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di paolodifalco01
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Come annunciato, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha rassegnato le sue dimissioni al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Un gesto la cui tempistica non è arrivata a caso. Avviene, infatti, alla vigilia del voto - previsto nei prossimi giorni - sulla relazione sulla giustizia elaborata dal Ministro Alfonso Bonafede. Erano stati già in molti, anche tra “i responsabili”, ad annunciare il loro voto contrario e quindi, per evitare il rischio di una sfiducia, il premier Conte ha deciso di dimettersi in anticipo. Provando ad aprire una nuova pagina della sua travagliata esperienza di governo. E ora, cosa succede? Per capirlo, come spesso accade, è necessario fare un passo indietro.

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    La scorsa settimana, il Presidente del Consiglio aveva ottenuto una difficoltosa fiducia da parte delle due Camere. Proprio in questi giorni, però, si stava muovendo per consolidare la maggioranza, provando ad attirare il sostegno di senatori - laddove i numeri lo mettevano più in pericolo - appartenenti ad altri schieramenti politici (i cosiddetti ‘responsabili’). Da una parte si tentava di far rientrare nella maggioranza qualcuno dal gruppo dei renziani di Italia Viva, dall’altro si cercava qualche altro sostenitore sia in Forza Italia che nel Gruppo Misto. La prova della formazione di una nuova maggioranza doveva esserci proprio in occasione del voto in Parlamento sulla relazione di Bonafede. Che, di fatto, viene svuotata di significato politico. L’attenzione, ora, è tutta rivolta a un altro palazzo: il Quirinale

    Le prossime mosse: un Conte-ter la soluzione principale

    Il Presidente della Repubblica, infatti, si prepara ad avviare già da domani pomeriggio (in mattinata c’è la celebrazione per la Giornata della memoria) un giro di consultazioni con i gruppi parlamentari. Incontri che dovrebbero concludersi in un paio di giorni. A cosa servono le consultazioni? A permettere di far capire al Presidente Mattarella se è possibile trovare una nuova maggioranza in parlamento per la nascita di un nuovo esecutivo, a chi affidare un eventuale incarico o se prendere altre strade.
    L’ipotesi più accreditata è quella che vede, subito dopo le consultazioni, il Presidente Mattarella convocare nuovamente Conte per dargli un mandato esplorativo, ovvero l’incarico di valutare se ci sono i margini per formare una maggioranza diversa e più ampia della precedente, con numeri abbastanza solidi. Un compito non impossibile, visto che il premier uscente ha già il sostegno del Movimento 5 Stelle e del Partito Democratico. In caso di missione compiuta, prenderebbe vita il Governo Conte-ter.
    Alla fine, potrebbe far parte di un esecutivo del genere addirittura Italia Viva: il partito di Renzi si è detto disponibile alle trattative (formalmente non ha mai sfiduciato Conte ma, in occasione del voto della settimana scorsa, si è astenuto in blocco). Sembrerebbe, infatti, che una parte di Pd e Movimento 5 Stelle sarebbe disponibili a trattare. Il centrodestra (Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia) dovrebbe invece essere compatto e, al momento, esclude di partecipare a questo genere di maggioranza.

    Gli altri possibili scenari

    Ma restano comunque in piedi altre ipotesi, a disposizione di Mattarella. Se Conte non dovesse riuscire a trovare una maggioranza, un altro scenario potrebbe essere quello della costituzione di un nuovo esecutivo, con un Presidente del Consiglio diverso. Nelle ultime ore stanno già circolando i primi nomi di chi sarebbe la persona incaricata: i più gettonati sono quelli di Dario Franceschini o Lorenzo Guerini del PD, Luigi Di Maio del M5s, ma anche di “tecnici” - personalità non legate ad alcun partito politico - come la presidente emerita della Corte Costituzionale Marta Cartabia e l’ex presidente dell’ISTAT Enrico Giovannini.
    Se dovesse fallire anche questo tentativo, un nuovo Governo potrebbe ugualmente formarsi, stavolta sicuramente attorno alla figura di un tecnico. Un governo cosiddetto di unità nazionale che unirebbe quasi tutte le forze politiche per traghettare il Paese verso la fine della legislatura o, alle brutte, a elezioni anticipate. Questa, tra l’altro, sarebbe la soluzione migliore per il centrodestra.
    L’ultimo scenario, il più estremo, si affaccerebbe qualora fallissero tutti i precedenti: sarebbero le elezioni immediate (o meglio, il prima possibile). Una strada che, però, al momento non sembra percorribile per varie ragioni, oltre ovviamente alle difficoltà organizzative legate alla pandemia. Su tutte la questione seggi elettorali: bisogna infatti ricordare che la riforma fortemente voluta dal Movimento 5 Stelle del taglio dei Parlamentari (sancita dal referendum dell’autunno scorso) è stato fortemente ridotto il numero di Deputati e Senatori; per andare al voto bisognerebbe prima approvare una nuova legge elettorale per ridisegnare i collegi elettorali. E tutto questo andrebbe fatto entro la fine di luglio. Perché dopo si entrerà nel ‘semestre bianco’ (i sei mesi che precedono le elezioni del nuovo Presidente della Repubblica), durante il quale il Presidente uscente non può sciogliere le Camere.

    Paolo Di Falco

Data pubblicazione 26 Gennaio 2021, Ore 15:48
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