
Ma, da dove viene questa famosa percentuale del 2%? Inoltre, quanto spendiamo attualmente per le spese militari? E cosa succede negli altri Paesi? Vediamolo insieme.
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Chi ha deciso che il 2% del Pil deve essere destinato alle spese militari?
La soglia del 2% del PIL da destinare alle spese militari ha fatto la sua comparsa nel 2006, quando i ministri della Difesa dei Paesi membri della NATO ne parlarono alla fine di una conferenza stampa in Lettonia. Inoltre, alla loro dichiarazione era anche seguita la precisazione di un portavoce dell'alleanza atlantica che aveva bollato le loro dichiarazioni non come "un impegno formale" ma solamente come l'impegno "di lavorare a questo obiettivo".La decisione è stata poi formalizzata nel 2014 e, precisamente, nel summit di Newport (Galles), tenutosi dopo l'invasione e l'annessione illegittima della Crimea a opera del Presidente russo Putin. Nella dichiarazione finale del summit si chiedeva ai Paesi membri che spendevano meno del 2% del PIL in spese militari di aumentare il budget in modo da raggiungere questa soglia entro il 2024.
Quali sono le conseguenze se non si raggiunge la soglia del 2%?
Nonostante, come abbiamo visto, quest'impegno è stato formalizzato non rappresenta però un impegno vincolante e proprio per questo al momento non vi sono particolari sanzioni o conseguenze per i Paesi, tra cui c'è anche l'Italia, che non lo rispettano. Sullo stesso sito della NATO si legge che tale scelta è stata presa in modo da "assicurare la prontezza militare della NATO" e che la soglia è un "indicatore della volontà politica dei diversi Paesi di contribuire agli sforzi comuni di difesa" perché le capacità militari di ogni metro vanno poi a contribuire alla "percezione complessiva della credibilità dell’alleanza come organizzazione politico-militare".Bisogna comunque tenere in conto che alla base di tale percentuale da raggiungere c'è sicuramente l'idea che i Paesi più ricchi devono spendere di più in armi e in difesa in modo da essere pronti per affrontare eventuali minacce militari.
Quanto spende l'Italia in spese militari?
Prima di vedere quanto spende il nostro Paese bisogna sottolineare come le spese per la difesa sono composte da tre voci: personale, esercizio e investimenti per le armi. All’esercizio e alle armi va rispettivamente il 25% mentre il restante 50% è destinato al personale.Detto ciò, negli ultimi otto anni l'Italia ha incrementato la quota di PIL destinata alle spese militari che, secondo gli stessi dati della NATO, è passata dall'1,1% del 2014 all'1,4% del 2021. In termini assoluti, la cifra che attualmente è destinata alla spesa militare, stando al bilancio del Ministero della Difesa per il 2022 e ai dati raccolti dal report dell'Osservatorio Milex - progetto avviato nel 2016 in collaborazione con la Rete italiana pace e disarmo - sfiora i 26 miliardi (25,8 per l'esattezza), con un aumento all'incirca di 1,35 miliardi. Bisogna inoltre sottolineare come quest'aumento era abbastanza prevedibile, anche perché durante gli scorsi mesi il Parlamento ha approvato ben 18 programmi di riarmo.
A beneficiare maggiormente dell’ultimo aumento dei fondi pubblici destinati alla spesa militare è stato il comparto dell’aeronautica che ha ottenuto oltre 6 miliardi di euro per il nuovo caccia Tempest e 2 miliardi per gli F-35, gli eurodroni classe Male e gli aerei Gulfstream. Un'altra parte della spesa è invece stata destinata alle nuove batterie missilistiche antiaeree per i missili Aster, finanziate con 2,3 miliardi di euro, e ai 3600 blindati Lince che andranno a sostituire i 1.700 già in dotazione dell'esercito italiano.
Chi ha incrementato in questi otto anni la spesa per le armi militari?
Secondo i documenti parlamentari dell'inizio dell'attuale legislatura, in totale sono stati presentati in Parlamento 54 programmi d'arma. Di questi: 31 sotto il governo Draghi, 8 sotto il secondo governo Conte e 15 sotto il primo governo Conte. L'importo totale finanziato è di oltre 25,2 miliardi di euro, di cui oltre la metà nel 2021 (14,3 miliardi), 6,1 miliardi nel 2020 e circa 4,9 miliardi nel 2019.Se nella legge di bilancio con Draghi si è arrivati a 25,9 miliardi di spesa per la difesa nel 2022, con una previsione decrescente nel 2023 (25,5 miliardi di euro) e nel 2024 (24,9 miliardi), bisogna invece dire che nelle leggi di bilancio del 2019 il governo Conte aveva previsto una spesa di 21,4 miliardi, per poi aumentare a 22,9 nell’anno successivo e arrivare a 24,5 nel 2021.
Con uno sguardo più lungo, va detto che il trend dell'aumento delle spese militari è iniziato già sotto il governo Renzi, nel 2016, quando le spese finali del ministero della Difesa ammontavano a 19,9 miliardi. Secondo i calcoli dell’Osservatorio Milex, inoltre, per raggiungere il 2% dovremmo però aggiungere 13 miliardi di euro al budget annuale per la difesa, che nel 2022 come abbiamo già visto è stato di circa 25,8 miliardi di euro.
Cosa succede negli altri Paesi membri della NATO?
E nel resto del mondo, cosa accade? Il SIPRI di Stoccolma, ovvero uno dei più prestigiosi istituti di studi sulla pace, stima che le spese militari a livello globale si aggirano intorno ai 1.981 miliardi di dollari. A investire di più sono gli Stati Uniti, con una spesa annuale di 766 miliardi di dollari; mentre in Cina, nel decennio che va dal 2011 al 2020, si è registrato un incremento del 76% della propria spesa militare.La NATO, invece, spende circa 1.103 miliardi di dollari che va a rappresentare il 56% della spesa complessiva. Ben sei Paesi del Patto Atlantico si trovano nei primi 15 posti della classifica dei Paesi che più investono nel comparto militare, ovvero: Stati Uniti, Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Canada. Secondo i dati della Banca mondiale, inoltre, tra il 1960 e il 1974 il nostro Paese ha sempre speso più del 2% del proprio PIL in ambito militare sfiorando anche il 3% nel 1966. Dal 1990 in poi, però, la soglia non è mai più stata raggiunta.
Quanto vale il comparto istruzione?
Coloro che sono contro la destinazione del 2% del PIL per le spese militari sostengono che quei soldi potrebbero essere impiegati diversamente e in altri comparti, come quello dell'istruzione. Proprio a quest'ultimo settore, l'istruzione, stando ai dati più recenti forniti da Eurostat e relativi al 2019, i Paesi europei destinavano nell'anno prima della pandemia 654 miliardi di euro, cioè circa il 4,7% del Prodotto Interno Lordo Ue del 2019.Se però Paesi come la Svezia, la Danimarca e il Belgio hanno superato il 6% del Pil, rispettivamente con il 6,9%, il 6,3% e il 6,2% del Pil, l'Italia invece destinava solo il 3,9% del Pil. Il calo della spesa nel comparto dell'istruzione infatti seguì la recessione del 2008 con la conseguente contrazione dei budget pubblici dedicati alla scuola.
Paolo Di Falco