Origini della tragedia greca primitiva
La tragedia greca affonderebbe le sue origini nel culto di Dioniso e nella celebrazione dei misteri dionisiaci. Il culto di Dioniso, che, grazie all'attestazione del nome del dio nelle tavolette micenee, sappiamo non essere, come prima si pensava, una divinità straniera proveniente dalla Tracia, era un culto agricolo ed egli era il dio della vigna e dell’ebbrezza. Secondo alcuni, all’inizio, il rito in onore di Dioniso, era costituito da una festa campestre in cui veniva data la caccia a un animale, simbolo della divinità adorata. I fedeli, in preda a un furore suscitato da sostanze psicotrope, si mettevano a caccia dell’animale e dopo averlo catturato lo sbranavano e se ne cibavano. In questo modo, credevano che l’appropriarsi di qualcosa che apparteneva alla divinità permettesse agi adepti di partecipare in qualche modo della sua natura. Tale comportamento si ritrova ancora oggi in certe popolazioni tribali dell’Amazonia e dell’Oceania.Il corteo di Dioniso era composto da satiri e da mènadi. I satiri avevano l’aspetto di metà uomini e metà animali selvatici e questo ci dà l’idea della fusione fra natura e umanità. Le mènadi o baccanti rappresenterebbero la voluttà dell’amore.
Col tempo, le feste campestri di questo tipo sarebbero diventate sempre più numerose e sarebbero state celebrate in più occasioni: la vendemmia, il tempo in cui si pigiava l’uva, il momento in cui si gustava il vino novello, il tempo in cui si ha la morte annuale della vigna, definita come morte di Dionisio.
Durante queste feste veniva intonato il “ditirambo” cioè l’inno in onore a Dionisio. Esso avrebbe preso il nome di “tragodía”, cioè di canto del capro, dal momento in cui si cominciò a immolare un capretto in onore al nume. Si sceglieva il capretto o perché considerato un animale lascivo o forse perché i capretti erano soliti danneggiare i vigneti. Per alcuni studiosi, invece, il termine “tragodìa” significherebbe “canto dei capri”, ricordando così l’aspetto caprino dei satiri, primi cantatori del ditirambo. Inizialmente improvvisato dai seguaci del nume, successivamente ebbe una forma prestabilita, scritta in versi. Il coro dei cantori si indirizzava verso l’ara dove veniva offerto il sacrificio a Dioniso; esso si disponeva in circolo intorno all’altare e cantava. Ad un certo momento, il coro cominciò a dividersi in due semicori, uno dei quali rispondeva all’altro e siccome ogni semicoro era guidato da un corifeo, alla fine i due corifei cominciarono a dialogare fra di loro. Più tardi si aggiunse una terza persona, il risponditore, con il ruolo di Dioniso in persona. Si ebbe così un primo embrione della rappresentazione teatrale, intesa come proiezione dei personaggi invocati dal Coro. In seguito, oltre a Dioniso si passò ad invocare altri dei od eroi con cui esso si incontrava; poi si passò a rappresentare qualsiasi eroe o divinità.
La tradizione vuole che la prima rappresentazione tragica appartenga a Tespi, figlio di Temone che nel 534 avanti Cristo, avrebbe composto il primo dialogo fra un Coro ed un attore che via via rappresentava diversi personaggi. Tale dialogo fu rappresentato in occasione delle Grandi Dionisiache, organizzate da Pisistrato ad Atene. Sappiamo che Solone, che assisteva alla rappresentazione, si scandalizzò a tal punto da chiedere all’attore se non si vergognasse di mentire in quel modo. Questo è il primo segnale del sospetto morale che in tanti paesi ed in tante epoche avvolse il teatro. Da sottolineare che il risponditore prendeva il nome di “hypocritès”, termine che col tempo è passato ad indicare una persona ipocrita, cioè nona persona che vuole apparire diversa da quello che è in realtà.