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TEOCRITO

La vita

Dati biografici sull'autore sono stati dedotti dagli antichi grammatici a partire dall'opera di

Teocrito: essi hanno quindi un carattere arbitrario e fantasioso. Dall'idillio VII, ambientato

nell'isola di Cos derivano notizie che lo vorrebbero nativo dell'isola ed allievo di Filita ed

Asclepiade. Nel carme XXVIII Teocrito tuttavia si dice inequivocabilmente nativo di

Siracusa.

La stessa origine ha il nome attribuito da alcuni critici al padre, Simica, derivato dal

patronimico Simichidas, sotto cui nell'idillio VII si cela Teocrito. Secondo altre fonti i nomi

dei due genitori sarebbero Prassagora e Filina.

Uno scolio all'idillio IV pone nella 124° Olimpiade l'acme del poeta (284-281), mentre il

carme XVI, dedicato a Ierone di Siracusa, accenna alla spedizione da lui progettata

contro

Cartagine nel 275: i vari dati fanno comprendere tra il 310 ed il 260 la vita dell'autore.

Egli trascorse a Siracusa la prima parte della propria esistenza, poi si trasferì, forse

prima a

Cos, poi ad Alessandria, dove trovò in Tolemeo II Filadelfo quel mecenate che non aveva

trovato in Ierone di Siracusa, cui aveva dedicato il carme XVI. Il carme XVII è un elogio di

Tolemeo Filadelfo e dati interni fanno collocare il soggiorno in Egitto tra il 274 ed il 270,

anni di vivace dibattito culturale sul nuovo ruolo della poesia voluto da Callimaco. Dopo

questo soggiorno Teocrito, a parere di alcuni critici, tornò a Cos, oppure a Siracusa,

mentre del tutto inattendibile è l'identificazione in Teocrito di un ignoto poeta siracusano

fatto uccidere da Ierone. Le opere

Il lessico Suda cita come opere di Teocrito "i cosiddetti carmi bucolici in dialetto dorico",

aggiungendo che gli erano anche attribuiti i poemetti Figlie di Proitos, Speranze ed

Eroine,

oltre ad inni, epicedi, carmi melici, elegie, giambi ed epigrammi. Noi abbiamo un corpus

contenente 30 carmi ed una ventina di epigrammi, molti compresi anche nell'Antologia

Palatina. Nella raccolta dei Technopaegna ci è stato tramandato il carme figurato la

Zampogna. Abbiamo 5 esametri di una perduta Berenice, elogio della madre del Filadelfo,

citati da Ateneo (VII,284a). Un papiro di Arsinoe del V-VI sec., pubblicato nel 1930, ci ha

restituito versi di un 31° componimento non tramandato dai codici.

I 30 carmi provengono da una più ampia raccolta di poemi bucolici, fra cui anche quelli

di

Mosco e Bione, che furono noti agli antichi con il nome di Idilli (). Il termine è un

,

diminutivo di da intendersi, secondo alcuni come quadro, scenetta, mentre secondo

altri come piccolo componimento, senza alcun riferimento alla vita agreste e pastorale,

come il termine ha modernamente assunto. Di fatto i componimenti rispondono al canone

callimacheo della varietà dal punto di vista di contenuti, forme stilistiche e metriche. Il

termine Idilli compare negli scolii a Teocrito, è usato per la prima volta da Plinio il

Giovane.

Solo dal rapporto con l'opera di Teocrito il termine ha assunto il valore che ha per noi.

Un blocco omogeneo è costituito dai carmi bucolici I, III-XI, anche se il X, i Mietitori, è di

ambientazione georgica e l'XI, il Ciclope, ha carattere mitologico.

"Mimi urbani" sono da definirsi gli idilli II, l'Incantatrice, XIV, Eschine e Tionico, meglio

noto

come Amori di Cinisca e XV, le Siracusane, caratterizzati da vivace realismo delle

descrizione e dall'ambiente non rurale.

Un gruppo è epico-mitologico, per cui si potrebbe parlare di epilli: il XIII, Ila, il XVIII,

Epitalamio di Elena, il XXIV, il Piccolo Eracle, il XXVI, le Lene (Baccanti).

Tutti i componimenti finora elencati sono in esametri ed in dialetto dorico, con frequenti

omerismi, dettati dall'argomento e dal metro. Gli altri carmi sono più difficilmente

inquadrabili,

tenendo conto contemporaneamente di argomento, forma metrica e dialetto.

Encomi sono i carmi XVI , Ierone, e XVII, Tolomeo, mentre un inno è il XXII, i Dioscuri.

Essi

sono in esametri e dialetto omerico, come il XII, il Fanciullo amato, per contenuto affine ai

carmi XXIX e XXX ed al mutilo XXXI. Gli ultimi 3 carmi sono dedicati all'amore efebico, ma

in

metro e dialetto eolico. Sempre metro e dialetto eolico ha il carme XXVIII, la Conocchia,

che

accompagnava il dono di una rocca di avorio fatta alla moglie di un amico, Nicia, medico

di

Cos.

Quasi concordemente sono ritenuti spuri gli idilli XIX, Il ladro di miele, XX, Il pastorello,

XXI,

I pescatori, XXIII, L'innamorato, XV, Eracle uccisore del leone, XXVII, Colloquio d'amore.

Forti dubbi sussistono sui carmi VIII e IX, mentre la critica oggi ritiene autentico il carme

XXVI, di cui aveva a lungo sospettato.

Gli idilli bucolici

A questi componimenti è soprattutto legata la fama di Teocrito, inventore del genere

ripreso

da Virgilio, con epigoni già nel mondo greco, Bione e Mosco. Il commentatore di Virgilio,

Servio, fa notare la specificità di questi carmi all'interno dell'opera di Teocrito, dicendo i

dieci

idilli, 10 come le 10 eglogae, merae rusticae. Caratteristica ricorrente, ma non unica è la

struttura dialogica, che assume talvolta l'aspetto agonale: pastori e mandriani gareggiano

tra

di loro, contrapponendo sovente nella struttura amebea, a botta e risposta (, i

propri carmi bucolici (i), in cui ciascuno dei contendenti cerca di riprendere

in un gioco di variazione-opposizione, temi e motivi contenuti nel canto dell'avversario.

I: Tirsi: interlocutori sono un anonimo capraio ed il pastore Tirsi, il quale canta, invitato

dall'amico, la saga di Dafni, mitico giovinetto morto per amore, dietro cui si cela forse una

divinità della vegetazione simile ad Adone. Per convincere Tirsi a cantare gli viene

promessa

una coppa di legno intagliato, che offre lo spunto per un'. C'è un ritornello

"liturgico"

inserito ad intervalli irregolari. Questo componimento ispirò Virgilio per l'ultima Bucolica,

in

cui Cornelio Gallo, amante infelice, si sente morire per l'amore per la bella Licoride. Il

canto di Tirsi

già apparteneva alla tradizione siciliana ed era già stata cantata da Stesicoro.

III: La Serenata: ha carattere monodico: il pastore Titiro canta di fronte alla grotta in cui

.

abita la ritrosa Amarillide, nel tradizionale Elementi realistici si

mescolano all'erudizione mitologica.

IV: I Pastori: è un vivace colloquio tra due mandriani, Batto e Coridone, senza struttura

amebea.

V: Il capraio ed il pastore: la gara, che dà luogo all'amebeo, è preceduta da una serie di

insulti tra i rivali, in un serrato botta e risposta di due versi tra Comata e Lacone, con il

taglialegna Morsone che funge da giudice.

VI: I Pastori poeti: L'agone è più disteso e manca l'arbitro: Dafni e Dameta scelgono il

tema

dell'amore tra Polifemo e la ninfa Galatea e lo sviluppano in un parallelismo antitetico:

l'uno

descrive le avances della ninfa all'indifferente ciclope, il secondo, nella forma della

persona

loquens, descrive il disperato canto d'amore di Polifemo.

VII: Le Talisie: è ambientato a Cos nelle feste rurali. Protagonisti sono il pastore

Simichida,

che narra in prima persona e sotto cui si nasconde Teocrito, ed il capraio Licida, cantore,

che si è tentato di identificare in poeti come Leonida di Taranto, Arato,Callimaco o in

Apollo

con sembianze umane. E' probabile secondo il Monaco l'identificazione con un'entità

demonica. I due si incontrano in un assolato meriggio sulla strada che Simichida con due

amici, Eucrito ed Aminta, percorre per recarsi alla festa. Il giovane pastore vorrebbe

gareggiare nel canto col noto capraio, ma riconosce la propria inferiorità a poeti famosi

come

Fileta ed Asclepiade. Licida fa una enunciazione di poetica. Segue il canto amebeico tra i

due pastori. Licida canta un propemptikon per l'amato Ageanatte, che sta per partire per

Mitilene, mentre Simichida canta gli amori infelici suoi e dell'amico Arato. Al termine della

tenzone, Licida dona all'amico-rivale il suo bastone da capraio, segno di investitura

poetica e

prosegue da solo il cammino. L'idillio si chiude con la descrizione della festa, nella

campagna rigogliosa di frutti.

Particolare rilievo assumono le parole con cui il a capraio Licida dona a Simichida il

simbolico bastone (vv.43ss.). Teocrito si rivendica l'invenzione del genere bucolico e

riecheggia motivi cari a Callimaco e alla sua scuola. L'insistenza sul motivo della verità

può

evidenziare la polemica callimachea contro la teorizzazione aristotelica della poesia come



mimesi. Qui sta per originalità. Il riferimento ad ed ai suoi goffi epigoni è

ᄂmero

inserito in un contesto esiodeo, del dono simbolico del bastone: è un rifiuto dell'epica



tradizionale in favore di quella che nell'introduzione della Teogonia trovava il

suo

precedente più illustre. Non è tanto contestato Omero, la cima dell'Oromedonte, ma i suoi

continuatori, i polli delle Muse.

Al termine del suo canto Simichida esorta se stesso e l'amico Arato a non lasciarsi

tormentare dall'amore per i fanciulli (vv.122ss.). C'è aspirazione all' quiete

dell'animo, con cui Teocrito traduce le istanze teorizzate dalle filosofie del tempo. Nel



binomio e nell'esistenza campestre Teocrito enuncia un programma di

vita e

non solo di poesia, elaborando in modo personale la poesia ed il pensiero del tempo.

VIII e IX: I cantori bucolici: sono da tutti ritenuti non teocritei. Contengono canti amebei di

pastori, nei quali compare eccezionalmente il distico elegiaco.

X: I mietitori: l'ambientazione è georgica, ma rimane la struttura amebea. Due mietitori,

Buceo e Milone contrappongono i loro canti. Buceo leva uno struggente lamento d'amore,

mentre Milone canta la dura e virile vita del contadino, rivolgendo ironiche frecciate

all'amico,

che la passione rende fiacco, e al fattore che lesina le bevande ai mietitori.

XI: Il ciclope: dedicato all'amico Nicia, medico: é un'esortazione a servirsi della poesia

come

rimedio al male d'amore. Come esempio Teocrito riporta il mito di Polifemo che canta il

suo

amore per Galatea, con effetti di innegabile comicità, quando il ciclope rimpiange di non

avere le branchie, per poter raggiungere la ninfa che lo sfugge sul fondo del mare.

Il pubblico cui si rivolgono questi componimenti è un pubblico urbano, di cittadini, che

restano affascinati dall'illusione sospesa tra realtà e sogno. La cornice è concreta, ma il

lettore è trascinato nel sogno : la descrizione realistica è poco più che un sogno. La

natura è

soleggiata, vibrante di fiori e di canti, frutti, boschi, ruscelli: è la Sicilia ricordata dalla

biblioteca cittadina.

Teocrito riecheggia un genere preletterario fiorito nella sua terra: i suoi pastori sono

ormai figure convenzionali.

I mimi urbani

Anche se nell'Amore di Cinisca l'episodio si svolge in un podere, dove si organizza un

banchetto ed il rito magico dell'Incantatrice è celebrato sulla riva del mare, il mondo

cittadino

fa da sfondo ai tre mimi.

La vena di Teocrito non è naturalistica come negli idilli bucolici, ma attinge a quel filone

intimistico e borghese caro a Menandro.

Protagonista dell'Incantatrice è Simeta, che insieme all'ancella Testili, personaggio muto,

compie una fattura che le richiamerà l'amore di Delfi, l'uomo che l'ha sedotta ed

abbandonata. Il rito è descritto in tutti i particolari ed è scandito da un ritornello, una

formula

magica. Segue il racconto dell'infelice storia: il primo incontro, il delirio della passione, il

primo rapporto amoroso, il tradimento. Anche il racconto è intercalato da un ritornello,

un'invocazione a Selene. Il mimo risente dell'opera di Sofrone Donne che dicono di tirar

giù

la luna, ma vi sono molte coincidenza, come rivela il Lesky, come papiri magici egizi.

Nell'Amore di Cinisca Tionico si reca a casa dell'amico Eschine, che non vede da tempo.

Lo

trova emaciato e depresso e gli chiede spiegazioni. Eschine racconta che la causa è

stata

una scenata di gelosia che aveva fatto alla sua ragazza, la quale aveva avuto una

sbandata

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