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Concetti Chiave

  • Seneca, born in Cordova, Spain, was educated in Rome and became a significant figure in literature and philosophy, later serving as a political advisor to Emperor Nero.
  • His works encompass a wide range of genres, including philosophical dialogues like "De Ira" and "De Tranquillitate Animi," tragic plays, and satirical pieces such as "Apokolokyntosis."
  • Seneca's writings often explore themes like the transient nature of time and the inevitability of death, encouraging a philosophical approach to life to prepare for mortality.
  • The concept of "otium," or leisure, is central in his philosophy, advocating for a life balanced between public duty and private reflection to achieve true wisdom.
  • Seneca emphasizes the ethical treatment of slaves, arguing for their recognition as fellow human beings, reflecting his broader view of universal brotherhood.

Indice

  1. Seneca
  2. Opere
  3. Le “Consolationes”
  4. De Tranquillitate Animi
  5. De Otio
  6. “De Clementia”
  7. De Beneficis
  8. Le naturales Quaestionis
  9. Le Epistulae Morales Ad Lucilium
  10. Le Tragedie
  11. L’Apokolokyntosis
  12. I temi
  13. Otium e Negotium
  14. Discere e docere
  15. Il tempo e la morte
  16. Il tema del tempo
  17. Le passioni come malattie dell’anima
  18. Il saggio
  19. Il saggio e gli altri uomini
  20. T9: il saggio rifugga del mescolarsi alla folla (epistulae 7)
  21. T5: ritiro a vita privata
  22. Gli schiavi
  23. T11: condizione degli schiavi
  24. T13: siamo le membra di un grande corpo (epistulae 95)
  25. Il tempo e la morte
  26. T19: la morte ci accompagna in ogni momento
  27. Le tragedie
  28. T2: apokolokyntosis
  29. T21: l’ira la più rovinosa tra le passioni (De Ira 1,1)

Seneca

Lucio Annio Seneca nasce in Spagna a Cordova, alcuni credono sia nato nel 4 a.C. altri l’1 d.C. . Il padre (Lucio Anneo Seneca) era un importante intellettuale, appartenente a una ricca famiglia equestre spagnola e aveva soggiornato giovanissimo a Roma. La madre Elvia fu responsabile dell’educazione dei figli. Il fratello Anneo Novato a cui dedicherà il “De Vita Beata”. Seneca fu portato a Roma dalla zia materna e ricevette un’educazione letteraria e storica con studi di retorica e filosofia. Si recò poi in Egitto per curare una grave infezione polmonare. Le sue condizioni di salute migliorarono, anche grazie alle cure della zia materna che afferma nel “Consolatio Ad Helviam Matrem”. Tornato a Roma ottenne la questura (1° del Cursus Honorum) e si dedicò all’attività oratoria. Nel 39 d.C. come riferisce Caligola, per il solo fatto che Seneca aveva difeso una causa in maniera brillante ne decretò la condanna a morte. Di questi anni sono: la “Consolatio Ad Marciam” (39-40 d.C.) e i primi due libri del “De Ira”. Nel 41 d.C. Caligola venne eliminato da una congiura. A Caligola succedette Claudio, il quale condannò Seneca all’esilio in Corsico dal 41 al 49 d.C. (8 anni, il pretesto era un’accusa di adulterio con Giulia Livilla).
▪ Il Quinquennium Neronis
Nel 48 d.C. Messalina fu ucciso e il suo posto venne preso da Agrippina (moglie di Claudio). Nel 54 d.C. morì Claudio e Seneca ebbe su di lui una vendetta postuma componendo la satira “Ludus De Morte Claudii” noto anche come “Apokolokyntosis”. Quando Nerone salì al trono e Seneca divenne consigliere politico e amicus del giovane imperatore costituisce una fase nota come Quinquennium Neronis, fase di buon governo, nonostante diversi crimini di Nerone come l’uccisione del fratellastro che Seneca giustifica in nome della “ragion di stato”. Nel 55-56 d.C. vi è il trattato “De Clementìa” che si potrebbe considerare come il manifesto ideologico della monarchia illuminata, dedicato a Nerone. “De Constantia Sapientis” “De Tranquillitate Animi”.
Nel 59 d.C. Nerone decise di eliminare la madre Agrippina e ciò segnò la fine dell’illusione di un governo improntato a un’aristocrazia illuminata. Seneca si ritirò a vita privata e si dedicò ai suoi studi. Nel 65 d.C. venne scoperta la congiura di Gaio Calpurnio Pisone contro l’imperatore. Seneca per questo venne poi costretto al suicidio (anche sua moglie ma fu salvata da Nerone).

Opere

Seneca ha coltivato i generi più disparati:
▪ I “Dialogi”
▪ I trattati “De Clementia” e “De Beneficis” ▪ Le “Naturales Quaestiones”
▪ Le “Epistulae Morales Ad Lucillio”
▪ Nove tragedie
▪ La satira “Apokolokyntosis”
▪ Raccolta di epigrammi in distici elegiaci
I “Dialogi”
Composizione di 10 Dialogi (tutti in un libro tranne il “De Ira” che ne comprende 3). L’autore qui parla sempre in prima persona rivolgendosi al dedicatario dell’opera, perciò, i dialoghi senecari possono quindi essere paragonati a una riflessione continua.

Le “Consolationes”

I dialoghi di consolazione sono rivolti a un destinatario per consolarlo dell’assenza di una persona cara (temi che rimandano alla poesia epica e tragica). Nella consolatio ci sono diversi temi, come la fugacità del tempo, la precarietà della vita e dei beni, l’imprevedibilità del futuro. A questo gruppo appartengono le tre “Consolationes”:
▪ “Ad Marciam”: dedicata a Marcia, la figlia dello storico Cremuzio Cordo, in occasione della morte del figlio.
▪ “Ad Polybium”: (appartiene all’epoca del confino in Corsica) diretta a Polibio, il potente liberto di Claudio cui era morto il fratello, con la speranza di ottenere il ritorno dall’esilio.
▪ “Ad Helviam Matrem”: per esortarla a sopportare la lontananza dal figlio.
“De Ira”
Ai dialogi di tipo speculativo appartengono i 3 libri del “De Ira”, dedicati al fratello Novato e pubblicati dopo la morte di Caligola. L’opera tratta delle caratteristiche dell’ira, passione che gli storici consideravano distruttrice della ragione poiché reputata una vera e propria malattia dell’anima.
De Costantia Sapientis
Di datazione incert, mira a valorizzare la figura del saggio. Le sue capacità di tollerare le offese grazie alle virtù che trova il suo modello nella divinità; la superiorità a livello dei rapporti sociali come espressione della magnanimità del sapiente.

De Tranquillitate Animi

È dedicato a Sereno in un momento particolare della sua vita, che oscilla tra gli insegnamenti di Seneca e i piaceri di vita mondana. Un momento di insicurezza anche per Seneca poiché probabilmente si è subito dopo il Quinquennium Neronis, quando la sua posizione di potere comincia a vacillare e si pone il problema di pianificare il ritiro a vita privata. Il trattato inizia con una lettera di Sereno che chiede consiglio e aiuto e si sviluppa poi come un monologo di tono confidenziale. La tematica dell’opera ruota intorno al concetto della serenità dell’animo. Ai fini di raggiungere la tranquillità dell’animo, tenta una composizione tra i doveri del saggio di giovare agli altri e i limiti derivanti dalla realtà politica, esaltando il distacco dai beni terreni.

De Otio

La questione del ritiro a vita privata appare risolta dalle circostanze. Argomento della trattazione è l’otium, il tempo che gli obblighi politici e militari lasciavano libero, una volta dopo essersi attenuti ai propri doveri verso lo Stato. L’otium poteva essere un momento di meritato riposo come pure un impegno diverso dedicato alla società. La situazione vissuta da Seneca è ancora peggiore: il suo “vivere appartato” è divenuto questione di sopravvivenza; egli focalizza la sua attenzione sulla figura del saggio stoico, e sulle molteplici possibilità che ha di giovare agli altri.
De Providentia
Tra gli ultimi dialogi c’è questo indirizzato a Lucilio, dedicato al tema della razionalità immanente al cosmo. La sventura ha una valenza etica e pedagogica, è una sorta di esercizio cui la divinità sottopone il sapiens, il quale lo accetta come via di perfezionamento.

“De Clementia”

I libri del De Clementia sottoforma di trattato politico, tratta del programma di governo del sovrano illuminato qui identificato in Nerone, dedicatario dell’opera e gratificato con un elogio spropositato.

De Beneficis

Dedicato all’amico Ebuzio Liberale, si evidenzia l’atteggiamento disilluso e amareggiato di un uomo che ha ormai concluso la sua carriera. Nel trattato si riconoscono 2 piani fondamentali tra loro intrecciati: da una parte, un discorso teorico che mira a delineare un modello del comportamento umano, studiando la fenomenologia del dare e ricevere; dall’altra, la descirizione dei comportamenti reali, che mostrano una profonda contraddizione tra ideale e realtà.

Le naturales Quaestionis

Dedicate a Lucilio (62-64 d.C.), costituiscono un’opera dossografica in 8 libri. Ciascuno è destinato alla descrizione di un fenomeno naturale secondo uno schema costante. Uno degli scopi dell’opera è la liberazione dell’uomo dalle sue paure (dal timore della morte).

Le Epistulae Morales Ad Lucilium

Sono una raccolta di lettere di argomento etico indirizzate da Seneca all’amico Lucilio. Ci sono pervenute 124 lettere in 20 libri. Di Lucilio sappiamo da Seneca che era più giovane di lui e che aveva ricoperto le cariche di governatore e di procuratore. Esse contengono l’espressione del pensiero filosofico di Seneca, tono colloquiale, intimo e discorsivo con uno stile flessibile e vario. L’obiettivo delle lettere è il progresso morale quali la miseria dell’uomo di fronte alle avversità della vita e all’assalto delle passioni, il rifugio nella solitudine della sagezza.

Le Tragedie

La produzione tragica di Seneca è di grande importanza anche perché sono le uniche tragedie della letteratura latina che ci sono pervenute. Caratteristiche delle tragedie senecane sono:
▪ La rappresentazione di passioni sconvolgenti
▪ Il tema della lotta per il potere
▪ Lo scontro catastrofico tra il furor (l’irrazionalità) e la saggezza (meus bona)

L’Apokolokyntosis

È una sarcastica dissacrazione del defunto Claudio. Quello di apokolokyntosis deriva da un passo di Cassio Dione, il significato del titolo è “apoteosi, deificazione della zucca”. Infatti, era dedicata allo “zuccone” Claudio, impacciato, balbuziente, zoppicante ed era una dedica che Seneca fece post mortem. È un genere caratterizzato dal prosimetro (alternanza di poesia e prosa) e dalla parodia letteraria. Seneca mette in scena le vicissitudini di Claudio dopo la morte, e l’opera si conclude con la condanna dell’imperatore a giocare per sempre a dadi in compagnia di un liberto.

I temi

Il suo intento è sostanzialmente pedagogico e esortativo (volti a fini pratici).

Otium e Negotium

Le vicende della carriera politica stimolano in Seneca una costante riflessione sul problema dei rapporti tra filosofia e potere, quindi tra otium e negotium. Se nel De Tranquillitate Animi si delinea per il saggio, quando la vita politica sia difficilmente praticabile, una scala di possibilità. Nel De Otio il distacco dalla politica è definitivo e l’otium viene nobilitato come modo di giovare all’umanità intera (vivi appartato)

Discere e docere

Scopo pratico della filosofia è per Seneca l’ottenere la sapienza. È un processo graduale verso la saggezza e lui basa tutto sul ruolo di maestro e di discepolo (discere e docere)

Il tempo e la morte

- Sulla morte e sull’immortalità: Seneca non esprime una posizione definitiva, ma oscilla tra diverse opinioni contraddittorie. Il fenomeno della morte è una condizione inevitabile e sulla sopravvivenza dopo la morte Seneca si attiene talvolta all’ortodossia stoica, secondo la quale l’anima sopravvive dopo la morte. Secondo Seneca bisogna ogni giorno esercitarsi a morire per essere capaci di non temere la morte. La morte è anche uno strumento di liberazione dal “carcere” della vita, un mezzo di fuga per liberarsi da sofferenze intollerabili, in questo consiste il suicidio (come atto supremo di rivendicazione della libertà)

Il tema del tempo

È affrontato in particolare nella prima delle Epistulae e occupa l’intero De Brevitate Vitae. Il tempo è considerato l’unico bene realmente in nostro possesso, che viene sottratto o sprecato. Solo il presente ci appartiene, solo il presente esiste, mentre il tempo passato invece già appartiene alla morte.

Le passioni come malattie dell’anima

Deriva dall’etica stoica il suo interesse per l’analisi e la critica delle passioni. Le passioni rappresentano una vera e propria malattia dell’anima e per evitare l’esito distruttivo, devono essere controllate attraverso la costante cura di sé stessi. La problematica etica della liberazione dalle passioni non interessa solo il saggio ma anche l’uomo.

Il saggio

Il dovere di giovare all’umanità è avvertito dal filosofo come missione principale della propria vita. Il saggio continuerà a svolgere il proprio compito anche nell’inattività politica, saprà giovare agli altri anche nell’otium dedicando le sue forze a tutti gli uomini. Proprio l’impegno è la caratteristica che contraddistingue il saggio secondo Seneca, la vita è infatti interpretata come un continuo servizio, finalizzato al miglioramento dell’umanità.

T5: il ritiro a vita privata non preclude il perseguimento della virtù (De Tranquillitate Animi 4)
Seneca fa riferimento a Atenodoro, rappresentante dello stoicismo, che fu nominato da Cesare precettore di Ottaviano, fu quindi per molti anni filosofo di corte, incarico che lasciò spontaneamente per tornare in patria. Il tema del ritiro a vita privata del saggio era stato trattato da Atenodoro, il quale lo aveva attuato. Le sue motivazioni erano dovute al volersi impegnare a favore del genere umano. Ma Seneca gli attribuisce l’errore di essersi piegato troppo alle circostanze e di essersi ritirato troppo presto dalla vita politica. La prudenza suggerisce che il ritiro a vita privata non avvenga come una fuga precipitosa davanti al nemico, ma che sia graduale.

Il saggio e gli altri uomini

Seneca mette anche in evidenza il rapporto che il saggio deve saper instaurare anche con gli altri uomini. Infatti, il valore dell’autarkeia non può risolversi per Seneca nell’isolamento che vanifica la missione essenzialmente filantropica del saggio: il bastare a sé stesso finisce per limitare lo spazio di azione e gli interlocutori privilegiati del sapiens. Se è vero che il filosofo deve evitare il contagio della folla, in quanto i comportamenti di questa sono ispirati a pulsioni irrazionali e degenerate, è altrettanto vero che tutti gli uomini sono da considerarsi fratelli e quasi membri di uno stesso corpo, quindi non è provocatorio affermare che anche gli schiavi, essendo uomini, hanno il diritto di essere trattai con maggiore umanità dai loro padroni.

T9: il saggio rifugga del mescolarsi alla folla (epistulae 7)

Il tema del rapporto tra il saggio e gli altri, in particolare dell’autarkeia del sapiente. Il saggio basta a sé stesso e trova in sé stesso la sua realizzazione. Tuttavia, singolarmente dannoso è il contatto con la folla proprio perché nella folla si manifestano caratteristiche di brutalità, irrazionalità, vizio e corruzione che il saggio deve fuggire, in quanto, come una malattia, si trasmettono per contagio.

T5: ritiro a vita privata

4 Ideo magno animo nos non unius urbis moenibus clusimus, sed in totius orbis commercium emisimus patriamque nobis mundum professi sumus, ut liceret latiorem uirtuti campum dare. Praeclusum tibi tribunal est et rostris prohiberis aut comitiis: respice post te quantum latissimarum regionum pateat, quantum populorum. Numquam ita tibi magna pars obstruetur, ut non maior relinquatur. 5 Sed uide ne totum istud tuum uitium sit. Non uis enim nisi consul aut prytanis aut ceryx aut sufes administrare rem publicam. Quid si militare nolis nisi imperator aut tribunus? Etiam si alii primam frontem tenebunt, te sors inter triarios posuerit, inde uoce, adhortatione, exemplo, animo milita: praecisis quoque manibus, ille in proelio inuenit quod partibus conferat, qui stat tamen et clamore iuuat.

Gli schiavi

- T10: gli schiavi appartengono anch’essi all’umanità
Tale Epistulae si configura come un breve trattato sul comportamento che il saggio deve adottare nei confronti degli schiavi. Anche se il filosofo giunge al riconoscimento di una sostanziale uguaglianza di natura tra servi e padroni, ciò non implica per lui alcuna contestazione dell’ordine sociale esistente, ma presuppone piuttosto che il comportamento del

sapiente, nel perseguire la virtù, rispetti l’umanità degli schiavi. La prima parte ha inizio con un dialogo in cui si afferma l’appartenenza dei servi all’umanità.
- Epistulae 47:
Servi sunt.' Immo homines. 'Servi sunt.' Immo contubernales. 'Servi sunt.' Immo humiles amici. 'Servi sunt.' Immo conservi, si cogitaveris tantundem in utrosque licere fortunae

T11: condizione degli schiavi

Seneca descrive la condizione degli schiavi, dell’arroganza dei padroni e delle mortificazioni cui sono spesso costretti i servi. Si mette in evidenza la malvagità del padrone e la loro crudeltà. Seneca afferma l’uguaglianza tra tutti gli uomini liberi (condizione ancora peggiore di natura morale alla quale si sottomettono, oltretutto volontariamente: la schiavitù della passione, la schiavitù dell’avidità, dell’ambizione, della paura. Per questo bisogna essere comprensivi cono coloro che lo sono per condizione sociale, poiché siamo tutti uguali.) e schiavi (condizione della servitù riconosciuta dal diritto).
15.'Quid ergo? omnes servos admovebo mensae meae?' Non magis quam omnes liberos. Erras si existimas me quosdam quasi sordidioris operae reiecturum, ut puta illum mulionem et illum bubulcum. Non ministeriis illos aestimabo sed moribus: sibi quisque dat mores, ministeria casus assignat. Quidam cenent tecum quia digni sunt, quidam ut sint; si quid enim in illis ex sordidā conversatione servile est, honestiorum convictus excutiet. 16. Non est, mi Lucili, quod amicum tantum in foro et in curiā quaeras: si diligenter attenderis, et domi invenies. Saepe bona materia cessat sine artifice: tempta et experire. Quemadmodum stultus est qui equum empturus non ipsum inspicit sed stratum eius ac frenos, sic stultissimus est qui hominem aut ex veste aut ex condicione, quae vestis modo nobis circumdata est, aestimat.

T13: siamo le membra di un grande corpo (epistulae 95)

Tale epistulae si può considerare un vero e proprio saggio dedicato alla filosofia pratica, intesa come guida per il retto comportamento dell’uomo. Seneca indirizza il problema dei modi secondo i quali l’uomo deve interagire con i suoi simili. Pertanto, un vincolo di affinità naturale e di fratellanza accomuna tra loro tutti gli uomini, al di là della posizione sociale. Si comprende così meglio anche la riflessione di Seneca a proposito degli schiavi: questi devono essere trattati con umanità proprio in quanto uomini. Gli uomini non solo provengono dagli stessi principi, ma sono indirizzati anche ai medesimi fini.
[51] Ecce altera quaestio, quomodo hominibus sit utendum. Quid agimus? Quae damus praecepta? Ut parcamus sanguini humano? Quantulum est ei non nocere cui debeas prodesse! Magna scilicet laus est si homo mansuetus homini est. Praecipiemus ut naufrago manum porrigat, erranti viam monstret, cum esuriente panem suum dividat? Quare omnia quae praestanda ac vitanda sunt dicam, cum possim breviter hanc illi formulam humani offici tradere: [52] Omne hoc quod vides, quo divina atque humana conclusa sunt, unum est; membra sumus corporis magni. Natura nos cognatos edidit, cum ex isdem et in eadem gigneret; haec nobis amorem indidit mutuum et sociabiles fecit. Illa aequum iustumque composuit; ex illius constitutione miserius est nocere quam laedi; ex illius imperio paratae sint iuvandis manus.

Il tempo e la morte

- T16: vita satis longa (De Brevitate Vitae 1)
In questo capitolo iniziale del De Brevitate Vitae, Seneca introduce subito il tema dell’opera. Tutti gli uomini si lamentano perché la vita a loro concessa è troppo breve. Secondo Seneca, la vita è sufficientemente lunga non è infatti breve in sé ma è soggettivamente avvertita come tale da coloro che fanno cattivo uso del tempo a loro disposizione. La vita non verrebbe percepita più come breve, se viene ben spesa. Sono gli occupati a non comprendere che la vita passa mentre loro, distratti da attività irrilevanti, non si accorgono se non troppo tardi che è trascorsa. Invece gli otiosi sanno fare buon uso del tempo, rivendicando consapevolmente che il tempo appartiene a loro e a loro spetta la responsabilità di impiegarlo nei migliori dei modi.
3. Non exiguum temporis habemus, sed multum perdimus. Satis longa vita et in maximarum rerum consummationem large data est, si tota bene conlocaretur; sed ubi per luxum ac neglegentiam diffluit, ubi nulli bonae rei inpenditur, ultimā demum necessitate cogente quam ire non intelleximus transisse sentimus. 4. Ita est: non accipimus brevem vitam sed facimus nec inopes eius sed prodigi sumus. Sicut amplae et regiae opes, ubi ad malum dominum pervenerunt, momento dissipantur, at quamvis modicae, si bono custodi traditae sunt, usu crescunt, ita aetas nostra bene disponenti multum patet
- T17: recuperare il senso del tempo per recuperare il senso della vita (Epistulae 1)
Tale testo è la lettera introduttiva delle “Epistulae Morales Ad Lucilium”. Seneca tratta uno dei temi a lui più cari, già affrontato nel “De Brevitate Vitae” quello del tempo, bene prezioso sperperato quotidianamente in una serie di attività frenetiche, di cui occorre prendere possesso se si vuole riprendere davvero possesso di sé stessi, infatti Seneca fa una distinzione:
▪ perfezionamento verticale: tempo dedicato al perfezionamento di sé stessi.
▪ perfezionamento orizzontale: divulgare ciò che si è appreso agli altri.
A questo tema si collega anche quello della morte: l’uomo non deve sprecare tempo poiché prima o poi arriverà la morte collocata in una vaga prospettiva futura ma come compagna costante dell’uomo. Seneca già consegnato alla morte (la vita del saggio è un lungo prepararsi a essa)
Terzo tema fondamentale è quello della conquista di sé stessi attraverso il dominio sulle passioni e la liberazione dei condizionamenti esterni. (“recede in te ipse”: recupera te stesso nella prospettiva di far buon uso della vita e del tempo).
1.Ita fac, mi Lucili: vindica te tibi, et tempus quod adhuc aut auferebatur aut subripiebatur aut excidebat collige et serva. Persuade tibi hoc sic esse ut scribo: quaedam tempora eripiuntur nobis, quaedam subducuntur, quaedam effluunt. Turpissima tamen est iactura quae per neglegentiam fit. Et si volueris attendere, magna pars vitae elabitur male agentibus, maxima nihil agentibus, tota vita aliud agentibus. 2.Quem mihi dabis qui aliquod pretium tempori ponat, qui diem aestimet, qui intellegat se cotidie mori? In hoc enim fallimur, quod mortem prospicimus: magna pars eius iam praeterit; quidquid aetatis retro est mors tenet. Fac ergo, mi Lucili, quod facere te scribis, omnes horas complectere; sic fiet ut minus ex crastino pendeas, si hodierno manum inieceris. Dum differtur vita transcurrit.

T19: la morte ci accompagna in ogni momento

Seneca affronta il tema dello scorrere del tempo e quindi prende in considerazione la percezione erronea che l’uomo ha solitamente della morte, percezione che produce solo paura. La morte non corrisponde all’istante in cui avviene la fine improvvisa della nostra esistenza: essa in realtà ci accompagna silenziosa per tutta la vita. Ogni momento trascorso è possesso della morte e anche il presente è un bene che dobbiamo condividere con lei (“cotidie morimur”: noi moriamo quotidianamente)
20. “Cotidie morimur; cotidie enim demitur aliqua pars vitae, et tunc quoque cum crescimus vita decrescit. Infantiam amisimus, deinde pueritiam, deinde adulescentiam. Usque ad hesternum quidquid trans;t temporis perit; hunc ipsum quem agimus diem cum morte dividimus. Quemadmodum clepsydram non extremum stilicidium exhaurit sed quidquid ante defluxit.

Le tragedie

- T22: una scena di magia nera (Medea)
La trattazione della vicenda di Medea e Giasone ha illustri antecedenti letterari, tra i latini Ovidio si era mostrato particolarmente affascinato alla complessità della psicologia di Medea e degli aspetti patologici del suo legame con Giasone. La figura senecana di Medea è concepita come una figura infernale, in preda a furenti e incontrollate passioni, quella dell’eros e quella dell’ira che la condurranno a uccidere la rivale Creusa, il re di Corinto suo padre e infine i suoi stessi figli. Medea, come molti altri eroi tragici senecani, osa l’inaudito: è barbara, è empia per il suo legame con il mondo della stregoneria e della magia nera.
Il passo qui riportato, nel quale Medea invoca le potenze del mondo sotterraneo, porta sulla scena e descrive per la prima volta le invocazioni e gli incantesimi della maga (ha ispirato la scena da Lucano).
- T23: la sconvolgente passione dell’eros (Fedra)
Mentre il marito Teseo è sceso agli inferi, per rapire Persefone, Fedra è in preda a una passione amorosa assoluta e totalizzante per il figliastro Ippolito. Fedra aveva rivelato alla nutrice questa sua passione, vissuta come dolorosa e certamente colpevole, la nutrice le ricorda il suo legame con Teseo e la esorta a liberarsi dalla sua bramosia. Le ricorda con durezza che l’amore tra figliastro e matrigna non solo è empio, poiché rompe il legame di fedeltà con Teseo, ma è pure incestuoso. Si gioca con la contrapposizione tra furor e ratio (risulta principale il furor). La metafora della nave in balia delle onde, è l’espressione dell’agitazione che pervade Fedra, l’opposto della tranquillità dell’animo del saggio.

T2: apokolokyntosis

La comparsa di Claudio tra gli dèi, la sua immagine di uomo zoppo, balbuziente e mentalmente confuso. Mette in difficoltà persino Giove, che pensa opportuno affidare la gestione del caso a Ercole, esperto a causa delle 12 fatiche di mostri. Il colloquio tra Ercole e Claudio è giocato sul tono della parodia evidenziata da diverse citazioni inserite in un contesto colloquiale e popolaresco tra due personaggi caratterizzanti. Claudio è infatti paragonato a Odisseo, ma questi ha distrutto la città nemica dei Ciconi, egli, invece ha devastato Roma.

T21: l’ira la più rovinosa tra le passioni (De Ira 1,1)

Seneca inzia il “De Ira” con la concezione razionalistica di Crisippo, per il quale l’ira, scacciando la ragione, è in tutto simile alla pazzia, e con quella del più tardo Posidonio che dedica a questo rovinoso moto dell’animo una trattazione più descrittiva, con l’individuazione delle cause e alla “cura” che ne deriva; si inserisce poi il parallelo con il mondo animale.
4. flagrant ac micant oculi, multus ore toto rubor, exaestuante ab imis praecordiis sanguine, labra quatiuntur, dentes comprimuntur, horrent ac surriguntur capilli, spiritus coactus ac stridens, articulorum se ipsos torquentium sonus, gemitus mugitusque et parum explanatis vocibus sermo praeruptus et conplosae saepius manus et pulsata humus pedibus et totum concitum corpus magnasque irae minas agens, foeda visu et horrenda facies depravantium se atque intumescentium – nescias utrum magis detestabile vitium sit an deforme.

Domande da interrogazione

  1. Dove è nato Seneca?
  2. Seneca è nato in Spagna a Cordova.

  3. Quali sono le opere più famose di Seneca?
  4. Le opere più famose di Seneca sono i suoi Dialoghi, le Consolazioni, il De Ira, il De Tranquillitate Animi e le sue tragedie.

  5. Qual è il tema principale trattato da Seneca nel suo De Brevitate Vitae?
  6. Nel De Brevitate Vitae, Seneca affronta il tema della brevità della vita e dell'importanza di utilizzare il tempo in modo saggio.

  7. Qual è il genere letterario delle opere di Seneca?
  8. Le opere di Seneca includono dialoghi, trattati, epistole, tragedie e satire.

  9. Quali sono i temi principali trattati da Seneca nelle sue opere?
  10. I temi principali trattati da Seneca includono il ritiro a vita privata, il tempo e la morte, le passioni umane, il ruolo del saggio e la condizione degli schiavi.

Domande e risposte