dirigenti comunisti espressero la loro netta contrarietà alla firma del trattato di pace, ma Lenin fu intransigente. I nemici più pericolosi erano i cosiddetti “eserciti bianchi”, guidati da generali che non riconoscevano alcun valore al colpo di stato dell’ottobre-novembre 1917 e che, addirittura, giudicavano molto duramente perfino la rivoluzione di febbraio. I bianchi - chiamati così sia per il colore della loro divisa, che richiamava quella del vecchio esercito zarista, sia per contrapposizione verso i rossi bolscevichi - erano finanziati e militarmente sostenuti dalla Francia, dall’Inghilterra e dall’Italia, nonché dagli Stati Uniti e dal Giappone.

Guerra tra bianchi e rossi

La guerra tra bianchi e rossi fu feroce e barbara e si concluse nel 1919 con la vittoria dei bolscevichi. Durante la guerra ricordiamo che tra i soldati anti-comunisti si diffuse l’idea secondo cui i veri burattinai che tiravano i fili del regime bolscevico erano gli ebrei, concepiti come una forza minacciosa sia in Russia sia nel resto del mondo. I soldati bianchi uccisero decine di migliaia di ebrei.

Sconfitta polacca e Comintern

Sconfitti i bianchi, Lenin si trovò di fronte un ulteriore avversario; il governo polacco, scontento dei confini che gli erano stati assegnati dagli alleati durante la conferenza di pace di Parigi, invase la Russia nel 1920. Si trattò di un seguito della guerra civile, in quanto anche i polacchi erano fieramente anticomunisti e antisemiti. Nel marzo 1921, l’esercito russo riuscì a minacciare Varsavia; i polacchi, però, non solo respinsero i nemici ma conquistarono una fascia che si estendeva da Vilnius fino a Leopoli. La pace di Riga, stipulata subito dopo la controffensiva polacca, fu un altro boccone amaro per Lenin.

Il vero artefice del trionfo militare bolscevico era stato Trockij, che aveva costruito un esercito imponente ed efficace, denominato Armata rossa. Con una mossa che non fu gradita da molti dei suoi compagni di partito (Stalin primo fra tutti), Trockij decise di reclutare anche numerosi ufficiali del vecchio esercito russo, disponibili a collaborare nella loro qualità di tecnici e di professionisti della guerra.

La sconfitta nel conflitto polacco segnò la fine di qualsiasi speranza di ampliare il raggio della rivoluzione proletaria; a tal fine, già nel marzo 1919, era stata fondata a Mosca la Terza internazionale, denominata Comintern, ovvero Internazionale comunista. In tutti i paesi d’Europa gruppi più o meno consistenti di militanti uscirono dai partiti socialisti, accusandoli di essersi compromessi con il potere borghese, in quanto avevano sostenuto i propri governi durante la prima guerra mondiale. A imitazione del modello leninista, questi estremisti volevano compiere in tempi brevi la rivoluzione anche nei propri stati; fondarono quindi dei nuovi partiti e si diedero il nome di comunisti. Essi speravano di accendere la fiaccola della rivoluzione durante gli anni Venti, ma non vi era alcuna possibilità di successo; anzi, in Italia e in Germania, movimenti violenti di estrema destra, come il fascismo e il nazismo, erano in via di affermazione o erano già arrivati al potere.

Carestia e comunismo di guerra

Quanto alla Russia, nel 1921, era isolata, stremata e in preda a una micidiale carestia che nel 1921-1922 fece almeno 5 milioni di vittime.

La terribile carestia che sconvolse la Russia è il frutto diretto della politica attuata da Lenin durante la guerra civile. Il leader bolscevico aveva cercato, nel 1917, di portare dalla sua parte i contadini russi; il 26 ottobre 1917, il nuovo Consiglio dei commissari del popolo emanò un decreto sulla terra che aboliva la proprietà privata dei poderi e dichiarava la loro socializzazione (gestione in comune delle terre). I contadini russi si stavano già muovendo in maniera autonoma: nell’autunno del 1917 avevano attaccato le dimore dei proprietari terrieri e proceduto a impadronirsi delle loro tenute.

I contadini russi non conoscevano quasi nulla del programma comunista; pertanto, alle elezioni per l’Assemblea Costituente, votarono in massa per i socialisti rivoluzionari. Lenin non perdonò mai agli agricoltori russi questo loro comportamento elettorale, che a suo giudizio nasceva da ignoranza e ottusità politica e mentale. Del resto, Lenin aveva sì concesso la socializzazione, ma non la condivideva per nulla: a sui giudizio, la terra non doveva passare alle comunità di villaggio, ma allo stato, vero e unico controllore di tutti i mezzi di produzione.

La guerra civile offrì a Lenin un’eccezionale opportunità per imporre con la forza l’autorità dello stato nelle campagne. Infatti, poichè le grandi città e i centri industriali si stavano svuotando, per mancanza di viveri e di generi di prima necessità, Lenin introdusse il cosiddetto comunismo di guerra, ordinando ai contadini di consegnare i raccolti. Per attuar questo provvedimento, il governo inviò in tutti i villaggi squadre di militanti incaricati di requisire il grano e di punire coloro che opponevano resistenza. Costoro vennero bollati con lo sprezzante epiteto di kulaki (sfruttatori, strozzini) e divennero il bersaglio di azioni violente che a loro volta provocarono vere e proprie insurrezioni contadine antibolsceviche.

La risposta del governo fu sempre feroce, Lenin esortava a “schiacciare senza pietà l’insurrezione dei kulaki” e a combattere “l’ultima battaglia decisiva” contro di loro.

La situazione si fece particolarmente seria, per il governo, nel 1921, allorchè l’insurrezione contadina dell’area di Tambov rischiò di privare Mosca di qualsiasi rifornimento. Lenin diede carta bianca all’Armata rossa. Di conseguenza, il generale fece uso sistematico dell’aviazione, dei gas tossici e dei campi di concentramento.

Pressati dalle squadre di requisizione o dall’azione repressiva, i contadini finirono per cedere. In molte zone, poichè non sarebbe comunque rimasto nulla del frutto del loro lavoro, gli agricoltori smisero di seminare il grano e di lavorare la terra. Il risultato fu la tremenda carestia che già abbiamo ricordato che gettò la Russia in ginocchio.

NEP e nascita dell'URSS

Lenin si rese conto che doveva porre fine al comunismo di guerra, cioè concedere maggiore libertà economica ai contadini. A livello politico, il controllo dello stato e del partito non fu allentato: anzi, nei confronti della Chiesa ortodossa fu lanciata una sistematica campagna di arresti e di sequestri dei beni ecclesiastici. Nelle campagne, tuttavia, Lenin accettò che i contadini versassero allo stato solo una piccola quota del raccolto, accordando che il resto fosse liberamente venduto a prezzi di mercato. Lenin lanciò questa Nuova Politica Economica (NEP). Il leader bolscevico ammise che si trattava di una “ritirata” sulla strada che avrebbe portato al socialismo. Tuttavia era una scelta obbligata, pena il collasso dell’intero sistema.

Nel 1922, lo stato costruito e difeso dai bolscevichi con estrema determinazione si diede il proprio assetto istituzionale definitivo. Di conseguenza, nacque ufficialmente l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS); in linea teorica si trattava di una federazione, ma in realtà il margine di autonomia lasciato alle singole repubbliche era praticamente nullo.

La NEP fu una battuta d’arresto nel settore dell’economia, ma non comportò alcun indebolimento del nuovo sistema, ormai divenuto solido regime. Nel 1923, quest’ultimo trovò nel lager a destinazione speciale il proprio strumento repressivo più efficace; si trattava di campi di concentramento er la reclusione di tutti gli oppositori: esponenti del vecchio sistema zarista/borghese, soldati e ufficiali bianchi, ecclesiastici, menscevichi, socialisti rivoluzionari, contadini e marinai ribelli.

Morte di Lenin e lotta per il potere

Lenin morì nel 1924, e da quel momento la seconda città della Russia, San Pietroburgo, cambiò il nome e divenne Leningrado.

All’interno del gruppo dirigente sovietico si scatenò subito una violentissima lotta per la successione, che vide come protagonisti soprattutto Trockij e Stalin. Il primo si era coperto di gloria dirigendo l’assalto al Palazzo d’inverno nel 1917 e organizzando l’Armata rossa negli anni della guerra civile. Stalin, da parte sua, era riuscito a diventare segretario del Comitato centrale del partito; per alcuni anni, Lenin aveva stretto un forte legame di amicizia con Stalin.

La scalata di Stalin al potere iniziò in salita. Per di più, a partire dal 1922, anche Lenin guardò Stalin con diffidenza e sospetto. Ciò nonostante, Stalin riuscì a raccogliere intorno a sé un folto gruppo di dirigenti comunisti, che non condividevano la linea politica di Trockij, secondo cui era necessario promuovere di nuovo la rivoluzione in Europa e in Asia, per salvare le conquiste della rivoluzione russa. Stalin e il gruppo di coloro che si coalizzarono contro Trockij sostenevano la necessità di rafforzare l’economia dell’URSS: il loro obiettivo era il socialismo in un solo paese.

Lo scontro decisivo ebbe luogo nell’autunno del 1927: privato di qualsiasi incarico, Trockij venne espulso dall’Unione Sovietica: sarebbe poi stato ucciso nel 1940 da un sicario di Stalin. A quella data anche tutti i dirigenti che avevano aiutato Stalin a conquistare il potere assoluto erano già stati eliminati. Spesso, dopo essere stati arrestati, questi alti funzionari del Partito vennero minacciati e torturati, in modo da obbligarli a confessare colpe assurde e inesistenti.

Una volta assunte le redini del potere, Stalin procedette all’attuazione di una politica economica che rinnegava completamente la NEP e poneva all’URSS altre priorità.

Stalin e il primo piano quinquennale

La Russia era entrata nel XX secolo con un’economia assolutamente inadeguata, incomparabilmente più arretrata se confrontata con quella delle grandi potenze capitalistiche.

Nel 1929 venne varato il primo piano quinquennale, che fissava gli obiettivi in vari campi della rivoluzione industriale. Il fine ultimo di Stalin era raggiungere il più in fretta possibile le capacità industriali del paesi a capitalismo avanzato. Stalin era già stato educato da Lenin a una mentalità militarizzata, che affrontava qualsiasi questione anteponendo il raggiungimento dell’obiettivo al numero di vite umane che esso avrebbe richiesto. Pertanto, la strategia elaborata da Stalin fu drastica e radicale, incapace di prendere in considerazione qualsiasi alternativa meno brutale.

La priorità assoluta doveva essere assegnata all’industria pesante, cioè all’estrazione di petrolio e carbone, alla produzione di acciaio, alla fabbricazione di trattori e altre macchine.

Per mettere in pedi dal nulla o potenziare la nuova industria sovietica occorrevano capitali e tecnologia, che Stalin pensò di ottenere dall’estero, in cambio dell’esportazione dall’URSS di grandi quantità di cereali. I risultati furono notevoli, al punto di permettere alla Russia comunista di competere alla pari con la Germania nazista.

Il prezzo dell’industrializzazione a tappe forzate venne pagato dalla popolazione sovietica. Oltretutto, numerosi generi di consumo erano di pessima qualità o letteralmente introvabili.

La violenza staliniana più feroce non si rovesciò sulla popolazione dei centri urbani, ma su quella delle campagne, chiamate a sopportare tutti i costi del processo di industrializzazione.

Nel 1917, contro voglia, Lenin aveva approvato una riforma agraria che aveva eliminato le grandi tenute agrarie, senza però portare alla nazionalizzazione delle terre, bensì alla loro socializzazione. Nel primo caso, le terre erano gestite dalla comunità di villaggio, che le assegnava in base alle necessità alle varie famiglie contadine, le quali, a loro volta, potevano vendere il ricavato dei raccolti e quindi erano incentivate a produrre il più possibile.

Se la terra, invece, fosse stata nazionalizzata, sarebbe passata sotto il controllo dello stato, e solo il governo avrebbe programmato la destinazione delle terre, nonchè la quota di raccolto di competenza dei contadini.

Il comunismo di guerra fu un primo tentativo di nazionalizzare le terre e i raccolti; dopo il suo tragico fallimento, la NEP segnò di fatto il ritorno a una politica di socializzazione, decisamente più favorevole ai contadini, che dovevano versare allo stato solo una piccola quota (a titolo di imposta).

Collettivizzazione forzata e kulaki

A partire dal 1929, tutti i contadini furono obbligati con la forza ad abbandonare le proprie case e le terre che coltivavano.

Al fine di piegare la resistenza contadina, Stalin ordinò la liquidazione dei kulaki come classe. Lenin, negli anni del comunismo di guerra, aveva bollato con tale epiteto tutti quei contadini che si rifiutavano di collaborare con il regime bolscevico. Stalin riprese e rilanciò tale espressione, applicandola a quegli agricoltori che avevano mostrato maggiore intraprendenza, negli anni della NEP, e quindi erano riusciti a raggiungere un tenore di vita relativamente agiato.

I kulaki furono arrestati in massa, con operazioni brutali condotte da attivisti del partito appositamente trasferiti dalle città, ma sostenuti spesso anche da squadre composte da veri e propri criminali, il cui scopo principale era il saccheggio dei beni di chi era costretto a lasciare la propria casa.

Sebbene la deportazione dei kulaki avesse privato i villaggi dei suoi elementi più dinamici e intraprendenti, le rivolte contadine divamparono in numero elevatissimo. La determinazione di Stalin a prelevare i prodotti agricoli da esportare rimase incrollabile: il raccolto del 1932 fu modesto, inferiore alle aspettative; le autorità, tuttavia, decisero di raggiungere a qualunque costo la quota prevista e di esportarla. Tale scelta generò una situazione tragica e paradossale: milioni di contadini morirono letteralmente di fame.

GULag e deportazioni

Il durissimo scontro sociale in atto nelle campagne fece aumentare in modo esponenziale il numero dei detenuti, e quindi dei campi di concentramento sovietici. Nel 1930, per gestire una struttura che si faceva sempre più ramificata e complessa, fu creato un nuovo apposito ente, la Direzione centrale dei lager.

Inoltre si decise di impiegare la manodopera dei campi per fini produttivi. Fin dal 1923, i detenuti avevano sempre lavorato all’interno dei lager. In epoca staliniana, l’impiego dei kulaki divenne determinante, sistematico e spietato, in quanto i risultati da conseguire contavano molto di più della vita e della dignità umana di coloro che dovevano contribuire a raggiungerli, con i loro sforzi e la loro fatica.

Si rinunciò al “piano grandioso” di colonizzazione della Siberia mediante la deportazione di grandi quantità di “elementi declassati e socialmente nocivi”; l’idea di costruire innumerevoli villaggi di “coloni speciali” venne del tutto abbandonata e, al suo posto, si pensò di potenziare il sistema dei campi di concentramento, il GULag. Infine, nel 1937, si prese la decisione di eliminare fisicamente quegli elementi che continuarono a essere ritenuti nocivi, ma di cui non era stato possibile liberarsi mediante la deportazione di massa oltre gli Urali.

Grande Terrore e purghe staliniane

Gli anni più terribili della dittatura staliniana furono il 1937 e il 1938, durante i quali si verificò il cosiddetto Grande Terrore. Con l’arresto di oltre 1 milione di persone, l’85% di esse venne condannato a pene di vario tipo. Molte di esse vennero fucilate e le altre internate nei GULag.

L’intera operazione fu ordinata e condotta da Stalin, che emanò ordini precisi. L’ondata di violenza fu generata dal fatto che il dittatore e i suoi collaboratori temevano l’imminente esplosione di una grande guerra europea e volevano eliminare tutti coloro che avrebbero potuto aiutare gli eventuali invasori. I primi soggetti di cui si temeva la vendetta erano i kulaki e altri elementi declassati e socialmente nocivi deportati in precedenza: molti di essi, infatti, erano riusciti ad abbandonare le inospitali e remote regioni in cui erano stati confinati.

A partire dal 1937 vi fu la prima operazione di arresti di massa, poco dopo fu il turno delle minoranze nazionali, che vivevano nelle zone di frontiera e vennero accusate di essere agenti delle potenze nemiche. Stalin non si fidò più nemmeno dei dirigenti comunisti stranieri, che lavoravano a Mosca per l’Internazionale;

Stalin non si fidò nemmeno dei dirigenti comunisti sovietici e degli ufficiali dell’Armata rossa. La liquidazione fisica di un numero elevatissimo di militari di grado elevato, accompagnata dall’arresto o dal licenziamento di moltissimi altri si sarebbe fatta sentire pesantemente nei primi anni della seconda guerra mondiale.

Domande da interrogazione

  1. Qual era la base economica principale dell'impero zarista?
  2. L'impero zarista basava gran parte della propria economia sull'agricoltura, con circa l'80% della popolazione composta da contadini.

  3. Quali furono le conseguenze della rivoluzione di febbraio per lo zar Nicola II?
  4. La rivoluzione di febbraio portò all'abdicazione dello zar Nicola II, trasformando la Russia in una repubblica con un governo provvisorio.

  5. Qual era la differenza principale tra menscevichi e bolscevichi?
  6. I menscevichi volevano una vasta organizzazione di massa e credevano che la Russia non fosse pronta per il socialismo, mentre i bolscevichi, guidati da Lenin, sostenevano un partito di rivoluzionari di professione e credevano che la rivoluzione fosse imminente.

  7. Come reagì il regime bolscevico all'attentato a Lenin nel 1918?
  8. Dopo l'attentato a Lenin, il regime bolscevico organizzò il Terrore rosso, eliminando migliaia di oppositori e consolidando il potere attraverso la repressione violenta.

  9. Quali furono le conseguenze della politica del comunismo di guerra di Lenin?
  10. La politica del comunismo di guerra portò a requisizioni forzate nelle campagne, provocando insurrezioni contadine e una grave carestia che causò milioni di vittime.

Domande e risposte

Hai bisogno di aiuto?
Chiedi alla community

Le colonie latine

Mauro_105 di Mauro_105

URGENTE (321112)

Lud_ di Lud_

domandina

Samantha Petrosino di Samantha Petrosino