Indice
Presentazione del tema
Le linee direttive che attraversano il capitolo VIII sono tre:1) Opposizioni e simmetrie
2) Divario realtà/apparenza e il coro degli inganni
3) Fallimento e salvezza
a cui si aggiunge, in chiusura, la pagina lirica dell’addio ai monti di Lucia.
Presenza di opposizioni e di simmetrie
Per tutto il capitolo domina il tema del tempo legato all’immagine della notte; infatti, gli inganni e gli agguati sono azioni che trovano nelle tenebre il migliore alleato. Inconsapevolmente e simultaneamente esse seguono le stesse mosse silenziose, su di uno sfondo ovattato, finché non irrompe il rintocco della campana che tutto dissolve. Si tratta di un insieme di contrasti: fra le ombre e il chiaro di luna, fra il silenzio e l’esplosione crescente delle grida di don Abbondio e dell’urlo di Menico e dei rintocchi, fra la nuova pace di don Abbondio una volta che i promessi sposi se ne sono andati e la confusione degli abitanti nella caccia ai malfattori. Sono tutte azioni che pur sincronizzate, si ignorano a vicenda e che si si svolgono in spazi chiusi (la canonica, la casetta) o in spazi aperti (la campagna, le strade del villaggio, il sagrato), che hanno il requisito della realtà o dell’apparenza. La narrazione si svolge su questi piani diversi e simultanei che però si incrociano: l’aspetto tragico dei fatti si alterna a quello della commedia e all’ironia.
Divario realtà/apparenza et l’insieme degli inganni
I ruoli dei personaggi, a volte, sembrano scambiarsi tra loro. Infatti vediamo don Abbondio nella parte dell’aggredito e Renzo nella parte dell’aggressore, con l’obiettivo di imporre al curato quel dovere che la violenza di don Rodrigo, tramite i suoi bravi, gli aveva vietato di adempiere. Anche le corrispondenze fra l’agguato del gruppo di Renzo ai danni di don Abbondio e l’agguato del gruppo del Griso ai danni di Lucia, con le due abitazioni ugualmente violate, ripropongono l’equivalenza fra l’aspetto di Renzo e la condotta dei bravi. Al contrario, il Griso passa da aggressore ad aggredito perché nelle chiacchiere della gente, il suo travestimento viene scambiato per una vera identità, quando corre voce che “par che vogliano ammazzare un pellegrino”. All’inganno, volontario o involontario che sia, non si sottrae nessuno nemmeno Lucia che con la sua esitazione è forse responsabile del fallimento del piano. Neanche padre Cristoforo si sottrae all’inganno che la sua massima in latino chiude la bocca a fra’ Fazio e si auto illude (= auto inganna) sulla buona riuscita della sua missione che segue l’impulso del sentimenti e della religione. La reazione degli abitanti del villaggio che vanno dietro alle false voci arrivando a delle conclusioni sommarie rappresenta la degna cornice del tema degli inganni.
Rapporto fra fallimento e salvezza
In tutta questa molteplicità di avvenimenti che si accavallano e si intersecano, il risultato è uno solo: il fallimento di tutti i piani escogitati dai personaggi che porta ad una sostanziale immobilità della situazione di partenza. Infatti, fallisce il tentativo estremo di Renzo e Lucia del matrimonio a sorpresa, fallisce la spedizione dei bravi e fallisce anche l’ambasciata di padre Cristoforo; per la terza volta, fallisce anche il sistema di vita che don Abbondio si è creato. Eppure, nella sconfitta di tanti inutili progetti, è nascosta una vittoria paradossale dei protagonisti, un fatto che essi stessi ignorano: proprio dal loro inganno deriva la loro salvezza in modo inatteso ed è proprio il fallimento del matrimonio a sorpresa a causare quello dell’agguato dei bravi, segnato dal suono della campana che, improvvisamente collega le due vicende. La preghiera Pescarenico e l’addio ai monti costituiscono dei chiarimenti successivi della stessa idea, Lo scrittore fa capire al lettore che anche lungo le vie più contorte, il cammino lineare della giustizia avanza sempre.
L’addio ai monti
Lucia è seduta sulla barca che trasporta i tre fuggitivi dall’altra parte del fiume ed alza gli occhi per guardare le montagne. Alzare gli occhi ai monti è un’immagine che ricorre frequentemente nel romanzo. Renzo, ormai vicino a Milano, si sofferma a guardare con tristezza il “suo” Resegone, sottolineando così un netto taglio con il passato e Lucia, prigioniera dell’Innominato, dice “vedrò i miei monti”, sperando nel ritorno.Le montagne diventano creature vive, a cui si parla, sono le prime cose osservate sempre care, riprese sempre nello stesso ordine (i monti, il paese, la casa), dal più lontano al più vicino, come in una moderna ripresa cinematografica. L’addio è rivolto prima ai monti, alle acque e ai villaggi, poi ai tre edifici in cui si esprimono le speranze di Lucia: la propria casa, quella di Renzo e la chiesa che ne intreccia tutti i valori simbolici. L’immagine della chiesa sbocca in una riflessione fondata sulla speranza in un Dio che è padre in ogni circostanza. Fra i due principali accordi nasce il pensiero dedicato a chi emigra per fare fortuna altrove, ma più dolorose sono le esclamazioni che si riferiscono a chi deve andarsene perché costretto da una forza perversa.
Il destino di Lucia si confonde, allora, con quella degli uomini di ogni tempo.
Il testo è ricco di figure retoriche che lo trasformano in prosa poetica: anafore in rilievo, ripetizioni, simmetrie di costruzione, similitudini, rime interne e vere e proprie unità metriche, come il decasillabo, sparse nella prosa. La sintassi, spesso esclamativa e ellittica, vede il prevalere le forme coordinate; frequente è il ricorso alla doppia aggettivazione: “disgustato e stanco…. gravosa e morta…… tranquillo e perpetuo”.