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di paolodifalco01
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crisi di governoIn questi giorni si sente parlare molto di crisi di governo sopratutto dopo le parole del Premier Draghi nella conferenza stampa di ieri 12 luglio fatta insieme ai ministri del Lavoro, Andrea Orlando, e dello Sviluppo economico, Giancarlo Giorgetti, dove il Presidente del Consiglio ha sottolineato che:"Il governo con gli ultimatum non lavora, perde il suo senso di esistere. Se riesce a lavorare continua, se non riesce a lavorare non continua".

Account Twitter Palazzo Chigi

Ma, a cosa si riferisce Draghi? E, sopratutto, perché dovrebbe esserci una crisi di governo a meno di un anno dalla fine naturale della legislatura? Riannodiamo le fila del discorso e andiamo a vedere insieme quello che è accaduto negli ultimi giorni e che ha portato a questa situazione.

Lo strappo del Ministro degli Esteri Luigi Di Maio

Per provare a capire come si è arrivati allo scenario attuale dobbiamo senz'altro partire da quanto accaduto all'interno del Movimento 5 Stelle, dove vi è stata una scissione. A lasciare il M5S è stato Luigi Di Maio, attuale Ministro degli Esteri ed ex capo politico del Movimento, che ha fondato il suo nuovo partito "Insieme per il futuro" che comprende circa 60 ex pentastellati tra deputati e senatori. Ma perché Luigi Di Maio ha deciso di lasciare il M5S?

Le ragioni dietro questa scelta sono almeno due, ma andiamo con ordine. La prima motivazione è stata data dallo stesso Di Maio durante la conferenza stampa di presentazione del suo Partito dello scorso 22 giugno: dopo l'approvazione di una risoluzione sulla guerra in Ucraina frutto di diverse trattative con i pentastellati, l’ex capo politico del Movimento 5 stelle ha accusato il suo ex partito di mettere in discussione sia il suo lavoro da ministro degli Esteri sia quello del presidente del Consiglio, mettendo in difficoltà il governo in occasione di vertici internazionali, "solo per recuperare qualche punto percentuale, senza neanche riuscirci".

La situazione in Ucraina non è però che la punta dell'iceberg, l'allontanamento del Ministro degli Esteri dai vertici di partito ha avuto inizio già nel gennaio del 2020 con le sue dimissioni dal ruolo di capo politico ed è poi continuato lo scorso febbraio quando lo stesso si è dimesso dal Comitato di garanzia del Movimento 5 stelle, organismo che ha il compito di vigilare sull’applicazione delle regole interne al partito. Ad amplificare la crisi e le divergenze tra l'attuale capo politico Giuseppe Conte e Di Maio erano stati anche i contrasti sulla rielezione di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica.

Un'altra motivazione è invece legata alla "regola del doppio mandato" , uno dei cardini che ha caratterizzato il Movimento sin dalla sua nascita. Quest'ultima prevede che un parlamentare eletto con il Movimento 5 stelle non possa ricandidarsi dopo essere stato eletto per due volte in Parlamento. Questa regola era stata poi modificata nel luglio del 2019 dallo stesso Luigi di Maio attraverso l'introduzione del "mandato zero" che permetteva ai consiglieri comunali e di municipio di essere eletti al massimo per tre volte. Il fatto che molti parlamentari pentastellati siano già arrivati al loro secondo mandato potrebbe anche spiegare la grande adesione al nuovo partito: quest'ultimi, forse, sperano in una rielezione alle prossime elezioni politiche del 2023.

La crisi tra Giuseppe Conte e il Premier Draghi

Dopo lo strappo del Ministro degli Esteri a tenere banco è stata un'altra vicenda dai contorni non ancora chiari e definiti: stando a quanto rivelato dal sociologo Domenico De Masi, in collegamento telefonico con la trasmissione di Rai Radio1 "Un giorno da pecora":"Grillo si è incontrato coi parlamentari, ha detto un sacco di cose, per esempio che Draghi gli telefona continuamente e gli parla pure male di Conte". Stando sempre alle sue parole, smentite dal Premier Draghi, il Presidente del Consiglio avrebbe più volte chiamato il fondatore del M5S Beppe Grillo per rimuovere o aggirare i veti del capo politico del Movimento Giuseppe Conte.

La vicenda però non è del tutto confermata. Fatto sta che lo scorso mercoledì lo stesso Conte ha incontrato Draghi a Palazzo Chigi presentandogli un documento con nove punti sugli interventi che per i pentastellati sono fondamentali. Nello specifico i nove punti del testo sono: reddito di cittadinanza, salario minimo, decreto dignità, aiuti a famiglie e imprese, transizione ecologica, superbonus 110%, cashback fiscale, intervento riscossione e clausola legge di delegazione. In merito a questo testo nella conferenza stampa di ieri il Premier ha sottolineato che: "Quando ho letto quella lettera ho trovato molti punti di convergenza con l'agenda di governo, anche i temi discussi con i sindacati sono in quella direzione".

L'incognita sul voto di fiducia che potrebbe aprire la crisi di governo

Nonostante quest'apertura, potremmo dire che le sorti del governo Draghi dipendono dal voto, unificato, sulla fiducia e sul testo del decreto Aiuti, previsto questa settimana al Senato. Stando ad alcune indiscrezioni i senatori del M5S vorrebbero astenersi lasciando l’aula prima della votazione, un'azione che non impedirebbe alla maggioranza di votare la fiducia al Governo ma che potrebbe essere il segno di una spaccatura all'interno dell'attuale esecutivo.

Diversi gli scenari possibili, il leader del M5S potrebbe anche chiedere ai senatori di esprimere il loro sostegno al governo Draghi rimandando a fine luglio la scelta di tirarsi o meno fuori dal governo visto che la sua preoccupazione, emersa più volte negli ultimi giorni, è quella di mostrare che i pentastellati sono "responsabili nei confronti del Paese". Difatti, bisogna considerare che la scelta di pentastellati di lasciare il governo, secondo le parole del Premier Draghi, metterebbe fine all'esperienza di governo:"Ho già detto che per me non c'è un governo senza M5s e che non c'è un altro governo Draghi".

Quali sono gli scenari possibili?

Le sorti del governo, per farla breve, sono affidate al voto di domani: nel caso Giuseppe Conte decida di uscire dall'esecutivo, sia Forza Italia che la Lega chiederebbero "una verifica della maggioranza al fine di comprendere quali forze politiche intendano sostenere il governo" come già auspicato lunedì da Silvio Berlusconi. In questo caso la crisi entrerebbe in Parlamento e due gli scenari che si presentano come possibili.

Da un lato un governo di centrodestra, numericamente quasi impossibile, dall'altro il voto anticipato. Quest'ultima strada è ovviamente chiesta a gran voce dalla leader dell'unico partito all'opposizione, Giorgia Meloni di Fratelli d'Italia:"L'Italia non può restare ostaggio di litigi e beghe di Palazzo. Bisogna tornare al voto per dare alla nazione un governo forte, coeso e che faccia realmente gli interessi degli italiani. Elezioni subito".

Paolo Di Falco

Data pubblicazione 13 Luglio 2022, Ore 11:37
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