
Ma cosa accadde in quelle due stragi che avvennero a 57 giorni di distanza l'una dall'altra? Chi erano i due magistrati e perché la mafia voleva ucciderli? Inoltre, a che punto siamo oggi con la ricerca della verità? Vediamolo insieme.
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Le stragi di Capaci e di Via D'Amelio
E' il 23 maggio del 1992, sono le 17:56 e sull'autostrada che collega l'aeroporto di Punta Raisi a Palermo ci sono anche tre Fiat Croma blindate con a bordo il magistrato Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo, anche lei magistrata, e gli agenti della scorta. A squarciare quella calda giornata primaverile sono 5 quintali di tritolo che fanno letteralmente volare le auto blindate distruggendo cento metri d'asfalto e portandosi via la vita di Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e dgli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro.Il 19 luglio, 57 giorni dopo, in una bollente giornata estiva il magistrato Paolo Borsellino, andato a trovare la madre in via Mariano D'Amelio a Palermo, alle 16:58, a causa di un'altra esplosione che squarcia la città, muore assieme ai cinque agenti della sua scorta: Agostino Catalano, Emanuela Loi (la prima donna della Polizia di Stato a cadere in servizio), Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina.
Dopo questi due attentanti, la famiglia di Borsellino rifiuta i funerali di Stato in cui vi è la rituale passerella dei politici e delle stesse Istituzioni che, secondo molti, avevano lasciato i due giudici da soli nella lotta contro la mafia. Ad accogliere i vertici istituzionali durante i funerali degli agenti di scorta morti in via D'Amelio fu invece una dura contestazione di migliaia di ragazzi, scesi in strada per protestare contro Cosa Nostra, la mafia siciliana, che si era macchiata di tali atrocità sulle quali, nonostante i tanti anni trascorsi, non c'è ancora completa chiarezza. Andiamo a vedere chi erano i due magistrati.
Chi erano Giovanni Falcone e Paolo Borsellino?
Le vite dei due magistrati che hanno fatto della lotta alla mafia la loro missione si intrecciano sin dagli inizi: entrambi erano nati a Palermo a 8 mesi di distanza, Falcone il 20 maggio del 1939 e Borsellino il 19 gennaio del 1940. Allo stesso modo entrambi trascorsero la loro infanzia nell'antico quartiere di origine araba di Palermo, la Kalsa, furono amici già da bambini.I due, inoltre, scelsero di frequentare il liceo classico così come dopo arriverà la stessa scelta della facoltà da frequentare all'università: Giurisprudenza. Se Falcone mosse i primi passi a Lentini come pretore e Borsellino al tribunale di Enna come uditore giudiziario, le loro strade tornarono a incrociarsi a causa della mafia che aveva scelto come suo campo di scontro la città di Palermo, dove era aumentato il numero degli indagati appartenenti alle cosche che venivano uccisi o sparivano. Nella città era infatti iniziata una guerra di mafia in cui morirono 1.200 persone e, nello specifico, negli ultimi mesi del 1981 e i primi del 1982 a Palermo vi fu un morto ogni tre giorni.
Il generale Dalla Chiesa e il pool antimafia
Gli anni in cui si inserisce l'azione dei due magistrati sono quelli che vedono al vertice di Cosa nostra Totò Riina, considerato "il capo dei capi" e furono anche gli anni in cui furono uccisi il segretario regionale del Pci Pio La Torre e il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, inviato in Sicilia come prefetto antimafia e freddato insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro dentro un A122 bianca nell'estate del 1982.Dopo l'uccisione del generale Dalla Chiesa, a perdere la vita fu anche il capo dell'Ufficio istruzione di Palermo, Rocco Chinnici, sostituito da Antonio Caponnetto, colui che diede vita al pool antimafia, ovvero una squadra di magistrati creata per ridurre il rischio dei singoli e lavorare così in maniera unitaria alla lotta del fenomeno mafioso.
Del pool facevano parte anche Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e, a partire dalle dichiarazioni del pentito Tommaso Buscetta, già il 29 settembre 1984 vennero spiccati 366 mandati di arresto. Nel frattempo però non si fermarono le uccisioni e così sia Falcone che Borsellino con le loro famiglie furono trasferiti all'isola-carcere Asinara, per un mese, da dove conclusero l'istruttoria del maxiprocesso.
Il Maxiprocesso e la tragica sorte dei due magistrati
Il capolavoro dei due magistrati fu il maxiprocesso che con 475 imputati diventò il più grande attacco alla mafiae che si concluse con 360 condanne e 114 assoluzioni. Dopo il processo, nel 1988, a capo dell'Ufficio istruzione di Palermo a succedere a Caponnetto fu Antonio Meli, che però cominciò a dare le inchieste mafiose ai magistrati esterni al pool assegnando a Falcone e ai suoi colleghi indagini per borseggi, scippi, assegni a vuoto.Da qui, progressivamente, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino vengono sempre più relegati ai margini e, così come ha ricordato lo scrittore Roberto Saviano nel suo monologo fatto quest'anno a Sanremo, "Oggi vengono celebrati come eroi, ma allora non erano così. Falcone veniva accusato di essere narcisista. Lui e Borsellino davano fastidio a colleghi, giornalisti, cittadini comuni. Si arrivò a dire che Falcone aveva inscenato un attentato. Non c’erano i social, gli haters sì. Si preferiva affossarli con la delegittimazione e così si creava diffidenza in chi era dalla loro parte. Il fango li aveva isolati, ma il fango non ha sporcato il loro esempio".
A che punto siamo oggi?
Se lo stesso Caponnetto, negli ultimi anni della sua vita, girò l'Italia per raccontare nelle scuole la storia dei due eroi sottolineando come "le battaglie in cui si crede non sono mai battaglie perse", la stagione mafiosa degli attentati terminò nel 1993 con le bombe a Firenze, Milano e Roma. Adesso, alle bombe e agli omicidi, si è sostituito il mondo della finanza dove la mafia ha continuato ad operare attraverso la corruzione di pubblici ufficiali e professionisti con l’obiettivo esplicito di infiltrarsi nell’economia legale del Paese partecipando a gare d'appalto e bandi europei.Paolo Di Falco