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disturbi comportamento alimentare storieQuante volte ti è capitato di pensare di essere al centro di una storia dai contorni sfocati e labili che non ti permettono di vivere in serenità la tua adolescenza e di sostenere con difficoltà le esperienze che ti si pongono davanti? A volte abbiamo delle "vocine" che ci guidano in queste situazioni, che ci indicano la strada più corretta da percorrere, o almeno quella da cui ci facciamo persuadere.
A volte quella vocina diventa il cibo, unico vero amico fedele di lunghe giornate spese in solitudine, senza nessuno a cui confidare il proprio malessere. Un vuoto che Alice aveva deciso di colmare lasciandosi affondare in esso.

I suoi genitori si erano separati quando lei aveva appena nove anni. Un'età critica sotto tanti punti di vista e per chi, come lei, preferiva nascondere la mancanza e la sofferenza dietro un finto sorriso, mangiare diventava l'unica valvola di sfogo in grado di rassicurarla e proteggerla dal mondo esterno. "Una vocina nella testa" - così definisce Alice la sua malattia che, nel corso degli anni, in pieno sviluppo, si manifesta in maniera inesorabile.

Alice tocca il fondo per ben due volte, ma riesce a riemergere grazie ai medici e agli specialisti che le hanno permesso di mettere da parte la "voce" che l'aveva fatta arrivare a perdere così tanti chili da essere irriconoscibile. Oggi ha 21 anni e ha deciso di raccontare la sua storia ad Animenta, l'associazione no-profit che si occupa di informare e sensibilizzare sui Disturbi del Comportamento Alimentare.

"Il cibo mi permetteva di colmare il vuoto che avevo dentro"

Soffrire di DCA significa ritrovare nel cibo l'amico, il conforto mancante e la certezza nella sofferenza. Uno stato di necessità silenzioso che chi soffre spesso non riesce a esternare, soprattutto perché molto spesso a cadere in queste malattie sono giovanissimi, ancora incapaci di chiedere formalmente aiuto. Così come è accaduta ad Alice che all'età di nove anni individua nel cibo l'oggetto "curante", una vocina rassicurante, sempre accanto a lei e al suo disordine quotidiano. La mancanza e la sofferenza data dalla separazione dei suoi genitori non le permettevano di comunicare agli altri il proprio malessere. La risposta era mangiare, inevitabilmente, di tutto.

La Pandemia diventa causa scatenante dell'anoressia

Dal cibo come cura, al cibo come nemico il passo è stato breve. Con l'arrivo della pandemia da Covid-19, Alice, che da poco si era trasferita fuori sede per studiare all'università, si vede costretta a rientrare nella sua città ed è qui che emergono i segnali di ciò che era rimasto segreto per tanto tempo.

"Nasce tutto con un “sono sola a casa, mamma deve lavorare e io mi annoio. È il momento perfetto per perdere qualche chilo” e da lì inizia il circolo vizioso di allenamento, restrizioni e metodi compensatori". Una situazione che abbiamo vissuto un po' tutti: soli dentro le mura domestiche tra cibo e prove di palestra fai da te. La stessa condizione che, però, ha fatto riemergere il disturbo alimentare in un'altra veste. Alice, infatti, allenandosi senza sosta ha iniziato a perdere sempre più chili, senza riuscire a fermarsi. Il peso era ormai giunto al limite e il suo corpo quasi faceva fatica e reggersi in piedi. E' qui che per la prima volta si rende conto del suo problema e riesce a chiedere, finalmente, aiuto.

"Entravo e uscivo dall’ospedale, vedevo più i medici che i miei genitori fino a quando fisicamente sono rientrata in quel tanto temuto "normopeso" e da, quel punto in poi -racconta - i medici mi hanno detto che sarei stata in grado di volare da sola".

Cadere e rialzarsi: la forza di chiedere aiuto

Un passaggio apparentemente semplice: ritornare alla routine quotidiana, a studiare all'università e ad autogestirsi. Un sistema che si inceppa quasi immediatamente e Alice si ritrova nuovamente nel vortice dell'anoressia.

Una prima fase di sconforto viene subito accompagnata da quella del coraggio: la ragazza sceglie di chiedere nuovamente aiuto e di tornare in terapia, "Di abbandonare quella che consideravo la mia migliore amica (quella che in realtà era solo la voce della malattia)". Il percorso è ancora lungo e in salita, confessa, ma "Ora posso dire di essere diventata consapevole. Consapevole della mia forza e delle mie debolezze. Ora posso dire di avercela fatta, di essere rinata".