Concetti Chiave
- Il conflitto tra Achille e Agamennone nasce dal rifiuto di Agamennone di restituire la schiava Criseide senza un adeguato riscatto, portando Achille a considerare di abbandonare la guerra.
- Achille critica Agamennone per la sua avidità e ingiustizia, sostenendo che pretende ricompense ingiuste dai Greci e minaccia di prendere il dono di Achille stesso.
- Agamennone risponde con arroganza, dichiarando che prenderà Briseide, la schiava di Achille, per dimostrare il suo potere e indurre timore tra gli altri capi.
- Achille è tentato di uccidere Agamennone ma viene fermato da Atena, che lo esorta a contenere la sua ira e promette che riceverà doni più grandi in futuro.
- Nonostante il consiglio divino, Achille continua a denigrare Agamennone, accusandolo di vigliaccheria e minacciando di ritirarsi dalla battaglia e tornare a casa.
In questo appunto di italiano si riporta la parafrasi dei versi 101-187 del primo libro dell'Iliade. Nei versi 101-246 del primo libro dell'Iliade viene descritto il diverbio tra Achille e Agamennone, il quale causerà l'ira implacabile di Achille. Il motivo dell'ira dell'eroe acheo è il rapimento della schiava Criseide da parte del re degli Atridi Agamennone. Nell'Iliade Agamennone afferma che avrebbe restituito la fanciulla solo in cambio di un'altra prigioniera, ovvero Briseide, la schiava tanto amata da Achille, e di doni e riconoscimenti del suo valore.
Questo gesto farà infuriare talmente tanto il pelide Achille a tal punto da fargli quasi maturare l'idea di abbandonare le armi nel corso della guerra di Troia.
Indice
Versi 101-187 del primo libro dell'Iliade
Ma del braccio l’aita e della voce
A me tu pria, signor, prometti e giura:
Perché tal che qui grande ha su gli Argivi
Tutti possanza, e a cui l’Acheo s’inchina,
N’andrà, per mio pensar, molto sdegnoso.
Quando il potente col minor s’adira,
Reprime ei sì del suo rancor la vampa
Per alcun tempo, ma nel cor la cova,
Finché prorompa alla vendetta. Or dinne
Se salvo mi farai. - Parla securo,
Rispose Achille, e del tuo cor l’arcano,
Qual ch’ei si sia, di’ franco. Per Apollo
Che pregato da te ti squarcia il velo
De’ fati, e aperto tu li mostri a noi,
Per questo Apollo a Giove caro io giuro:
Nessun, finch’io m’avrò spirto e pupilla,
Con empia mano innanzi a queste navi
Oserà vïolar la tua persona,
Nessuno degli Achei; no, s’anco parli
D’Agamennón che sè medesmo or vanta
Dell’esercito tutto il più possente.
Allor fe’ core il buon profeta, e disse:
Nè d’obblïati sacrifici il Dio
Nè di voti si duol, ma dell’oltraggio
Che al sacerdote fe’ poc’anzi Atride,
Che francargli la figlia ed accettarne
Il riscatto negò. La colpa è questa
Onde cotante ne diè strette, ed altre
L’arcier divino ne darà; nè pria
Ritrarrà dal castigo la man grave,
Che si rimandi la fatal donzella
Non redenta nè compra al padre amato,
E si spedisca un’ecatombe a Crisa.
Così forse avverrà che il Dio si plachi.
Tacque, e s’assise. Allor l’Atride eroe
Il re supremo Agamennón levossi
Corruccioso. Offuscavagli la grande
Ira il cor gonfio, e come bragia rossi
Fiammeggiavano gli occhi. E tale ei prima
Squadrò torvo Calcante, indi proruppe:
Profeta di sciagure, unqua un accento
Non uscì di tua bocca a me gradito.
Al maligno tuo cor sempre fu dolce
Predir disastri, e d’onor vote e nude
Son l’opre tue del par che le parole.
E fra gli Argivi profetando or cianci
Che delle frecce sue Febo gl’impiaga,
Sol perch’io ricusai della fanciulla
Crisëide il riscatto. Ed io bramava
Certo tenerla in signoria, tal sendo
Che a Clitennestra pur, da me condutta
Vergine sposa, io la prepongo, a cui
Di persona costei punto non cede,
Nè di care sembianze, nè d’ingegno
Ne’ bei lavori di Minerva istrutto.
Ma libera sia pur, se questo è il meglio;
Chè la salvezza io cerco, e non la morte
Del popol mio. Ma voi mi preparate
Tosto il compenso, chè de’ Greci io solo
Restarmi senza guiderdon non deggio;
Ed ingiusto ciò fôra, or che una tanta
Preda, il vedete, dalle man mi fugge.
O d’avarizia al par che di grandezza
Famoso Atride, gli rispose Achille,
Qual premio ti daranno, e per che modo
I magnanimi Achei? Che molta in serbo
Vi sia ricchezza non partita, ignoro:
Delle vinte città tutte divise
Ne fur le spoglie, nè diritto or torna
A nuove parti congregarle in una.
Ma tu la prigioniera al Dio rimanda,
Chè più larga n’avrai tre volte e quattro
Ricompensa da noi, se Giove un giorno
L’eccelsa Troia saccheggiar ne dia.
E a lui l’Atride: Non tentar, quantunque
Ne’ detti accorto, d’ingannarmi: in questo
Nè gabbo tu mi fai, divino Achille,
Nè persuaso al tuo voler mi rechi.
Dunque terrai tu la tua preda, ed io
Della mia privo rimarrommi? E imponi
Che costei sia renduta? Il sia. Ma giusti
Concedanmi gli Achivi altra captiva
Che questa adegui e al mio desir risponda.
Se non daranla, rapirolla io stesso,
Sia d’Aiace la schiava, o sia d’Ulisse,
O ben anco la tua: e quegli indarno
Fremerà d’ira alle cui tende io vegna.
Bibliografia per i versi 101-187 del primo libro dell'Iliade: Iliade, Monti.
Achille contro Agamennone
Detto questo Calcante, si sedette; quindi fra loro si alzò il potente Agamennone, figlio di Atreo, infuriato; i precordi erano pieni d’ira, e gli occhi sembravano lampeggiare di fuoco; gridò, guardando male Calcante:
- Indovino del male, non dici mai buoni auguri per me, il cuore ti suggerisce sempre dei mali, non dici mai buona parola, non la porti mai a compimento! E adesso che sei fra i Greci profetizzi che per questo motivo Apollo dà loro delle disgrazie, perché io non ho voluto accettare il riscatto della giovane Criseide: desidero tanto averla in casa, la preferisco a Clitemnestra, anche se sposa legittima, perché non la supera in niente, non di corpo, non di aspetto, non di mente, non di opere.
Ma acconsento di renderla anche così, se è meglio; voglio un esercito sano, e che non soccomba. Però preparatemi subito un dono; in modo che non resti solo io privo di doni fra i Greci, non è equo.
Quindi guardate quale altro dono mi deve toccare.
Allora intervenne Achille, dal piede veloce:
-Gloriosissimo figlio di Atreo, avidissimo più di tutti, in che modo ti daranno un dono i magnanimi Greci? Da nessuna parte vediamo un ricco tesoro comune; quelli delle città bruciate sono stati divisi. I guerrieri non possono rimetterli in comune. Quindi, ora, dai al dio la giovane Criseide; poi noi ti daremo un compenso tre o quattro volte maggiore, se Zeus vorrà darci di abbattere Troia dalle mura fortificate.
Ma Agamennone rispose, ricambiandolo:
-Per quanto tu valga, Achille pari agli dei, non nascondere ciò che pensi veramente, perché non mi sfuggi né puoi persuadermi. Così pretendi – e intanto la tua parte ce l’hai – che me ne lasci privare in questo modo, facendomela rendere? Ma se i Greci dal grande animo mi daranno un dono, adattandolo al mio desiderio, che compensi la perdita, sta bene; se non sarà così, io verrò a prendere il tuo, o dono di Aiace, o quello di Odisseo.
Ma via, queste cose potremo trattare anche dopo:
ora spingiamo nel mare divino una nave nera di catrame,
raccogliamo rematori in numero giusto, imbarchiamo qui il sacrificio di cento buoi, facciamo salire la figlia di Crise, guancia graziosa; la guidi uno dei capi consiglieri,
o Aiace, o Idomeneo, oppure Odisseo luminoso, o anche tu, Achille, il più tremendo di tutti gli eroi, che tu ci renda amichevole Apollo, compiendo il rito.
Ma guardandolo minaccioso Achille dal piede rapido disse:
- Ah vestito di spavalderia, avido di guadagno, come può volentieri obbedirti un greco, o marciando o battendosi contro guerrieri con forza? Davvero io sono venuto
a combattere qui non per i Troiani bellicosi, non sono colpevoli contro di me: mai le mie vacche o i cavalli hanno rapito, mai hanno distrutto il raccolto a Ftia dai bei campi, in cui nascono e crescono eroi, poiché molti e molti nel mezzo ci sono monti ombrosi e il mare potente.
Ma seguimmo te, o del tutto sfacciato, perché tu gioissi, cercando soddisfazione per Menelao, per te, brutto cane, da parte dei Troiani, e tu non pensi a questo, non ti preoccupi, anzi, minacci che verrai a togliermi il dono per il quale ho sudato molto, che i figli dei Greci me l’hanno dato. Però non ricevo un dono pari a te, quando i Greci gettano a terra un villaggio ben popolato dei Troiani; ma le mani mie governano il più della guerra tumultuosa; se poi si venga alle parti,
a te spetta il dono più grosso. Io, dopo che peno a combattere, mi porto indietro alle navi un dono piccolo e caro. Ma ora andrò a Ftia, perché è molto meglio
andarsene in patria sopra le concave navi. Io non intendo raccogliere beni e ricchezze per te, restando qui umiliato.
Allora lo ricambiò Agamennone il signore degli eroi:
- Vattene, se il cuore ti spinge; io non ti pregherò davvero di restare con me, con me ci sono altri che mi faranno onore, soprattutto c’è il saggio Zeus. Ma tu sei il più odioso per me tra i re discepoli di Zeus: ti è sempre cara la contesa, e guerre e battaglie: un dio ti ha dato di essere tanto forte!
Vattene a casa, con le tue navi, con i tuoi compagni, regna sopra i Mirmidoni: di te non mi preoccupo, non ti temo adirato; anzi, questo dichiaro: poi che Criseide mi porta via Febo Apollo, io rimanderò lei con la mia nave e con i miei compagni; ma mi prendo Briseide, il tuo dono, dalla guancia graziosa, andando io stesso alla tenda, così che tu sappia quanto sono più forte di te, e tremi anche un altro di parlarmi alla pari, o di mettersi di fronte a me.
Disse così; ad Achille venne dolore, il suo cuore nel petto peloso fu incerto tra due decisioni da prendere: se, sfilando la spada acuta via dalla coscia, facesse alzare gli altri, ammazzasse l'Atride, o se calmasse l'ira e trattenesse i suoi sentimenti. E mentre questo agitava nell'anima e in cuore e sfilava dal fodero la grande spada, venne Atena dal cielo; l'inviò la dea Era braccio bianco, amando ugualmente di cuore ambedue e avendone cura; gli stette dietro, per la chioma bionda prese il Pelide, a lui solo visibile; degli altri nessuno la vide. Restò senza fiato Achille, si volse, conobbe subito Pallade Atena: terribilmente gli luccicarono gli occhi e volgendosi a lei parlò parole fugaci e veloci:
-Perché sei venuta, figlia di Zeus che è armato di egida,
forse a veder la violenza d'Agamennone Atride?
ma io ti dichiaro, e so che questo avrà compimento: per i suoi atti arroganti perderà presto la vita! E gli parlò la dea Atena occhio azzurro:
-Io sono venuta dal cielo per calmare la tua ira, se tu mi obbedirai: m'inviò la dea Era braccio bianco,
ch'entrambi ugualmente ama di cuore e si prende cura.
Su, smetti il litigio, non tirar con la mano la spada:
ma ingiuria solo con parole, dicendo come sarà:
così ti dico infatti, e questo avrà compimento: tre volte tanto splendidi doni a te s'offriranno un giorno per questa violenza; trattieniti, dunque, e obbedisci. E disse ricambiandola Achille piede rapido:
-Bisogna rispettare la vostra parola, o dea,
anche chi si sente irato; così è meglio,
chi obbedisce agli dèi, sarà ascoltato anche da loro.
Così sull'elsa (impugnatura spada rifinita) d'argento trattenne la mano pesante, spinse indietro nel fodero la grande spada, non disobbedì alla parola d'Atena; ella se n'era andata verso l'Olimpo, verso la casa di Zeus egioco, con gli altri dei.
Di nuovo allora il Pelide con parole ingiuriose investì l'Atride e non trattenne il risentimento.
-Ubriacone, minaccioso come un cane, ma vile come un cervo, mai vestir corazza con l'esercito in guerra né andare all'agguato coi più forti nemici degli Achei osi andare: questo ti sembra morte.
E certo è molto più facile nel largo campo degli Achei
strappare i doni a chi a faccia a faccia ti parla,
re mangiatore del popolo, perché comandi ai buoni a niente;
se no davvero, Atride, ora per l'ultima volta offenderesti!
Ma io ti dico e giuro con piena volontà:
sì, per questo bastone, che mai più foglie o rami
metterà, poi che ha lasciato il tronco sui monti,
mai fiorirà, che intorno ad esso il bronzo ha strappato
foglie e corteccia; e ora i figli degli Achei con giustizia lo porteranno in mano: manterranno salde le leggi in nome di Zeus. Questo sarà il giuramento da farsi. Certo un giorno rimpianto per Achille prenderà i figli degli Achei, tutti quanti, e allora tu non potrai nulla, poiché afflitto aiutarli, quando per mano del massacratore Ettore cadranno morenti; e tu nei sentimenti più profondi lacererai, rabbioso per non avermi ricompensato, io che sono il più forte dei greci.
Così disse il Pelide e scagliò in terra lo scettro disseminato di chiodi d’oro. Poi si sedette.
per ulteriori approfondimenti vedi anche qua
L'ira di Achille verso Agamennone
Dopo le parole di Calcante, si alzò in piedi Agamennone, irato. I precordi erano pieni d'ira, gli occhi erano infuriati. Guardò storto Calcante ed urlò:
"Indovino del male, non mi auguri mai nulla di buono, predici sempre guai, non dici mai una parola buona! Ed ora in mezzo ai Greci sostieni che la loro epidemia è causata da Apollo, perché io non ho voluto accettare il grande riscatto di Criseide. Ma io desidero molto averla nella mia casa; la preferisco alla mia sposa legittima Climenestra, che in nulla la supera: non ha un corpo migliore né è più intelligente, né le sue abilità manuali sono maggiori. Eppure io acconsento a restituirla, se questo farà cessare la morte dei soldati, perché voglio che il mio esercito sia in salute e che non perisca più. Però desidero un altro dono in cambio, perché non sia l'unico Greco a rimanere senza di esso. Quindi ora decidete quale dono mi tocchi tra i vostri."
Allora Achille, semidio dal piede rapido, gli rispose:
"Gloriosissimo figlio di Atreo, avido più di tutti, come potremo darti un dono? Non abbiamo tesori comuni in nessun luogo, e quelli delle città bruciate sono già stati divisi tra noi. Non è giusto che i guerrieri li mettano nuovamente in comune e li ridistribuiscano. Tu ora cedi al dio Apollo il tuo dono, Criseide, e noi Achei ti daremo un dono tre o quattro volte maggiore se riusciremo a sconfiggere Troia."
Ma il forte Agamennone disse:
"Ah no, Achille divino, per quanto tu valga, non tentare di celarmi i tuoi pensieri, perché non riuscirai a convincermi. Tu pretendi che io mi lasci togliere il mio dono, mentre tu e tutti gli Achei ne posseggono uno? Se i clementi Greci mi daranno un dono adatto al mio volere che compensi la perdita di Criseide, allora va bene. Ma se non lo riceverò, verrò di persona a prendere il tuo dono, Achille, o quello di Aiace, o d'Odisseo, e li porterò via con me. Comunque, potremmo discutere queste questioni in seguito; ora preparate una nave da mandare nel mare divino, chiamate i rematori, e la figlia guancia graziosa di Crise facciamo salire. Uno dei capi consiglieri la accompagnerà, o Aiace, o Idomeneo, oppure Odisseo, o anche tu, figlio di Peleo, il più forte e tremendo di tutti gli eroi, e che tu ci riporti il favore degli dei."
Guardandolo male, disse però Achille:
"Ah, spudorato, avido di guadagno, come possono gli Achei obbedirti, quando marciano e si battono con forza? Io non sono venuto a combattere per i Troiani: essi infatti contro di me non hanno mai fatto nulla. Non hanno mai rapito le mie vacche né i miei cavalli, e non hanno mai distrutto i miei campi a Ftia, perché lontana è la mia casa, e molti mari tempestosi e monti ombrosi ci sono nel mezzo. Abbiamo seguito te, o sfrontato, perché tu fossi felice, cercando soddisfazione per Menelao; siamo venuti qui per te, brutto cane, e tu non ci pensi, non ti preoccupi, minacci anzi di privarmi del dono per il quale ho tanto sudato e che mi è stato assegnato dai Greci. I miei doni non sono però pari ai tuoi, quando viene distrutta una città popolata da molti Teucri, sebbene sia io a guidare la maggior parte della guerra. Considerando le parti, a te spetta sempre il dono maggiore, mentre io ricevo un piccolo dono per il quale ho faticato a combattere, e che mi porto indietro alle navi. Ora però ritornerò a Ftia, perché è preferibile tornare in patria piuttosto che restare qui, umiliato, a raccogliere beni e ricchezze per te."
Gli rispose allora il signore degli eroi Agamennone:
"Vattene, se vuoi. Io certamente non ti pregherò di restare qui, perché con me ci sono molti altri guerrieri onorevoli, e soprattutto è con noi il potente Zeus. Tu sei infatti il più odioso tra i re, il litigio ti è sempre caro, così come le guerre e le battaglie. Non è merito tuo se sei tanto forte, ma solo del dio che ti ha dato questo dono! Torna a casa, con le tue navi ed i tuoi compagni, e regna sui Mirmidoni. Di te non mi preoccupo, e non temo la tua ira. Dichiaro, anzi, che dato che Apollo mi impone di restituire Criseide, io la rimanderò con la nave ed i miei compagni, ma verrò personalmente alla tua tenda a prendere Briseide dalla guancia graziosa, così che tu ti renda conto di quanto io sia più potente di te; che tremino gli altri, e non si azzardino a parlarmi alla pari o a ribellarsi a me."
per ulteriori approfondimenti vedi anche qua
Domande da interrogazione
- Qual è il motivo principale del conflitto tra Achille e Agamennone nei versi 101-187 del primo libro dell'Iliade?
- Come reagisce Achille alla richiesta di Agamennone di restituire Criseide?
- Qual è la posizione di Agamennone riguardo alla restituzione di Criseide?
- Qual è il ruolo di Atena nel diverbio tra Achille e Agamennone?
- Quali sono le conseguenze del diverbio tra Achille e Agamennone per l'esercito acheo?
Il conflitto nasce dal rapimento della schiava Criseide da parte di Agamennone e dalla sua richiesta di ricevere Briseide, la schiava amata da Achille, come compenso.
Achille si infuria e considera ingiusta la richiesta di Agamennone, rifiutandosi di cedere il suo dono senza una giusta ricompensa.
Agamennone accetta di restituire Criseide per placare l'ira di Apollo, ma pretende un altro dono in cambio, minacciando di prendere Briseide da Achille.
Atena interviene per calmare l'ira di Achille, consigliandogli di non usare la violenza contro Agamennone e promettendogli che riceverà ricompense maggiori in futuro.
Il diverbio porta Achille a considerare l'abbandono della guerra di Troia, il che potrebbe indebolire l'esercito acheo, privandolo di uno dei suoi guerrieri più valorosi.