
Lo scenario era quello della Cecoslovacchia, uno Stato indipendente dell'allora URSS, che sorgeva nel territorio dove oggi si trovano Slovacchia e Repubblica Ceca. Il 20 agosto 1968, 200mila soldati e 5mila carri armati del Patto di Varsavia sfilavano per le vie della capitale ceca, per porre fine alla Primavera di Praga.
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Che cosa si intende per Primavera di Praga?
Fino al suo scioglimento l'Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) era un insieme di Stati indipendenti che rispondevano in tutto e per tutto alla capitale Mosca. Le Repubbliche erano organizzate dunque sulla base del modello sovietico, con il Partito Unico a rappresentare la massima autorità statale. Così era nel territorio oggi abitato da cechi e slovacchi, dove il Partito Comunista Cecoslovacco era di fatto la sola e unica autorità a decidere le sorti dello Stato. Fu così fino al 1968, quando Alexander Dubcek salì alla carica di segretario del partito.Convinto di dover abbandonare la strada sovietica, Dubcek si circondò di un folto gruppo di politici e intellettuali riformatori, diventando il maggiore interprete di una linea antiautoritaria che sfociò poi nella Primavera di Praga. Il 5 gennaio 1968 il segretario diede il via a un processo di rinnovamento senza precedenti, e fino allora impensabile, per uno Stato satellite dell'URSS. Durante gli otto mesi della cosiddetta Primavera di Praga infatti il controllo amministrativo ed economico fu in parte decentrato e ai cittadini furono concesse maggiori libertà, a cominciare da quelle di movimento e di espressione. Furono inoltre allentate le restrizioni alla stampa. E fu proprio in quegli anni che si parlò per la prima volta di Repubblica Ceca e Repubblica Slovacca, su iniziativa dello stesso segretario Dubcek, al termine una discussione a livello nazionale sulla possibilità di trasformare il Paese in una federazione di più repubbliche.
La fine della Primavera di Praga
Tuttavia, l'impronta fortemente progressista di questa ondata di riforme, unita al fermento dei cittadini, rappresentavano per Mosca una minaccia intollerabile. In particolare, il Segretario generale del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, Leonid Breznev, che temeva un 'contagio' degli Stati del blocco orientale. Così dopo i negoziati falliti, le truppe dell'URSS e di altri quattro Paesi del Patto di Varsavia, ovvero Germania Est, Polonia, Ungheria e Bulgaria, marciarono su Praga, occupando l'intero territorio della Cecoslovacchia.L’invasione innescò un’ondata migratoria verso l’Europa occidentale, mentre all’interno del Paese si moltiplicarono le proteste non violente: la più celebre rimane quella dello studente Jan Palach, che a Praga, in piazza San Venceslao, si tolse la vita dandosi fuoco. La Cecoslovacchia entrò così in un cosiddetto “periodo di normalizzazione”: i leader man mano imposti dai sovietici cancellarono le riforme di Dubcek e ripristinarono le condizioni politiche ed economiche precedenti alla Primavera di Praga.