
Esattamente alle 16:58 del 19 luglio 1992, a Palermo, un'esplosione in via D'Amelio uccise il magistrato Paolo Borsellino e a cinque agenti della sua scorta. Era una domenica e il magistrato Paolo Borsellino, simbolo della lotta alla mafia, dopo aveva passato la giornata in famiglia, si era recato a trovare la madre. Fece solo in tempo ad arrivare.
Mentre era ancora in strada una Fiat 126 rossa, parcheggiata lì vicino, saltò in aria a causa di ben 90 chili di esplosivo al plastico nascosto all'interno.
Uccidendo non solo Paolo Borsellino, procuratore aggiunto a Palermo di soli 52 anni, ma anche gli agenti della sua scorta: Agostino Catalano di 43 anni, Vincenzo Li Muli di 22, Walter Eddie Cosina di 31, Claudio Traina di 27 ed Emanuela Loi, la prima donna della polizia di Stato ad essere uccisa in servizio, di 25 anni. Si salvò solo l'agente Antonio Vullo, in quel momento impegnato a parcheggiare una delle auto della scorta.Chi era Paolo Borsellino
Già da mesi Paolo Borsellino era consapevole di essere nel mirino di Cosa Nostra e sapeva che a Palermo era arrivato il tritolo destinato a lui. Nonostante questo, non ci fu mai un reale intervento da parte dello Stato. Il magistrato visse il periodo prima dell’attentato come un “condannato a morte”.
Palermitano, Paolo Borsellino entrò in magistratura nel 1963 a soli 23 anni, ed era il magistrato più giovane d'Italia: fu prima pretore a Mazara del Vallo, poi a Monreale e nel 1975 fu trasferito al tribunale di Palermo. Negli anni '80 entrò nel pool antimafia di Rocco Chinnici e, dopo la sua morte nel 1983, diretto da Antonino Caponnetto. E' qui che, insieme a Giovanni Falcone a circa a metà degli anni Ottanta, istituì un maxiprocesso a Palermo basato sulle testimonianze del pentito Tommaso Buscetta, che passò alla storia come il più grande processo svoltosi in Italia contro la mafia.
Dal 1986 fino al 30 gennaio 1992 - anche se spesso per maxiprocesso si intende il solo processo di primo grado, durato fino al 16 dicembre 1987 - nell’aula bunker dell’Ucciardone, furono giudicati 460 presunti appartenenti alle cosche mafiose, e vennero decisi un totale di 19 ergastoli e pene detentive per 2.665 anni di reclusione: tra gli imputati c'erano anche Totò Riina e i principali boss del gruppo dei corleonesi.
Nel dicembre 1986, Borsellino è nominato Procuratore della Repubblica di Marsala e ritorna al Tribunale di Palermo solo nel 1992, come Procuratore aggiunto per coordinare l’attività distrettuale antimafia. Il maxiprocesso rappresentò un duro colpo alle cosche mafiose, e fu uno dei motivi per i quali dichiararono guerra a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Fino agli episodi criminali che ne causarono la morte.
Come è morto Paolo Borsellino
Morì a soli 52 anni, a causa di un attentato di stampo mafioso, il procuratore aggiunto di Palermo Paolo Borsellino, in quella che oggi è tristemente conosciuta come la strage di Via d'Amelio. L'uccisione avvenne a soli 57 giorni di distanza da quella del collega e amico Giovanni Falcone, anche lui vittima di mafia insieme alla moglie e ai tre agenti della scorta.
I funerali di Paolo Borsellino si svolsero in forma privata il 24 luglio 1992, nella chiesa di Santa Maria Luisa di Marillac, poiché i familiari rifiutarono il rito di Stato. La moglie del magistrato accusò i rappresentanti politici di non aver saputo proteggere il marito, per cui la loro presenza non era considerata gradita durante la cerimonia. In compenso, una folla di 10 mila persone partecipò ai funerali.
Il giorno precedente, durante le esequie dei cinque agenti di scorta nella Cattedrale di Palermo, i rappresentanti dello Stato - tra cui il Presidente della Repubblica Oscar Luigi Scalfaro - furono oggetto della rabbia della folla che iniziò a gridare “Fuori la mafia dallo stato”.

Cosa è successo in via d'Amelio
La morte di Falcone prima, e quella di Borsellino poi, aprirono una questione cruciale: lo Stato, e più semplicemente i cittadini, doveva scegliere da che parte stare. Ma a più di 30 anni dalla morte di Borsellino, esistono poche certezze sulle responsabilità della strage di Via d'Amelio, le cui indagini sono state oggetto di depistaggi e ambiguità. In primis, con la scomparsa dell'agenda rossa di Paolo Borsellino dove il magistrato appuntava importanti informazioni concernenti il suo lavoro.
Il lunghissimo iter giudiziario che, in un primo momento, era costato l'ergastolo a 7 innocenti poi scagionati, è stato riaperto dopo le rivelazioni del pentito Gaspare Spatuzza, che ha rivelato un tentativo di depistaggio anche da parte anche di esponenti delle forze dell'ordine. Anche se la sentenza di primo grado emessa il 12 luglio 2022 sul depistaggio delle indagini su via d'Amelio contiene la dichiarazione di prescrizione del reato di calunnia aggravata contestato ai due poliziotti e l'assoluzione del terzo poliziotto imputato, recentemente i magistrati della procura di Caltanissetta hanno presentato ricorso, sostenendo che "è dimostrato in maniera incontrovertibile il coinvolgimento nella strage del 19 luglio 1992, costata la vita al giudice Paolo Borsellino e alla sua scorta, anche di soggetti estranei all'associazione mafiosa Cosa nostra, affermazione che non può nemmeno essere messa in discussione dal mancato accertamento di specifiche responsabilità penali".
Nel frattempo, proprio oggi è stata confermata dalla Corte d'assise d'appello di Caltanissetta la condanna all'ergastolo per il boss Matteo Messina Denaro, accusato di essere stato uno dei mandanti delle stragi di Capaci e via D'Amelio, insieme a Totò Riina. Ma i punti oscuri, soprattutto sulle responsabilità di uomini esterni a Cosa Nostra, rimangono irrisolti.