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docente genova

Specializzata in una materia, è stata costretta a insegnare tutt'altro a oltre mille chilometri da casa, in una città che non ha scelto. È l'amara quotidianità con cui deve convivere da quasi dieci anni Giulia, una docente originaria di Catania, che ha dovuto scegliere - o sarebbe meglio dire "subire" - il trasferimento per poter lavorare.

La sua Odissea inizia nel 2017, quando da insegnante di ruolo si vede assegnata d'ufficio a Genova. La sua materia in discipline grafiche, pittoriche e scenografiche in quell'istituto non esiste, per questo si ritrova a insegnare quello che serve. Dal 2020 non ha più ottenuto nessun tipo di avvicinamento alla sua regione, neanche tramite assegnazioni provvisorie.

Indice

  1. Il ruolo di docente
  2. La “tappabuchi” a Genova
  3. I docenti di "potenziamento"
  4. Le assegnazioni provvisorie negate

Il ruolo di docente

Giulia è diventata docente di ruolo nel lontano 2015, iniziando a lavorare a Roma. Dopo appena due anni, però, è rientrata nel gruppo degli esuberi nazionali, ovvero quegli insegnanti considerati "di troppo" rispetto ai posti disponibili per la sua specifica disciplina: le discipline grafiche, pittoriche e scenografiche.

La soluzione che le è stata presentata nel 2017 è stata drastica: un posto d’ufficio come insegnante di potenziamento in un istituto tecnico a Genova. Giulia non aveva mai fatto domanda per quella sede, ma si è ritrovata costretta ad accettare l'incarico. "Io l'ho vissuta come una violenza”, confessa l'insegnante. “Non è proprio corretto che mi si dica che se voglio lavorare devo andare in un posto che non ho mai scelto, a più di 1200 chilometri da casa".

La “tappabuchi” a Genova

Il trasferimento d'ufficio ha portato la docente a insegnare in una scuola che, peraltro, non prevede l'attivazione della sua materia di specializzazione. Di conseguenza, il suo lavoro si è trasformato: "Da quando mi hanno trasferita a Genova", si è sfogata a 'Fanpage.it', "mi ritrovo a fare solo potenziamento, cioè la tappabuchi. Insegno tutte le materie, tranne la mia, in base alle esigenze della scuola".

È un paradosso frustrante per una docente con una specifica formazione: "Capirei se fossi per esempio all'accademia delle belle arti di Brera e insegnassi quello per cui mi sono specializzata, invece sono a Genova per fare la tappabuchi. Perché non posso fare lo stesso lavoro in Sicilia?", si chiede la professoressa.

I docenti di "potenziamento"

Il potenziamento scolastico è un concetto introdotto con la riforma della Buona Scuola (Legge n. 107/2015), che ha istituito l’organico dell’autonomia nelle scuole. I docenti di potenziamento svolgono attività di insegnamento a tutti gli effetti. Il loro ruolo è previsto per arricchire l'attività formativa, e rientrano nell’organico che deve concorrere "alla realizzazione del piano triennale dell’offerta formativa con attività di insegnamento, di potenziamento, di sostegno, di organizzazione, di progettazione e di coordinamento".

Così, mentre i docenti curricolari o di sostegno hanno un orario e materie tradizionalmente legate alle classi, i docenti di potenziamento si occupano di attività aggiuntive. Possono dedicarsi a potenziare specifici ambiti, ricevere l’incarico di far parte dello staff del dirigente scolastico o occuparsi dell’organizzazione di attività come i PCTO (Percorsi per le Competenze Trasversali e per l'Orientamento, l'ex alternanza scuola-lavoro). 

Le loro ore, inoltre, non sono dedicate alle supplenze, tranne in casi specifici, ma sono ore da destinare al potenziamento dell’offerta formativa o a supporto del dirigente scolastico. Molti prof accettano questo incarico per aumentare il punteggio nelle graduatorie o perché i posti nella loro disciplina sono scarsi. Ma, come per Giulia, il lato oscuro è ritrovarsi a ricoprire un ruolo generico, lontani da casa e dalla materia che si ama.

Le assegnazioni provvisorie negate

L'isolamento di Giulia è stato aggravato dalla difficoltà di ottenere un riavvicinamento a casa. Fino al 2020 era riuscita ad ottenere delle assegnazioni provvisorie, che le avrebbero teoricamente permesso avvicinarsi alla sua Catania. Purtroppo, dopo quella data, le porte per il ritorno a casa si sono praticamente chiuse.

Il motivo è che l'Usr (Ufficio scolastico regionale) siciliano ha preso la decisione di limitare le possibilità di trasferimento provvisorio nell'Isola, rendendo la sua situazione ancora più complessa. Inoltre, le sono passati avanti tutti i colleghi che, in virtù della legge 104 o per la presenza di una famiglia a carico, avevano un diritto di priorità nel trasferimento, un'istanza che è considerata giustamente prioritaria.

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