Concetti Chiave
- "Gita al faro" di Virginia Woolf è un romanzo modernista che enfatizza l'introspezione psicologica, utilizzando la trama come pretesto per esplorare i sentimenti e le angosce dei personaggi.
- La struttura del romanzo è divisa in tre parti: "La finestra", "Il tempo passa" e "Il faro", ciascuna focalizzata su diversi temi e momenti della famiglia Ramsay.
- L'aspetto autobiografico del romanzo è evidente; la famiglia Ramsay riflette la famiglia dell'autrice, con dinamiche simili e un padre autoritario, influenzate dalla morte prematura della madre di Woolf.
- Woolf utilizza lo Stream of consciousness per rappresentare il tempo psicologico, un approccio che permette di esplorare i movimenti della mente oltre il realismo tradizionale.
- Il romanzo si concentra su "isole di luce" nella vita, momenti di improvvisa illuminazione che trascendono i grandi eventi storici, un elemento centrale nella narrazione di Woolf.
In questo appunto si descrive Gita al faro, il cui titolo originale è To the Lighthouse, è un romanzo scritto dalla autrice inglese Virginia Woolf pubblicato per la prima volta nel 1927. Il romanzo si affianca alla corrente letteraria del modernismo, nata all’inizio del XX secolo, la quale si proponeva di distruggere tutto ciò che ostacolava la fondazione del nuovo mondo che sarebbe dovuto nascere nel dopoguerra. Il travaglio del periodo storico si riflette sulla produzione artistica degli autori modernisti che denunciano l’impossibilità di raccontare in modo consequenziale una storia derivante da una visione ordinata del mondo.
Gita al faro pone in primo piano l’introspezione più profonda e psicologica riflettendo su sentimenti, angosce e sfumature dell’animo dei personaggi, lasciando invece una trama degli eventi piuttosto semplice, la quale non è che un “pretesto” per affrontare l’indagine introspettiva dei personaggi.
Per approfondimenti sulla vita e le opere di Virginia Woolf vedi anche qua
Indice
La trama e la struttura dei capitoli di Gita al faro di Virginia Woolf
La narrazione si divide in tre capitoli: La finestra, Il tempo passa e Il faro. Nel primo capitolo troviamo la famiglia Ramsay riunita nella casa dell’Isola di Skye per le vacanze estive e il figlio James chiede di poter andare a fare una gita al faro il giorno successivo, la madre acconsente a patto che ci fosse bel tempo mentre il padre afferma che il tempo sarebbe stato brutto e quindi non ci sarebbe stata nessuna gita. Questa dinamica crea tensione nel rapporto tra i due coniugi. Insieme alla famiglia Ramsay si trovano vari ospiti, tra i quali la pittrice Lily Briscoe che inizia a dipingere un ritratto della signora Ramsay. Nel secondo capitolo abbiamo la sensazione che il tempo scorra molto più velocemente, in poche pagine ripercorriamo dieci anni di vita della famiglia Ramsay in cui scopriamo che la madre è morta, il figlio maggiore Adrian è deceduto durante la prima guerra mondiale come anche la figlia Prue, morta per complicanze dovute al parto. Il padre, rimasto vedovo, si trova senza conforto con profondi dubbi interiori. Nel terzo capitolo la famiglia Ramsay si ritrova di nuovo riunita al faro, finalmente James e Cam insieme al padre riescono a portare a compimento la tanto desiderata gita al faro mentre la pittrice Lily Briscoe, rimane nella casa delle vacanze e riesce a concludere il ritratto della signora Ramsay che aveva iniziato nel primo capitolo, come a simboleggiare l’avvenuto ritratto della propria famiglia che Virginia Woolf voleva dipingere.
L’aspetto autobiografico del romanzo Gita al faro
Si può trovare una forte componente autobiografica in Gita al faro dal momento che la famiglia Ramsay ricalca quella che era la famiglia dell’autrice, anch’essa amante delle vacanze estive alla casa al mare. Le dinamiche famigliari sono pressoché simili a quelle che si potevano ritrovare nella famiglia Stephen (cognome di nascita dell’autrice), un padre severo e autoritario, una madre più amorevole e accondiscendente. La morte prematura della madre fu un evento che segnò profondamente la vita della Woolf. La stessa affermò “Fino a quarant’anni e oltre fui ossessionata dalla presenza di mia madre… Ma scrissi il libro molto rapidamente, e quando l’ebbi scritto, l’ossessione cessò. Adesso non la sento più la voce di mia madre. Non la vedo. Probabilmente feci da sola quello che gli psicanalisti fanno ai pazienti. Diedi espressione a qualche emozione antica e profonda”.
Il tempo nella narrazione di Virginia Woolf e lo Stream of consciousness
Il tempo scorre e si dilata rispecchiando un tempo psicologico, non tanto lo scorrere del tempo reale. Questo è rappresentativo dello Stream of consciousness, ovvero il flusso di coscienza che già era elemento principale nella narrazione di James Joyce, ad esempio lo troviamo nelle sue opere principali Ulisse e Gente di Dublino, in Italia con La coscienza di Zeno, romanzo di Italo Svevo.
Virginia Woolf era fermamente convinta della necessità di andare oltre il realismo per dare voce ai movimenti della mente e dell’anima, che potevano essere indagati con accresciuta consapevolezza psicologica alla luce del tipo di sensibilità coltivata dai membri del Bloomsbury Group e del loro forte senso estetico. Il Bloomsbury Group era un gruppo di artisti dalle idee moderniste e critiche verso il passato Vittoriano ed Edoardiano, nato nel quartiere londinese di Bloomsbury nel 1905. Così come le opere di Joyce, capostipite del flusso di coscienza, anche in Gita al faro assistiamo ad analoghe innovazioni tecniche pensate per dare spazio all’esperienza interiore. L’esperienza al centro della prima parte del romanzo vede protagonista la signora Ramsay (e il suo mondo familiare vittoriano); nella seconda parte ci si concentra sulla figura di Lily Briscoe, la pittrice la cui agonia creativa viene portata a lieta conclusione nel finale. Tra le due parti, ognuna delle quali copre lo spazio di poche ore, vi è un breve intermezzo, che ripercorre velocemente i dieci anni trascorsi. In questi dieci anni, che racchiudono al loro interno anche il periodo della Prima Guerra Mondiale, i grandi eventi storici e pubblici giocano un ruolo secondario, contano invece le improvvise illuminazioni, i “piccoli miracoli” che irrompono nel quotidiano che l’autrice affida al monologo interiore. Più che flusso di coscienza potremmo definirlo un flusso di sensazioni e associazioni mentali, presentato da una narrazione che, rispetto al flusso di coscienza di Joyce, mantiene un proprio ordine di esposizione. Quest’ordine espositivo anche nella produzione letteraria della Woolf viene meno nelle opere successive, si veda ad esempio Le onde del 1931, nella quale la decisione di cedere la pagina al flusso delle voci e dei sentimenti dei personaggi è più accentuata e viene meno la tendenza a “raccontare una storia”. La stessa Virginia Woolf ha affermato che il compito dell’autore è quello di evocare le cosiddette “Islands of light”, ovvero le isole di luce nel corso della vita.
Per approfondimenti sullo Stream of consciousness vedi anche qua
Domande da interrogazione
- Qual è la struttura narrativa di "Gita al faro"?
- In che modo "Gita al faro" riflette elementi autobiografici della vita di Virginia Woolf?
- Come viene rappresentato il tempo nella narrazione di Virginia Woolf?
- Qual è il ruolo del Bloomsbury Group nella produzione letteraria di Virginia Woolf?
- Quali innovazioni tecniche caratterizzano "Gita al faro"?
Il romanzo è diviso in tre capitoli: "La finestra", "Il tempo passa" e "Il faro", che esplorano la vita della famiglia Ramsay e dei loro ospiti, con un focus sull'introspezione psicologica.
La famiglia Ramsay rispecchia la famiglia di Woolf, con dinamiche simili e l'impatto della morte prematura della madre, un evento che segnò profondamente l'autrice.
Il tempo è rappresentato in modo psicologico, non lineare, attraverso lo Stream of consciousness, riflettendo i movimenti interiori dei personaggi piuttosto che il tempo reale.
Il Bloomsbury Group, con le sue idee moderniste, influenzò Woolf a superare il realismo per esplorare i movimenti della mente e dell'anima con una maggiore consapevolezza psicologica.
Il romanzo utilizza il flusso di coscienza per dare spazio all'esperienza interiore, mantenendo un ordine espositivo che si evolve nelle opere successive di Woolf, come "Le onde".