Maria_Zanghi
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a scuola in gonna protesta
Fonte foto: via Instagram @zucchingonna

Protestare contro il sessismo e il maschilismo tossico che continua a inquinare il nostro Paese: è questa la motivazione che sta animando centinaia di ragazzi nell'indossare una gonna - indumento che nell’immaginario collettivo è un capo tipicamente femminile - per andare a scuola. Un’iniziativa che sta facendo molto scalpore, al centro della quale, da settimane, troviamo giovani e giovanissimi delle scuole superiori che hanno deciso di scendere in campo e manifestare in un modo alternativo e “provocatorio” per andare incontro all’esigenza di vivere senza pregiudizi e discriminazioni di ogni genere, senza essere definiti dai vestiti che si indossano.

I primi a compiere il gesto sono stati alcuni dei ragazzi del Liceo Zucchi di Monza quando, il 10 novembre, si sono presentati davanti ai cancelli dell’Istituto vestiti in gonna. Una protesta pacifica e silenziosa, svolta anche durante lo scorso anno scolastico 2020/2021, che quest’anno sta riscuotendo un notevole successo.

Dopo Monza anche Milano ha scelto di dire basta alla sessualizzazione delle donne, ma con risvolti un po’ diversi: se al liceo Zucchi, infatti, l’iniziativa è stata accolta di buon occhio da parte del corpo docente, al liceo Bottoni di Milano, la manifestazione ha preso un’altra piega a causa del rifiuto categorico da parte di un professore di fare lezione di fronte alla classe dove alcuni dei ragazzi avevano deciso di indossare la gonna.

Ma cosa spinge le nuove generazioni ad andare contro tutti gli stereotipi culturali e a scegliere di protestare in questo modo? Il portale di Skuola.net ha voluto indagare nel profondo la situazione, chiedendo ad alcuni degli esponenti dell’iniziativa del liceo Zucchi di Monza - Davide Candelma, Letizia Oluzzi, Chiara Bertacchi e Federico Contini - di raccontarci da dove nasce il loro malcontento e cosa vorrebbero cambiare.

La rivoluzione parte dai più giovani: tutti in gonna contro sessismo e mascolinità tossica

Sensibilizzare la popolazione affinché non accadano più episodi di violenza contro le donne e per rivendicare un ambiente più inclusivo e senza pregiudizi: sono questi i concetti da cui sono partiti i ragazzi del Liceo Zucchi di Monza per realizzare il progetto “Zucchingonna”. Un’iniziativa, quella di indossare in classe una gonna, che quest’anno sta spopolando e che ha coinvolto anche diverse altre scuole del Paese.

I primi a dare il via sono stati loro: Davide, Letizia, Chiara e Federico che sin dallo scorso anno hanno voluto dire basta “alla sessualizzazione del corpo femminile e alla mascolinità tossica”. Ciò che li ha spinti a organizzare una così sentita manifestazione è stata “la necessità di vivere in un ambiente più inclusivo per quanto riguarda le libertà individuali di ciascuno”.

La gonna come simbolo di rottura degli stereotipi

Ma perché la scelta di un indumento come la gonna? Gli studenti dello Zucchi ci spiegano che è proprio il capo d’abbigliamento più etichettato dalla società. “É un simbolo che abbiamo scelto a rappresentazione di tutti quegli indumenti che se indossati da una donna sono spesso considerati indecorosi o provocatori, e se indossati da un uomo lo fanno etichettare come non-mascolino”.

Una stereotipizzazione ancora presente in maniera massiccia nella nostra società: “Indossare, simbolicamente, una gonna, maschi e femmine, è un gesto semplice che esplicita la volontà di una scuola e di una società più inclusiva e più libera, dove nessun essere umano si debba sentire giudicato per i vestiti che sceglie di indossare o debba avere paura di andare in giro con un po’ più di pelle scoperta”.

Come in tutti i settori anche quello dell’abbigliamento è ancora fermo a generi ben distinti: esistono i cosiddetti "vestiti da donna” e “vestiti da uomo”, ma lo scopo dei ragazzi è proprio quello di scardinare le vecchie e, ormai, desuete, regole: non può più essere la cultura a stabilire cosa è giusto o meno indossare. “I vestiti, in senso assoluto, non hanno genere - spiegano bene gli studenti - questo significa che ciascuno ha la libertà di indossare qualsiasi vestito voglia, senza per questo dover essere giudicato più o meno idoneo a rappresentare l’uno o l’altro sesso”.

Ma c’è chi ancora storce il naso, come alcuni professori

Una battaglia aperta e contemporanea che sta raccogliendo i propri frutti, anche grazie alla volontà dei più giovani di rivolgersi in maniera chiara e lineare a quella fetta di popolazione che non ha mai affrontato tematiche del genere e che alle volte, per questo, si sente “minacciata” dalla loro potenza comunicativa. Come accaduto di recente al liceo Bottoni di Milano dove alcuni studenti hanno scelto di rifarsi all’iniziativa dello Zucchi di Monza, presentandosi in aula vestiti con la gonna, ma dove sono stati accolti malamente dal loro professore di storia e filosofia che ha scelto di non svolgere la lezione alla classe.

Il comportamento del professore del liceo Bottoni è stato irrispettoso nei confronti di ragazzi che non stavano andando contro a nessun regolamento scolastico - hanno commentato Davide, Letizia, Chiara e Federico. Siamo dispiaciuti dell’accaduto e siamo vicini ai ragazzi del Bottoni. Inoltre ringraziamo la presidenza di questo liceo di aver scelto di schierarsi dalla parte degli studenti e di prendere provvedimenti”.

Una reazione decisamente opposta, invece, quella espressa dal corpo docente e dagli studenti del liceo monzese: “L’iniziativa è stata accolta bene, sia dagli studenti, che dai professori, molti dei quali ci hanno sostenuto. I coetanei maschi che hanno deciso di non indossare la gonna hanno reagito bene, non ci sono stati commenti e anzi, spesso anche chi non indossava una gonna (visto che nulla è stato imposto, nessuno è stato obbligato a indossarne una!) in realtà era d’accordo con il messaggio e appoggiava l’iniziativa”.

Esempio, educazione e rispetto per sconfiggere la violenza

Zucchingonna si prefigge la volontà di abbattere stereotipi di genere e soprattutto di contrastare la sessualizzazione del corpo femminile. Una piaga sociale a cui ogni giorno assistiamo e che appare ancora difficile da sradicare. Ma come fare a credere in un cambiamento? La violenza - rispondono gli intervistati - si combatte con il rispetto: “L’esempio e l’educazione sono le basi di una tale “rivoluzione”, che speriamo la nuova generazione sia in grado di comprendere e mettere in atto ancor meglio delle precedenti”.

Manifestazioni rispettose e pacifiche come quella degli studenti del liceo Zucchi ci appaiono come un primo piccolo grande passo verso qualcosa di concreto e realizzabile. Per farlo, però, serve l’aiuto di tutti, soprattutto delle istituzioni primarie: “L’educazione al rispetto parte dalle famiglie e dalle scuole. Bastano un esempio sano e non-patriarcale in famiglia e una buona educazione scolastica - che, per esempio, sia priva di commenti e battutine maschiliste - per plasmare nuove generazioni che abbiano come punti saldi la parità e la libertà” - suggeriscono i ragazzi.

La scuola: il luogo di partenza per aprire gli occhi

Le istituzioni scolastiche educano e preparano i giovani al mondo. L’esempio dato da presidi e docenti rimane fondamentale per avviare i ragazzi verso una società più inclusiva, paritaria e dove gli stereotipi possano lasciare spazio al rispetto verso l’altro.

I luoghi dell’educazione stanno alla base delle idee che regnano la società - ribadiscono gli studenti - e il miglior modo per combattere idee sbagliate è cercare di smettere di diffonderle tra le nuove generazioni”.

Maria Zanghì

Data pubblicazione 1 Dicembre 2021, Ore 14:44
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