Nicol.mannelli
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Frinico, Eschilo e le origini della tragedia scaricato 0 volte

Indice

  1. Origini della tragedia
  2. Aristotele
  3. Erodoto
  4. Origine del termine
  5. Frinico
  6. Presa di Mileto
  7. Le Fenicie
  8. Altre tragedie e innovazioni
  9. Eschilo
  10. Temi delle tragedie

Origini della tragedia

Dei poeti che precedettero Eschilo sono sopravvissuti frammenti troppo ridotti perché si possano ricavare informazioni sufficienti sull’origine e lo sviluppo della tragedia e del genere drammatico. Ci rimangono solo varie testimonianze di scrittori contemporanei al genere o successivi, le più importanti sono due: quella di Aristotele e quella di Erodoto.

Aristotele

Aristotele si dedicò nella Poetica a una attenta indagine sulle origini del dramma e, nel quarto capitolo dell’opera, afferma che la tragedia nacque da coloro che intonavano il ditirambo, dai contenuti narrativi e consacrato a Dioniso, i quali si contrapponevano al coro e davano così origine ad una forma dialogica, prima forma dell’azione drammatica. In seguito, attraverso molti cambiamenti, il contenuto del dramma divenne più serio e dignitoso, abbandonando l’elemento satiresco. Dal testo aristotelico, infatti, si evince anche che l’elemento ditirambico e satiresco erano strettamente connessi, fatto in aperta contraddizione con notizie forniteci da altre fonti. La prima origine della tragedia si ebbe quindi, secondo questa testimonianza, quando Arione trasformò l’antico canto del culto di Dioniso in una forma lirico corale dal contenuto narrativo e dialogico, facendola rappresentare da Satiri, attori vestiti da capri, che erano appunto figure maschili semiferine destinate ad accompagnare Dioniso e che rappresentavano l'elemento satiresco e meno serio delle tragedie che oggi conosciamo. Col passare del tempo, questo elemento presente nei ditirambi di Arione si sarebbe affievolito sino a scomparire. Sarebbe poi stato ripreso da Pratina di Fliunte, che avrebbe creato una nuova forma drammatica che divenne nota come dramma satiresco.
Comunque, questa ipotesi va a scontrarsi con due difficoltà principali: la prima riguarda la disposizione dei coreuti (cantori e danzatori), che nel coro ditirambico si disponevano in cerchio intorno all’altare di Dioniso, mentre nel coro tragico erano disposti, sempre, in maniera rettangolare; la seconda riguarda il fatto che, in ambiente attico, le divinità agresti che accompagnavano Dioniso non erano i Satiri ma i Sileni, con orecchie e coda di cavallo. Tuttavia, il problema del teriomorfismo può essere giustificato dalla loro differente provenienza geografica: i Satiri dal Peloponneso e i Sileni dall’Attica. Inoltre, entrambi avevano la comune caratteristica di essere demoni agresti della fertilità, amanti della danza, della musica e del vino.

Erodoto

La seconda importante testimonianza sulle origini della tragedia ci viene offerta da Erodoto, nelle Storie. Egli ci narra che agli inizi del VI secolo Clistene, tiranno di Sicione, al tempo in lotta con Argo, aveva proibito il culto dell’eroe argivo Adrasto celebrato dai cittadini attraverso la rievocazione delle sue dolorose vicende in cori tragici. Questi furono sostituiti dalle vicende del dio Dioniso e il resto della cerimonia fu dedicato a Melanippo, eroe locale nemico di Adrasto. Durante la cerimonia, quando il sacerdote offriva in sacrificio un capro per evocare lo spirito dell’eroe, cantava un coro e coloro che assistevano gli rispondevano, dando così vita ad un dialogo. Si trattava di cori che rievocavano le dolorose vicende (πάθη) di un eroe, e per questo possiamo spiegare il carattere luttuoso della tragedia, ma anche la coloritura dorica dei cori delle tragedie visto che Sicione si trovava infatti nel Peloponneso. Seguendo l’interpretazione erodotea non è possibile trovare nessun collegamento tra l’elemento satiresco e la tragedia, essendo quindi questa teoria inconciliabile con quella di Aristotele, secondo cui la tragedia non è separabile dal dramma satiresco nell’ambito del culto di Dioniso.

Origine del termine

Gli alessandrini per primi ipotizzarono che τραγωδία significasse canto per il capro e non canto del capro. Si presumeva che la parola derivasse da τράγων ωδή, letteralmente canto dei capri, ma l’unica parola che effettivamente potrebbe derivare da ciò è *τραγωδή, che però non esiste. Τραγωδία deriva invece dal termine τραγωδός, che indicava il cantore che partecipava al sacrificio di un capro o che gareggiava negli agoni per ottenerlo come premio.

Frinico

Il più famoso dei primi tragici fu Frinico, ateniese, che riportò una vittoria, forse la sua prima, nella Olimpiade 67, tra il 511 e il 508 a.C. Della sua produzione, a noi nota da pochissimi frammenti e una decina di titoli, sappiamo che porta in scena due tragedie di argomento storico, particolarmente importanti perché assai rare e fornivano un’immagine della situazione politica del tempo. Di queste è interessante l’aspetto politico. Infatti, la scrittura e la messa in scena delle sue tragedie erano improntate a un secondo fine.

Presa di Mileto

Due anni dopo la caduta di Mileto e il fallimento della sollevazione ionica contro la Persia (avvenuta nel 494 a.C.), Frinico desiderava portare sulla scena il catastrofico evento. Tuttavia, per aver messo in scena la sua Presa di Mileto, venne pesantemente multato e la sua rappresentazione venne vietata. Insieme a Frinico fu multato anche l’arconte Temistocle, su cui ricadeva parte della responsabilità in quanto aveva acconsentito alla sua messa in scena. Ovviamente la sua decisione non era stata presa senza motivo: ad Atene in quel periodo c’erano due filoni, uno democratico e uno oligarchico. I primi, che avevano Temistocle come capo, volevano impiegare il denaro dello Stato per costruire una flotta, mentre i secondi erano contrari, perché questo avrebbe significato dare potere ai ceti più bassi. A seguito della rappresentazione della tragedia di Frinico, che mostrava il fallimento dell’esercito greco davanti alla potenza persiana, Temistocle puntava a dimostrare che ad Atene servisse una nuova flotta per non essere nuovamente sconfitti in guerra. Pochi anni dopo, infatti, riuscirà a far approvare dall’assemblea il suo progetto.

Le Fenicie

Una decina di anni dopo la rappresentazione della presa di Mileto, l’esercito persiano invadeva la Grecia, ma questa volta erano preparati a rispondere, e i greci ne uscirono vittoriosi. Questa volta l’occasione non era dolorosa, ma gloriosa: così Frinico portò sulla scena nel 476 a.C. i recenti eventi storici nelle Fenicie, dove celebrava la vittoria dei Greci e rappresentava il dolore delle donne della città persiana per la sorte dei loro uomini. Anche in questo caso, non era una semplice coincidenza che il corego di Frinico fosse Temistocle: il poeta prima ne sostenne il programma, ora ne celebrava il successo.

Altre tragedie e innovazioni

La Presa di Mileto e Le Fenicie sono tuttavia le uniche tragedie di Frinico di argomento storico. Le altre che ci vengono elencate dal lessico Suda trattano soltanto di miti: Gli Egizi, Atteone, Alcesti, Anteo, Le Danaidi, Le donne di Pleurone e Tantalo. Frinico è anche importante come poeta, perché utilizzò il prologo, fu il primo a introdurre sulla scena personaggi femminili (che venivano interpretati da uomini) e fu un autore di canti corali ammirati per la loro dolcezza, suscitando lo stupore di autori contemporanei con le sue molte coreografie vivaci e ricche di figure. Fu un modello di esempio per gli scrittori successivi.

Eschilo

Lo scrittore di tragedie più rappresentativo ed importante del VI e del V secolo a.C. fu Eschilo. Nacque intorno al 525 a.C. ad Elusi, vicino ad Atene, sette anni prima che nascesse Pindaro. Quest’ultimo, nonostante fosse più giovane del primo, è considerato l’ultimo autore dell’età arcaica, mentre Eschilo è invece il primo poeta classico. Essendo in realtà quasi coetanei, hanno in comune la stessa predilezione per lo stile sublime e per le composizioni grandiose, per i periodi ampi e le metafore originali. Entrambi celebrarono inoltre il sommo Zeus che aveva istituito l’ordine su cui poggia l’universo, sebbene in maniera diversa: Pindaro ne celebrò l’onnipotente giustizia, mentre Eschilo studiò di questa giustizia i misteri, gli aspetti più complessi oscuri e quasi contradditori. I mutamenti radicali della società di cui fu attivo spettatore lo spinsero a concludere che i popoli, le città, le famiglie e gli individui crollano solo se infrangono la giustizia di Zeus. Nel 510, quando aveva 15 anni, il tiranno Ippia fu cacciato e Atene divenne una democrazia. Nel 490 aveva trentacinque anni e combatté contro i Persiani a Maratona, perdendo il fratello, ma vide per la prima volta Atene resistere all’invasore. Dieci anni dopo partecipò alle battaglie dell’Artemisio e di Salamina e nel 479 combatté anche a Platea vedendo l’esercito greco trionfare su quello persiano. A tutti questi eventi Eschilo prestò sia attenzione morale sia politica, mettendo ben in evidenza spesso la sua linea politica (ex. Persiani). Durante tutta la sua vita, viaggiò frequentemente tra la madrepatria e la Magna Grecia. Qui, a Gela, morì a sessantanove anni nel 456 a.C.

Temi delle tragedie

Eschilo scrisse molto e partecipò presto agli agoni. Secondo Suda compose approssimativamente novanta drammi, di cui conosciamo settantanove titoli e leggiamo sette tragedie di cui una, Prometeo Legato, è di dubbia autenticità. Al centro del teatro di Eschilo il problema principale è dell’azione e della colpa, della responsabilità e del castigo, a cui tenta di dar risposta indagando, e infatti ogni sua tragedia è la rappresentazione di questa indagine. Eschilo non possiede la verità, ma la cerca, per l’appunto. Anche il dolore viene rappresentato e si interroga costantemente sul motivo della sofferenza umana. Si chiede innanzitutto da dove provenga: può essere che il dolore ci colpisca in quanto umani destinati alla morte, o viene da un errore originario, scontato dall’intera umanità, oppure, ancora, all’interno dell’umanità ci potrebbe essere uno spazio di cui il singolo individuo è responsabile. Da qua si chiede allora perché l’uomo sbaglia, come si può evitare l’errore, e se sia giusto che il castigo lo paghi solo lui o che coinvolga anche i suoi discendenti. La tragedia di Eschilo è una ricerca drammatica di una teodicea, cioè di una filosofia che studia il rapporto tra la giustizia di Dio e la presenza del male nel mondo, in grado di spiegare come ciascuno sia responsabile di ogni azione, malgrado tutto avvenga per volontà degli dèi. In questa ricerca Eschilo attingeva soprattutto dai miti, per questo definiva le sue tragedie come “briciole del banchetto omerico”. Spesso ribadiva che la sofferenza ci permette di conoscere, secondo il principio del πάθει μάθος: la divinità, infliggendo al colpevole il castigo, gli insegna il giusto e gli dimostra la sua grazia.

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