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Alessandro Manzoni - I promessi sposi: commento
Nel cuore fosco della Lombardia seicentesca, flagellata dalla peste e percorsa da ombre di potere, I Promessi sposi si ergono non come un romanzo di sola fede e provvidenza, ma come una grande cattedrale gotica, scolpita di dolore e speranza, di peccato e redenzione. Dietro il folgore della grazia manzoniana si nasconde infatti un universo dove il fato si manifesta con volti terribili: briganti, nobili corrotti, preti vili, carestie e pestilenze che avanzano come orde di fantasmi.I protagonisti
Renzo e Lucia, figure di innocenza e di umiltà, appaiono come due pellegrini che vagano in un paesaggio d’incubi: perseguitati, smarriti, travolti da forze troppo più grandi di loro. Sono anime luminose che cercano un rifugio, ma che il mondo costringe a camminare tra macerie, torture e sepolcri. In Lucia, la fede si fa baluardo, ma è una fede intrisa di lacrime, simile al canto di una vergine sacra rinchiusa in una cripta. Renzo, più terreno e passionale, sfiora il baratro della ribellione, il tumulto, la colpa: egli è l’anima che vacilla, che rischia di cedere alla tentazione della vendetta, come un eroe romantico circondato da demoni.I simboli e le figure
Attorno a loro, si muovono figure che sembrano evocate da un teatro d’ombre. Don Rodrigo, con il suo desiderio rapace, non è soltanto un signorotto arrogante: è il vampiro del potere, che succhia vita e innocenza, pronto a gettare l’intero villaggio nella rovina pur di saziare la sua brama. La sua corte di bravi, ombre senza volto, si aggira tra le strade come presagio di violenza imminente. L’Innominato, titano della colpa, è un castello di pietra che prende forma umana: solitario, terribile, divorato dall’angoscia, un’anima che vaga tra precipizi interiori e che, al culmine della sua tenebra, si infrange contro il bagliore della grazia. La sua conversione è un lampo che squarcia le nubi, come se una cattedrale invasa dal buio fosse all’improvviso illuminata da mille candele.La peste
La peste, poi, domina come protagonista segreta del romanzo: essa non è malattia soltanto, ma spettro collettivo, cavaliere apocalittico che semina cadaveri nelle strade e trasforma la città in necropoli. I lazzaretti sono cimiteri viventi, teatri di pianto e di fede, dove le ossa scricchiolano sotto i passi dei sopravvissuti. Qui la Provvidenza manzoniana appare non tanto come consolazione dolce, ma come un filo sottilissimo che resiste tra le macerie, un raggio di luce che filtra da vetrate spezzate, quasi a dire che la grazia si rivela solo attraverso l’orrore.E tuttavia, dentro questa notte, non manca mai la promessa dell’aurora. Il romanzo si chiude con la voce dei due sposi finalmente uniti, ma quella voce porta con sé l’eco di tutte le tenebre attraversate. È un lieto fine che non cancella il dolore, bensì lo trasfigura, come il coro di una messa funebre che si muta in canto pasquale. I Promessi sposi sono dunque un viaggio attraverso catacombe di sofferenza, che tuttavia sbocciano in un chiostro di pace.
Il ruolo del cristianesimo
Manzoni ha costruito un monumento cristiano: archi altissimi di fede che sorreggono cripte di orrore, figure di santi e peccatori che si alternano come statue scolpite nel marmo. Il romanzo è il dramma dell’umanità intera, esposta alla crudeltà del mondo ma sorretta da un disegno invisibile, che, come una mano scolpita nella pietra, guida i passi degli smarriti.I Promessi sposi si ergono eterni: non soltanto romanzo storico o di formazione, ma cupa e luminosa cattedrale letteraria, in cui ogni lettore entra come pellegrino e ne esce come sopravvissuto, con nell’anima il segno indelebile del dolore umano e della misericordia divina.