Concetti Chiave
- Il romanzo inizia con una descrizione dettagliata del paesaggio del ramo di Lecco del lago di Como, con un linguaggio simile a quello delle carte geografiche, per poi focalizzarsi su don Abbondio.
- Un tabernacolo situato lungo il percorso di don Abbondio simboleggia i tormenti di coscienza e le difficili scelte che il personaggio deve affrontare, con un accenno di ironia verso le tradizioni religiose dell'epoca.
- I bravi sono descritti come personaggi minacciosi e distinti per il loro carattere: uno diplomatico e sottinteso, l'altro impulsivo e violento, rappresentando un'alleanza tra astuzia e forza.
- L'atteggiamento sottomesso di don Abbondio verso i bravi riflette la sua paura e conformità alle consuetudini sociali del Seicento, senza mai opporsi fermamente.
- Nel dialogo con Perpetua, emerge il contrasto sociale e linguistico tra i due, con don Abbondio che si adatta al linguaggio schietto della serva, mentre si chiude nella sua paura alla fine del dialogo.
Il romanzo inizia con la descrizione dei luoghi in cui si apre la vicenda, il ramo di Lecco del lago di Como, situato fra le alpi Orobie e i monti della Brianza. Da notare che l’ampiezza dei periodi, l’abbondanza di enumerazioni, organizzate in binomi e ricche di contrasti, trovano un riscontro nelle linee mosse del paesaggio. Questa descrizione è più vicina all’interesse documentario di stampo illuminista che non al gusto romantico dell’epoca. Il linguaggio pare quello delle carte geografiche, in cui i ricordi personali dello scrittore si annullano. Gradualmente, l’obiettivo si sposta dall’ultimo ambiente, come farebbe una ripresa cinematografica, verso un personaggio - don Abbondio - che si muove in esso, ossia da una passeggiata impersonale di un ipotetico osservatore, verso quella svoltasi nel passato, in un punto preciso, da don Abbondio. Questo coincide con un lento passaggio dal registro descrittivo a quello narrativo. Il ricorso agli imperfetti indica atteggiamenti abitudinari e di equilibrio che ben presto saranno rotti.
Il tabernacolo
Nel suo percorso, il curato, come sempre si trova davanti ad un bivio ai cui bordi è stato costruito un tabernacolo che conserva una pittura, eseguita in modo rozzo, che rappresenta le anime del Purgatorio fra le fiamme, simbolo anticipatore dell’affanno di don Abbondio davanti ai bravi di don Rodrigo e anche di certe svolte dell’esistenza in cui ci vengono imposte delle scelte difficili, con dolorosi tormenti di coscienza.
L’autore ce lo descrive con una punta appena accennata di ironia, forse perché il Concilio di Trento, nel 1563, aveva ammesso preghiere e riti di suffragio a favore delle anime del purgatorio purché le loro immagini non avessero l’eleganza profana.
I bravi
Si passa, poi, alla descrizione dei bravi. Si trattava di soldati irregolari, che Manzoni descrive minuziosamente come impone il loro aspetto provocatorio di personaggi vistosamente armati, tutti risolti in superficie, in una sorta di manifestazione stilizzata della loro aggressività. Invece, nel caso di don Abbondio, la descrizione è rivolta soltanto al carattere dell’uomo. I due bravi hanno un comportamento e un carattere diversi. L’uno è dotato di diplomazia ed è molto abile nei sottintesi, l’altro è più impulsivo e abituato a convincere gli altri con la forza. Si tratta della classica alleanza fra astuzia e violenza.
La reazione di don Abbondio
L’atteggiamento sottomesso di Don Abbondio è, in parte, conforme alle consuetudini di cortesia del Seicento. Tuttavia la retorica servile allora quasi d’obbligo, in cerca della benevolenza altrui, non lascia mai trasparire nessun solido argomento di opposizione: la forma, nel caso di don Abbondio, riproduce la sostanza di un uomo dominato dalla paura e dalle circostanze al unto di farsi servo dei servitori di un violento. Con un linguaggio ambiguo, che nello stesso tempo è complimento e pericolosa promessa, don Abbondio insinua la sua incertezza, senza trovare la forza di essere superiore ai suoi tempi. Da notare anche che, quanto si comincia a parlare del matrimonio, dalla bocca del curato non esce mai una parola con connotazione religiosa, come se volesse adeguarsi in tutto e per tutto alla mentalità degli interlocutori.
Il dialogo con Perpetua
Della donna, il Manzoni ci fornisce un quadro umoristico. Essa viene vista come una serva-padrona, probabilmente con qualche ricordo di Goldoni o di Molière, comunque senza particolari sviluppi storici sociali. IL motivo delle amiche evoca, intorno al personaggio, l’atmosfera del paese, fatta di chiacchiericci e di illazioni.. Nel dialogo Perpetua-Don Abbondio è da notare il ricorso al “lei” di Perpetua, e l’uso del “voi” da parte di don Abbondio, un elemento che esprime la differenza sociale tra il curato e la serva. Ai bravi, in fondo anch’essi servitori, il curato si è, invece, rivolto con un “loro” rispettoso poiché vede nei due sgherri il riflesso dell’autorità del loro padrone. Perpetua ignora il linguaggio della diplomazia e il buon senso istintivo la porta ad esprimersi secondo il suo modo di essere da popolana, senza incertezze o riguardi. E don Abbondio, dal canto suo, nonostante tante remore o censure, finisce, senza troppo imbarazzo per adeguarsi al linguaggio di Perpetua.
Il dialogo fra i due termine con don Abbondio che sale in camera borbottando fra sé e sé, com’è solito fare. Questo significa che rimane chiuso nell’incomunicabilità della sua paura. Egli sparisce dalla scena come un attore che sparisce dietro le quinte.
Nota finale
Si deve notare che nel primo capitolo sono assenti i due protagonisti - Renzo e Lucia - che restano semplici elementi del discorso, com’è assente anche don Rodrigo. Gli accordi sono presi fra gli intermediari, gli emissari del signorotto e l’officiante del matrimonio. In questo modo, lo scrittore prima di affrontare il problema direttamente con i primi interessati, vuole affrontare il tema della responsabilità dei complici.