Questo appunto di Letteratura Greca descrive la tragedia greca di età classica, le occasioni in cui si svolgevano le rappresentazioni e le differenze con il teatro contemporaneo.
Indice
La tragedia greca:azione e musica
La tragedia greca assomigliava alla nostra opera lirica con la differenza che, mentre in questa la musica e il canto prevalgono lasciando in un ruolo di secondo piano il testo del libretto, in quella la poesia si trovava al primo postoe, da sola, costituiva il pregio principale e il carattere essenziale del componimento.
Un’altra differenza con l’opera lirica si trova nel fatto che se il canto era ben presente nella tragedia, la musica, invece, aveva una funzione assai limitata ed era eseguita da un solo o al massimo due suonatori di flauto. Il suonatore di flauto (in greco αὐλητής o αὐλητήρ) suonava appunto il flauto (in greco αὐλός) per accompagnare col suono (in greco ὑπαυλέω: suonare il flauto accompagnando) non solo il canto ma anche i movimenti del coro o degli attori. La musica in questione era però ben diversa da quella a cui siamo abituati poiché essa non era polifonica.
Per approfondimenti sulla musica nell'antica Grecia vedi anche qua
La tragedia greca: parti costitutive
A differenza delle nostre opere teatrali tradizionali, la tragedia greca non era divisa in atti, ma presentava comunque delle parti costitutive così come era necessario in base alle fasi successive in cui si svolgeva l’azione drammatica. Nella sua Poetica (1452b) Aristotele (Stagira 384/383 – Calcide 322), che ha come punto di riferimento le tragedie di Euripide o a lui contemporanee, distingue le seguenti parti:
- Prologo: erano chiamate Prologo le scene, che potevano essere una o più d’una, recitate dagli attori all’inizio della tragedia prima dell’ingresso del coro. La struttura e la funzione del coro cambia nel corso del quinto secolo a.C. poiché esso non è presente nella tragedie più antiche quali i Persiani o le Supplici di Eschilo e si trasforma poi in primo episodio fino a diventare in Euripide una mera esposizione dell’antefatto.
- Parodo: il primo canto di tutto il coro, quando entrava nell’orchestra, era detto Parodo. Il termine greco è πάροδος, sostantivo femminile della seconda declinazione, che, nell’ambito del linguaggio tecnico teatrale, si riferisce in primo luogo all’ingresso laterale verso l’orchestra e, quindi, all’entrata del coro nell’orchestra stessa. Le πάροδοι erano due e, se il coro entrava nella parodo di sinistra rispetto agli spettatori e di destra rispetto agli attori, ciò indicava che tale coro si componeva di concittadini del protagonista; se, all’opposto, esso entrava dalla parodo a destra rispettivamente agli spettatori e a sinistra rispetto agli attori, significava che il coro si componeva di stranieri.
- Episodi: si chiamavano Episodi le sezioni, in genere articolate in varie scene, rappresentate dagli attori tra un canto e l’altro del coro. Gli episodi erano in genere in numero di cinque.
- Stasimi: si chiamavano Stasimi i canti dell’intero coro successivi alla parodo eseguiti nel corso della rappresentazione. Gli stasimi, che separavano dunque gli episodi, erano in genere in numero di quattro.
- Esodo: si chiamavano Esodo le ultime scene successive all’ultimo canto del coro con le quali la tragedia si concludeva. Probabilmente in origine il termine si riferiva al canto finale del coro.
La tragedia greca: commi, monodie e amebei
Aristotele ci dice che anche l’attore cantava poteva cantare brani lirici sulla scena:
- Eseguiva un canto alternato con il coro nei momenti più patetici e drammatici. Tale canto era detto κομμός , “canto di lutto”, il cui primo significato è quello di “percuotersi in segno di lutto” dalla radice del verbo κόπτω che vuol dire appunto “percuotere” . In seguito, il termine κομμός passa a indicare qualsiasi canto alternato tra coro e attore indipendentemente dal suo contenuto doloroso.
- Più raramente l’attore cantava da solo a voce spiegata brani lirici sulla scena. Tale canto era detto monodia, in greco μονῳδία.
- Talvolta gli attori che eseguivano tali canti erano due e, molto di rado, tre, come nelle Trachinie di Sofocle ai versi 971-1043. Tali canti erano detti ἀμοιβαῖα μέλη o ἀμοιβαῖα ἄσματα.
I suddetti canti sono assenti nelle tragedie di Eschilo ma diventano frequenti in quelle di Sofocle ed Euripide. Da ciò si evince che la tragedia giunse ad avvicinarsi ancora di più alla nostra opera lirica.
Le occasioni di rappresentazione della tragedia greca
A differenza del teatro contemporaneo il teatro greco era un teatro di Statola cui rappresentazione non dipendeva dall’iniziativa dei singoli ma era regolata istituzionalmente e avveniva nel corso di competizioni teatrali. Tali agoni drammatici si disputavano durante le feste in onore del dio Dionìso:
- Le Grandi Dionisie costituiscono la più importante occasione di rappresentazione delle tragedie. Esse si svolgevano nel mese di Elafebolione (marzo/aprile) ed erano state istituite da Pisistrato nel 535. Le Grandi Dionisie erano aperte sia ai cittadini ateniesi sia agli altri Greci.
- Le Piccole Dionisie erano organizzate da singoli demi attici nel mese di Posideone (dicembre/gennaio) ed erano destinate ai soli cittadini ateniesi. Le rappresentazioni erano in genere costituite da repliche.
- Durante le Lenee, che si svolgevano nel mese di Gaelione (gennaio-febbraio), furono rappresentate tragedie a partire almeno dal 419/418 a.c.