Concetti Chiave
- Durante il "biennio rosso" in Italia, le tensioni sociali e politiche culminarono in tre momenti chiave: l'insurrezione contro il carovita nel 1919, l'ammutinamento di Ancona nel 1920, e l'occupazione delle fabbriche nello stesso anno.
- La rivolta contro il carovita iniziò a La Spezia, guidata da donne che saccheggiavano negozi, ma mancava un coordinamento politico efficace tra città e campagne, portando al fallimento del movimento.
- L'ammutinamento di Ancona fu una rivolta isolata contro l'intervento in Albania, segnata da un breve controllo operaio della città, ma fu rapidamente repressa con dure condanne.
- L'occupazione delle fabbriche rappresentò il punto culminante delle agitazioni proletarie, con operai che rivendicavano il diritto di sostituire la borghesia nella produzione, portando alla formazione delle "guardie rosse".
- La nascita del Partito Comunista d'Italia nel 1921 fu influenzata dalla mancanza di organizzazione rivoluzionaria, l'adesione alle idee leniniste e alla Terza Internazionale, segnando un nuovo capitolo nella politica italiana.
Indice
La posizione dell'Italia post-bellica
La crisi politica italiana. L’Italia si trova in una posizione intermedia fra vinti e vincitori. Apparteneva, infatti, sì al gruppo dei vincitori, e aveva mantenuto le proprie strutture politiche e di amministrazione dello Stato, ma era anche il paese dell’Intesa più debole e indebitato, agitato da tensioni.
Le tensioni sociali e la rivolta
In Italia, le agitazioni sociali di carattere prerivoluzionario causarono l’erosione delle basi dello Stato liberale. Nella insubordinazione sociale crescente, ci sono tre momenti di tensione massima
1) L’insurrezione del giugno-luglio 1919 contro il carovita;
2) L’ammutinamento militare del giugno 1920 ad Ancona;
3) L’occupazione delle fabbriche nel settembre del 1920.
La radicalizzazione delle masse, tuttavia, non sfocia mai in veri programmi e organizzazioni.
La rivolta contro il carovita
La rivolta contro il carovita. La causa del passaggio dall’azione sindacale pacifica al moto di piazza è l’impennata dei prezzi. La scintilla parte a La Spezia (11/6/1919), ma si estende a tutto il paese con carattere insurrezionale. Il governo del liberale democratico Nitti non fa resistenze. La folla, guidata dalle donne, saccheggiava negozi e imponeva prezzi dimezzati ai commercianti;pertanto fu proclamato lo sciopero generale e fu chiesto alla Camera del Lavoro di calmierare prezzi e di garantire nuova legalità. E’ evidente come in questa fase i compiti dell’autorità politica passino ai sindacati. Ma i sindacati, restii, scaricano le responsabilità sul Partito Socialista, perplesso dell’azione delle masse. Treves dice: “Si tratta di masse guidate dallo spirito di Masaniello e non di Marx”. Manca ancora, infatti, il coordinamento politico fra le agitazioni nelle città e le rivolte nelle campagne. Il moto, così, rifluisce spontaneamente a metà luglio, osteggiato anche dai socialisti.
L'ammutinamento di Ancona
L’ammutinamento di Ancona. I socialisti lanciano una campagna contro intervento in Albania ( su cui l’Italia aveva mire coloniali ). Il 26 giugno del 1920 i bersaglieri in partenza si ammutinano, e con l’appoggio degli operai, controllano la città per due giorni. La città viene riconquistata la sera del 27 giugno 1920, quando l’insurrezione si stava estendendo anche a Romagna e Marche. Si tratta di un’altra rivolta isolata e senza organizzazione che fallisce: sono oltre 500 le condanne durissime.
L'occupazione delle fabbriche
L’occupazione delle fabbriche è il culmine dell’agitazione proletaria e l’inizio della reazione padronale. L’opposizione è dunque fra il movimento operaio e la borghesia italiana. Gramsci sull’ “Ordine Nuovo” scrive: “Le classi esecutive sono diventate le classi dirigenti, si sono poste a capo di se stesse”. Il fronte padronale è consapevole del cambiamento ma lamenta l’invadenza degli organismi operai. Serve uno scontro definitivo, che vede il suo prologo nella primavera del 1920 a Torino con lo “sciopero delle lancette”, così chiamato perchè tre membri vengono licenziati per aver rifiutato l’ora legale. La resa degli operai di Torino non tarda ad arrivare: il 26 aprile 1920, abbandonati da CGL e isolati, accusano una perdita di salario di 35 milioni. La FIOM ( Federazione Italiana Operai Metallurgici) chiede il rinnovo dei contratti di lavoro, ma c’è un rifiuto. L’agitazione della categoria porta all’“ostruzionismo”: gli industriali chiudono gli impianti ma gli operai rispondono con l’occupazione (Milano, Torino). Gli operai rivendicano il “loro diritto storico di sostituire la borghesia nella direzione della produzione”. Nascono così le “guardie rosse” per difendere gli stabilimenti con le armi. All’agitazione si uniscono i ferrovieri di Milano e Torino e i lavoratori portuali di Genova e Savona. La Federazione industriale risponde con una totale chiusura, fino a che la diatriba non fosse tornata solo economica, con il netto ripristino delle gerarchie.
Il compromesso giolittiano
Il compromesso giolittiano. Giolitti non usa la forza per lo sgombero delle fabbriche come chiesto da industriali. Si tenta una “mediazione impossibile”: ovvero la proposta di introdurre un controllo operaio, sindacale, sull’industria. Con una commissione paritetica a quella borghese l’equilibrio viene finalmente ristabilito.
La fine dell'agitazione
La fine dell’agitazione. L’11 settembre del 1920 c’è la “rivoluzione ai voti”. La Confederazione generale del lavoro boccia lo sciopero generale proposto dalla sinistra ma vuole il riconoscimento del controllo sindacale delle aziende. Il 15 settembre c’è l’intesa: ottima sotto l’aspetto sindacale (aumento medio di 4 lire al giorno), ma liquidatoria sotto aspetto politico. La forza sociale posta in campo, però, è a questo punto dissolta. Il 27 settembre si ha lo sgombero definitivo delle fabbriche in unclima di amarezza. Gramsci attribuisce le colpe dell’insuccesso alla guardia proletaria.
La nascita del Partito comunista
La nascita del Partito comunista d’Italia. La Sinistra del Partito socialista ( i torinesi con Gramsci e i napoletani con Bordiga ) accusa il partito di immobilità e di mancanza di chiarezza politica. Sono tre le cause che portano alla nascita nel Gennaio del 1921 del PCI nel congresso di Livorno:
1) La mancanza di capacità di dare organizzazione rivoluzionaria alle masse;
2) L’adesione alla proposta leninista;
3) L’adesione alla Terza Internazionale.
Domande da interrogazione
- Quali furono i principali momenti di tensione durante il "biennio rosso" in Italia?
- Quali furono le cause della rivolta contro il carovita nel 1919?
- Come reagì il governo italiano alle agitazioni sociali del biennio rosso?
- Quali furono le conseguenze dell'occupazione delle fabbriche nel 1920?
- Quali fattori portarono alla nascita del Partito Comunista d'Italia nel 1921?
I principali momenti di tensione furono l'insurrezione contro il carovita nel giugno-luglio 1919, l'ammutinamento militare ad Ancona nel giugno 1920, e l'occupazione delle fabbriche nel settembre 1920.
La rivolta contro il carovita fu causata dall'impennata dei prezzi, che portò le masse a passare dall'azione sindacale pacifica a un moto di piazza, iniziato a La Spezia e diffusosi in tutto il paese.
Il governo, guidato dal liberale democratico Nitti, non oppose resistenza significativa alle agitazioni, e i sindacati assunsero temporaneamente compiti di autorità politica, sebbene fossero riluttanti e scaricassero le responsabilità sul Partito Socialista.
L'occupazione delle fabbriche portò a un confronto tra il movimento operaio e la borghesia, culminando in un compromesso giolittiano che propose un controllo operaio sull'industria, ma alla fine l'agitazione si dissolse senza un cambiamento politico significativo.
La nascita del PCI fu causata dalla mancanza di organizzazione rivoluzionaria delle masse, dall'adesione alla proposta leninista e dalla partecipazione alla Terza Internazionale, con la sinistra del Partito Socialista che accusava il partito di immobilità e mancanza di chiarezza politica.