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L’incredibile storia di Ano e Tako: gemelle separate alla nascita si ritrovano grazie a TikTokQuesta è l’incredibile storia di Ano e Tako, due gemelle separate alla nascita che si sono infine ritrovate all’età di 19 anni grazie a un video su TikTok.

Fonte foto: La Repubblica

Come racconta ‘La Repubblica’, le due ragazze si sono scritte, si sono date un appuntamento e si sono incontrate.

Per loro, è stato come guardarsi allo specchio.

Ano e Tako: come guardarsi allo specchio

Sono 19 gli anni che hanno tenuto separate le due ragazze, entrambe ballerine. Ano Sartania e Tako Khvitia hanno vissuto in diverse città della Georgia senza mai venire in contatto. La prima è di casa a Tbilisi, la capitale, la seconda a Zugdidi, in Mingrelia, regione che affaccia sul Mar Nero. Quando avevano soltanto 11 anni, però, si sono quasi incontrate. Quasi. Ano era infatti andata nella cittadina di Tako per una competizione di danza. Qualcuno nota la somiglianza, che però passa in sordina. Le loro esistenze, dopo essersi sfiorate, tornano quindi all’interno dei propri binari. Ma il destino alla fine le ha ricongiunte.

Passano gli anni. Siamo ora nel novembre 2021. Ano riceve da un’amica un video TikTok con una ragazza molto simile a lei. Anzi, più che simile, praticamente identica. L’amica le chiede, forse a mo’ di battuta, quando si è tinta i capelli di blu. Ano è confusa, sorpresa. Va sulla pagina dello studio di tatuaggi che ha postato il video e sfoglia, a uno a uno, i 10mila follower del profilo. Niente, della ragazza non sembra esserci traccia. Ma Ano non si arrende e posta uno screenshot su un gruppo Facebook. Ed è così che viene contattata da una ragazza, che le passa il contatto di Tako, che intanto si è trasferita a Tbilisi. Le due giovani si scrivono per poi darsi appuntamento alla fermata della metro Rustaveli, nel cuore della città. Si incontrano e, per entrambe, è come guardarsi in uno specchio leggermente deformato.

Le due gemelle vendute alla nascita

Facciamo un salto nel passato. È il 20 giugno 2002. Siamo a Kirtskhi, piccolo paese che conta meno di mille abitanti. Qui, una donna di nome Aza dà alla luce due gemelle, ma con qualche complicazione. La donna va in coma per giorni. Come spiega ‘La Repubblica’, non è chiaro se prima o dopo aver ricevuto dai medici la brutta notizia: le due neonate non ce l’hanno fatta. Il marito, con cui la donna aveva già avuto 3 figli, fin dalla scoperta della gravidanza sostiene che le gemelle non sono sue. Oggi le sorelle, che evidentemente non sono morte, si dicono sicure: il padre le ha vendute. Ed è così che sono state adottate da due famiglie diverse.

Il mercato nero delle adozioni in Georgia

Quella di Ano e Tako è una storia incredibile, certo, ma in Georgia non mancano casi simili. Come spiega ‘La Repubblica’, nel difficile periodo che va dagli anni Ottanta ai primi Duemila, nel Paese ex-Unione Sovietica prosperava un fiorente mercato nero di adozioni illegali. Sono moltissime le persone accusate di essersi arricchite in maniera fraudolenta tramite il commercio di neonati. “Tutti erano coinvolti”, sostiene Tamuna Museridze, fondatrice del gruppo Facebook “Vedzeb”, (“Sto cercando”), che conta oltre 230mila membri in un Paese con meno di quattro milioni di abitanti. È proprio lei a portare l’attenzione sul problema, esponendo i risultati dell’attività di ricerca compiuta negli ultimi due anni. Un lavoro importante, che le è valso una menzione nella lista delle donne più influenti del 2023 secondo il network britannico Bbc.

“Il primo caso risolto risale al 1981”, racconta Tamuna, come riportato da ‘La Repubblica’. “Ci scrive un ragazzo, Gia, alla ricerca della madre biologica. La madre adottiva gli aveva svelato che l’aveva ottenuto dietro compenso da una ginecologa di un ospedale della capitale. Abbiamo trovato questa donna, l’abbiamo affrontata, le abbiamo detto che sapevamo tutto. Lei ha confessato”. Anche Tamuna ha subito lo stesso destino, anche lei è stata venduta. Lo ha scoperto dopo la morte della madre adottiva, una celebre giornalista televisiva. Lei ancora non è riuscita a trovare i suoi genitori biologici, ma grazie al suo lavoro più di 700 famiglie sono riuscite a ricongiungersi. La ginecologa ha rivelato di aver detto alla partoriente, tra l’altro una sua figlioccia, che il bimbo era morto, continua Tamuna. “La parte più dura è stata convincere la madre biologica di Gia a fare il test del Dna. Ci è voluto un mese. Non poteva accettare che la sua madrina fosse responsabile di una tale crudeltà”. Dopo la vicenda di Gia, il gruppo Facebook esplode accumulando iscritti che raccontano la propria storia.