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ricorso tar bocciatura

La bocciatura, lo scorso giugno, di una studentessa nel veneziano è diventata un caso legale, dopo la decisione della madre di impugnare la scelta della scuola per ben due volte, arrivando fino al Tribunale Amministrativo Regionale (TAR). Una battaglia che si è combattuta a colpi di verbali, note disciplinari e certificazioni mediche.

La famiglia sosteneva che non fossero stati tenuti in considerazione i bisogni speciali della ragazza, afflitta da misofonia (una forte avversione ai rumori) e vittima, a loro dire, di bullismo. La scuola ha risposto con una serie di prove che documentano un percorso scolastico a dir poco burrascoso.

La sentenza finale del TAR è arrivata ed è una doccia fredda per i genitori: la bocciatura è confermata. Una decisione che ribadisce la legittimità delle valutazioni scolastiche di fronte ai ricorsi.

Indice

  1. I motivi della bocciatura
  2. La battaglia della famiglia
  3. La decisione del TAR

I motivi della bocciatura

La via della bocciatura, nei confronti della studentessa veneziana di prima media, è stata intrapresa dalla scuola alla luce dei risultati non esattamente positivi: cinque materie insufficienti, un 5 in condotta provocato da 10 note, 13 richiami e ben due sospensioni dal servizio. 

Un provvedimento severo, ma giustificato dal Consiglio di classe dall'insieme di voti negativi e di comportamenti problematici emersi lungo i nove mesi di scuola. I docenti hanno evidenziato come le difficoltà della giovane non fossero solo legate all'apprendimento, ma anche a una "lucida opposizione alla condivisione di regole di convivenza".

La ragazza, infatti, aveva "sempre esplicitamente dichiarato di non voler rispettare" le regole, pregiudicando il clima in classe e arrivando ad avere "atteggiamenti aggressivi e derisori" verso i compagni.

La battaglia della famiglia

La madre della studentessa non ha accettato la decisione della scuola e ha immediatamente impugnato la bocciatura a luglio. La sua principale accusa è che la scuola non avrebbe tenuto in considerazione i bisogni educativi speciali della figlia. Secondo la famiglia, la ragazza è misofonica, un disturbo certificato da uno psicologo che causa reazioni sovradimensionate ai rumori. Per questo, a detta della madre, avrebbe dovuto avere un piano didattico personalizzato, che non è mai stato predisposto.

La donna ha anche denunciato episodi di bullismo e ha sottolineato come la giovane, pur avendo cinque materie insufficienti (5 in geografia, 5 in matematica, 5 in scienze, 4 in Tecnologia e 4 in Arte) avesse comunque la sufficienza in ben sette materie. Il TAR, in una prima fase, ha concesso una sospensiva, chiedendo alla scuola di motivare meglio la propria scelta.

I docenti, allora, sono scesi nei dettagli fornendo la loro spiegazione: “Nei nove mesi di lavoro a scuola le problematiche anche neurologiche emerse, malgrado non chiaramente e tempestivamente comunicate dalla famiglia, si sono manifestate prevalentemente come una lucida opposizione alla condivisione di regole di convivenza, che la giovane ha sempre esplicitamente dichiarato di non voler rispettare, a causa di questo è stato pregiudicato il clima relazionale con i coetanei che hanno subito atteggiamenti aggressivi e derisori dalla ragazza, quest’ultima ha dimostrato di non aver ancora interiorizzato elementari schemi ed etichette comportamentali socialmente accettabili”.

La decisione del TAR

Nonostante la prima risposta dei docenti, a settembre la mamma ha presentato una seconda impugnazione. A quel punto, la scuola ha fornito tutti i dettagli: le 10 note, i 13 richiami, le due sospensioni per aver offeso gravemente due compagni di classe, oltre a ritardi e assenze strategiche.

Riguardo alla questione dei bisogni educativi speciali, poi, il TAR ha stabilito che è la scuola ad essere autonomamente in grado di decidere se uno studente sia pronto per un affiancamento personalizzato.

I giudici hanno anche messo in luce un aspetto cruciale: sono i genitori a doversi attivare di fronte alle difficoltà di apprendimento dei figli. Nel caso specifico, era emerso che le insegnanti avevano più volte avvisato la famiglia di farsi supportare dallo psicologo scolastico. Dalla relazione, infatti, si evince che era stata la docente coordinatrice a contattare i genitori e persino la scuola elementare di provenienza.

Il TAR ha quindi annotato: "La famiglia non aveva mai dato seguito al suggerimento di prendere contatto con lo psicologo della scuola, rivolgendosi a uno specialista solo il 30 giugno, ad anno concluso".

La sentenza finale? La ragazza dovrà ripetere l'anno, a meno che la famiglia non decida di ricorrere al Consiglio di Stato.

Questa decisione si allinea a un'altra recente pronuncia del TAR, che in un caso simile aveva scritto che "giudicare non è punire ma permettere di crescere", ribadendo l'importanza del ruolo formativo della scuola.

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