
, in fuga dal conflitto e in cerca di un futuro migliore. In particolare, Save the Children, nel suo ultimo rapporto, ha delineato un quadro davvero critico per i minori: sono circa 800mila i bambini in fuga dall'est.
Al contempo da ogni parte d'Europa sono giunte diverse iniziative di solidarietà a sostegno del popolo ucraino. In questo quadro particolarmente tragico, si inserisce la storia di Mattia Fabrizi, giovane volontario di “Ripartiamo Onlus” che lo scorso fine settimana ha preso parte ad una missione umanitaria al confine tra Polonia e Ucraina. Scopo del viaggio: portare in salvo quattordici ragazzi, tra i 5 e i 17 anni, provenienti da un orfanotrofio di Kharkiv.
Guarda l'intervista completa:
-
Leggi anche:
- Ucraina, cosa è successo all'ospedale pediatrico a Mariupol
- Ucraina, studenti dalla guerra alle scuole italiane: da nord a sud le storie di accoglienza
- Mappa dell'Ucraina ferma al 1989, errore nel libro di storia: scoppia la protesta
Da Kharkiv a Cattolica: in cerca di futuro
Quella del volontariato è per Mattia, oltre che una missione, una vera e propria vocazione. Il 29enne infatti è art-director in un'agenzia di comunicazione, ma non si tira indietro quando c'è da rimboccarsi le maniche: “Mi sono sempre occupato di aiutare il prossimo. Sono infatti stato volontario della Croce Verde, in cui mi occupavo del trasporto di pazienti con problematiche gravi”. E, di fronte alla catastrofe umanitaria in atto, non ha potuto tirarsi indietro: “Questa per noi è stata la prima missione umanitaria e già una seconda squadra si è recata nuovamente in Polonia per mettere in sicurezza stavolta i neonati”.
Quando gli chiediamo di spiegarci nel dettaglio il viaggio che ha intrapreso, Mattia lo fa senza nascondere l'emozione: “Il nostro viaggio è iniziato da Roma dove abbiamo incontrato i nostri collaboratori della Misericordia Italia e ci siamo imbarcati su un aereo, direzione Varsavia. Da lì, ci siamo messi in auto con direzione Korczova, a 5 chilometri dal confine ucraino. Qui è stato allestito un centro accoglienza all'interno di un centro commerciale e lì abbiamo atteso l'arrivo dei quattordici ragazzi provenienti da un orfanotrofio di Kharkiv”.
La missione, avviata lo scorso giovedì, è durata appena due giorni. Quanto basta per trarre in salvo più vite possibili. E dopo aver incontrato i ragazzi dell'orfanotrofio, Mattia ci rivela che insieme agli altri volontari, sono riusciti a riportare in Italia anche un'altra quarantina di persone, che si trovavano nel centro accoglienza. Nella notte di venerdì hanno quindi fatto rientro in Italia, destinazione Cattolica: “Ad attenderci, le suore della Chiesa Parrocchiale dei Santi Apollinare e Pio V, che hanno messo a disposizione le loro strutture per accogliere questi ragazzi e le loro tutrici”.
Diffidenza, sconforto, paura: gli occhi di chi ha visto la guerra
Un solo e unico obiettivo: mettere in sicurezza questi ragazzi, il più in fretta possibile. “Abbiamo portato beni di prima necessità tra cui cibo e medicinali, oltre a dei piccoli intrattenimenti per rendere il viaggio più tranquillo possibile” rivela Mattia. La rapidità era un elemento fondamentale poiché, ad oggi, la situazione non fa “che peggiorare di giorno in giorno”.
Un paradosso quindi che molte di queste persone credano di poter tornare nelle loro case in breve tempo: “Purtroppo non credo sarà possibile. Considerando che la maggior parte delle grandi città è tutt'ora sotto il fuoco russo e molti edifici residenziali sono stati rasi al suolo” ci spiega Mattia. Alla luce di questo, è facile comprendere gli stati d'animo di un popolo strappato alla propria terra d'origine. In un esodo che ormai conta migliaia di persone, non si hanno punti di riferimento se non la persona che si ha al proprio fianco: “I ragazzi erano stanchi, spaventati e diffidenti. E' stato difficile conquistare la loro fiducia e convincerli che eravamo lì per aiutare”.
La risposta dei polacchi alla crisi umanitaria
Nella tragedia, la solidarietà aiuta a sentirsi quindi meno soli. Il grido d'aiuto del popolo ucraino è stato accolto da tutta Europa. E Mattia ci conferma la presenza di molte organizzazioni presenti sul territorio con lo scopo di aiutare: “Abbiamo incontrato molte associazioni provenienti da altri Paesi UE che si trovavano lì per il nostro stesso scopo. Non c'è stato tempo di confrontarci ma è certo che tutti i Paesi si stanno impegnando al meglio delle proprie possibilità”.
In questo senso, un plauso va alla Polonia e ai suoi cittadini perché la loro risposta all'emergenza umanitaria in corso “è stata pronta e organizzata”. Non è certo facile, per ovvie ragioni logistiche, gestire il flusso di migranti che “arrivano da ogni angolo dell'Ucraina”. Ad “Hala Kijowska”, il centro commerciale adibito a rifugio, si accalcano ogni giorno migliaia di persone in attesa di prendere un autobus che li conduca lontano dal conflitto. E per farlo, sono pronti a tutto, come ci racconta Mattia: “Dai racconti che abbiamo potuto ascoltare abbiamo appreso che dopo un primo tratto in auto, molte persone sono state costrette a proseguire gli ultimi 10 chilometri a piedi, durante la notte, pur di raggiungere il confine con la Polonia”.
Cosa possiamo fare noi?
La domanda che sorge spontaneanella mente di chiunque in questi giorni è come poter aiutare, seppur da lontano. Ma in questi casi ogni genere d'aiuto può davvero fare la differenza: “La priorità al momento sono generi alimentari e medicinali, che scarseggiano. Ci si può mettere in contatto con una delle varie associazioni italiane che si occupano della vicenda”.
Ma nessuna azione è sprecata, finché anche una sola vita viene salvata. Questo è l'insegnamento che ci ha dato Mattia. Non importa come, ma il sostegno e la vicinanza sono fondamentali nella tragedia. Ne abbiamo il dovere, come cittadini europei e come abitanti del mondo: “Il fatto di aver fatto una minima differenza, anche se per un numero esiguo di persone, è impagabile” conclude Mattia.