Ali Q
Genius
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Teocrito - Idilli

Teocrito fu l’inventore del cosiddetto “carme (o idillio) bucolico”.
I carmi bucolici sono un genere di poesia pastorale. Il termine “bucolico” deriva infatti dalla parola greca βουκόλος, che significa “pastore di buoi”.
I temi principali di questi carmi sono l’amore e la natura, ma vi vengono esaltati anche i valori della cultura, della civiltà e della castità.

Anche la lingua utilizzata è il dorico, la metrica è l'esametro.
La novità sta nel fatto che prima d’allora il dorico veniva utilizzato per la poesia corale, e dunque non era presente alcun tipo di metrica.

L’opera completa di Teocrito consiste essenzialmente in 30 Idilli, di cui 22 sicuramente autentici.
Di seguito si riporta l’elenco completo degli idilli più importanti e famosi scritti da Teocrito, completati di una breve descrizione della trama.

Idillio I. Il titolo di questo idillio è “Tirsi” (ma è noto anche con il titolo “Il canto”). Questo idillio fa parte del gruppo dei carmi bucolici propriamente detti.
Protagonisti sono Tirsi ed un capraio che, immersi nella natura, eseguono i loro canti poetici. Il capraio sfida Tirsi a declamare delle pene d’amore di Dafni, dicendogli che se lo farà come si deve, gli darà un premio.
Tirsi inizia dunque il suo canto, che ha come tema le pene d’amore di Dafni, pastore che ama vivere a contatto con la natura, ma che adesso, punito da Afrodite che lo ha fatto innamorare, si strugge al punto da morirne.
Alla fine del canto, il capraio regala a Tirsi il premio promesso.

Idillio II. L’“Incantatrice”. Il tema è quello dell’amore non corrisposto. La trama è divisa in due parti, ed è la seguente.
Nella prima parte, Simeta, donna sedotta e abbandonata, fa un incantesimo per far tornare il suo innamorato Delfi: brucia orzo, alloro e crusca, fa girare una ruota a cui è legato un uccello che manda gridi amorosi, e sono pronunciate parole di odio e amore verso Delfi.
Nella seconda parte, terminato l’incantesimo, ella racconta a Selene (la luna) le sue pene e le vicende della storia d’amore con Delfi.
Mancano in questo carme sia l’ironia di Buceo (protagonista de “I mietitori”) che il distacco di Polifemo (protagonista de “Il ciclope”).
E’ come se Teocrito si immedesimasse nel dramma di Simeta, raggiungendo così un grande realismo.
Simeta è una donna umile, senza cultura, e proprio per questo l’amore diventa la sua unica ragione di vita.
Esso è improvviso e violento, ed è vissuto con una tale intensità da provocare malori. L’abbandono genera in lei rabbia, dolore e odio. In questo si può scorgere un vago rimando a Saffo.

Idillio III. Il tema è quello del “corteggiamento”. Il titolo è infatti “La serenata”.

Idillio V. Quest’idillio si intitola “Il capraio e il pastore”, che sono rispettivamente Comata e Lacone. I due si sfidano nell’arte poetica. Giudice della gare è Morsone, il quale arresta la gara nel momento in cui si accorge che Lacone sta andando fuori tema. Vince dunque Comata.

Idillio VI. Il titolo è “I poeti pastori”, cantato da Dameta e Dafini.

Idillio VII. Tra i carmi bucolici il più famoso è forse le “Talisie”, che ha come pretesto narrativo un “προπεμπτικóν” (“propempticòn”), cioè un simposio agreste. Carismatico è in questo carme il personaggio del pastore Licida, che sorride con una espressione di divinità, e a cui l’autore dà quasi un’aura soprannaturale.

L’Idillio X. Si intitola “I mietitori”. In questo idillio - come del resto in tutti quanti i carmi bucolici - due sono gli elementi costitutivi: l’uomo (che domina la natura, immerso in canti e passioni amorose) e la natura (che ne costituisce una cornice fresca e serena). Quest’idillio è ambientato in un campo di grano, sulle cui spighe mature si curvano i mietitori. Argomento principale è il dialogo tra due mietitori: Buceo e Milone, nel quale le loro anime vengono messe a nudo.
Buceo racconta infatti di non essere più lo stesso da quando Bombica lo ha stregato: si strugge per lei, ed i lavori vanno a rilento. Si consola cantando di lei, i cui difetti sono affievoliti dalla poesia.
Milone è invece un mietitore tutto d’un pezzo: le svenevolezze, per lui, sono roba da signori. Comunque egli ama il suo lavoro.

Idillio XI. In questo idillio, dal titolo “Il cicliope” invece, compare il canto come medicina contro la νóσος d’amore. Vi si narra infatti del ciclope Polifemo, che si ritira sul mare a cantare della sua amata ninfa Galatea. La trama è la seguente.
Polifemo vive immerso nella natura rigogliosa e solare, piena di colori, vicino all’Etna. Attorno a sé è pieno di boschi, ed egli abita un antro ornato di edera e vite di fronte alla spiaggia.
Un giorno egli canta all’amico Nicia i suoi tormenti amorosi, per trovarne riposo.
In questo, Polifemo ricorda dunque Buceo, protagonista del precedente idillio, specie nelle similitudini che fa tra la donna amata e le cose che gli stanno intorno.
A differenza di Bombica bruciata dal sole, però, Galatea ricorda cose candide, rendendo ancor più grande il divario fra lei e Polifemo, che invece è rozzo e grosso.
La passione di Polifemo è più forte di quella di Buceo.

L’Idillio XIII è invece “Ila”. Ila, giovinetto amato da Eracle, viene rapito dalle ninfe. Disperato per la sua scomparsa, Eracle racconta all’amico Nicia il suo dolore, come i due fossero soliti stare sempre insieme, e come Eracle lo educasse.
In quest’idillio appare dunque una trama allusiva all’epica. Tante sono nel corso della narrazione le descrizioni e le similitudini realistiche.

Da qui cominciano i cosiddetti “mimi urbani”, ambientati non più nell’atmosfera bucolica dei boschi e dei pascoli, ma in città. Con il termine “mimi” si indicano i carmi che hanno per argomento scene della vita quotidiana.

Uno di questi è l’Idillio XIV, “Eschine e Tionico”.
Eschine, fidanzato con Cinisca, è amico di Tionico.
Cinisca si innamora però di un altro, Lico.
Durante una festa o comunque una riunione tra amici uno degli invitati fa il nome di Lico (il nome deriva da λúκος, cioè “lupo”, su cui gli amici si mettono a scherzare) in presenza di Cinisca e la ragazza arrossisce, rivelando così i suoi sentimenti. Eschine allora le tira uno schiaffo, e Cinisca se ne va.
Eschine racconta delle sue pene al suo amico Tionico, ed egli gli consiglia allora di dimenticare tutto e di arruolarsi. L’opera termina con l’elogio dell’amministrazione di Tolomeo II.

L’Idillio XV ha invece titolo “Le Siracusane”.
La stessa freschezza con cui Teocrito descrive la vita nei campi, la troviamo anche nei mimi urbani. Ma se nell’ “Incantatrice” la città passa in secondo piano rispetto al tormento di Simeta, nelle “Siracusane” il mondo variopinto della polis, filtrato attraverso gli occhi ed il cicaleccio di due donne, torna in auge.
Protagoniste sono infatti due siracusane: Gorgò e Prassinoa, che vivono ai capi opposti di Alessandia.
Vi sono tre scene importanti: nella prima, le due, a casa di Prassinoa, si sfogano delle loro frustrazioni domestiche tagliando i vestiti dei mariti; nella seconda, si recano al palazzo del re per la festa di Adone, e qui esse commentano per la strada gli incontri che fanno; nella terza parte, giunte a palazzo, ammirano le belle cose che vi sono presenti.
Dalla casa di Prassinoa – un “buco” confinato in cima al mondo per un matto gusto del marito di tenerla lontana dall’amica- si passa dunque al caotico movimento della città in festa, con la folla per le vie, i cavalli e l’euforia,
Le due donne, così realistiche e pittoresche, incontrano tanti personaggi nel loro cammino, ognuno con un’individualità spiccata.
L’opera è nel complesso uno “scorcio di vita borghese”, basato su valori esteriori.
Si nota come sia cambiata nella società il ruolo della donna: essa ha adesso molti interessi, come la cura dei figli, l’affinamento spirituale, il frequentare le amiche, l’eleganza nel vestire….
Certo esse sono ancora frivole, legate a cose futili come i vestiti o sempre pronte a lamentarsi dei mariti.
Ciò che manca loro è dunque in modo molto evidente l’interessamento alla vita della polis, ed anche le nuove comodità offerte da Tolomeo sono esaltate solo a motivo dei vantaggi personali che ne derivano, non da un punto di vista sociale.

Idillio XXII. Il titolo è “I Dioscuri”. I Dioscuri (che letteralmente significa “figli di Zeus”) sono i due gemelli Castore e Polluce. Vi si racconta dunque di loro, e in particolar modo del pugilato tra Polluce e Amico e del pugilato tra Castore e Linceo.

Idillio XXIV. Epillio (carme di argomento mitologico) di Eracle che, ancora in fasce, uccide i due serpenti mandati da Era per ucciderlo.

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