darkoniko
Ominide
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La Teogonia è un’opera di argomento religioso. Consta di 1022 esametri dattilici e significa “generazione degli dei”. Non è un’opera teologica come noi potremmo intendere: Esiodo si sarà certamente ispirato alle genealogie di eroi dell’epica, ma fa un’operazione nuova, prima di tutto, spostando l’oggetto della narrazione dagli eroi agli dei e poi rendendo la genealogia stessa l’elemento costitutivo della narrazione.

L’opera è così strutturata: *Proemio (1-103) Questo lungo proemio è assimilabile a un inno alle Muse, non molto dissimile dagli Inni omerici maggiori.

Va ricordato che i proemi erano percepiti, nell’antichità, come intercambiabili ed è probabilmente per questo che il proemio della Teogonia è stato a volte, a torto, ritenuto inautentico. Esso può così essere schematizzato:

- i canti e le danze delle Muse (3-21): le Muse sono oggetto di poesia e non cantano per gli uomini, ma per sé. L’investitura si svolge in Beozia ed è davvero singolare che Esiodo si preoccupi di fornirci delle coordinate geo-topografiche così precise della sua esperienza, che viene così connotata come individuale (Esiodo fa il proprio nome nel proemio, v. 22) nonché unica (SOLO a lui le Muse hanno cantato il vero: v. 28). In particolare, egli cita: il monte Elicona (la vetta più alta della Beozia, situata nella regione di Tespie); il Permesso (un fiume che scorre alle pendici dell’Elicona); l’Ippocrene (una fonte vicina al santuario delle Muse, il cui nome “Fonte del cavallo”, si riferisce alla sua origine, poiché sarebbe nata da un colpo di zoccolo di Pegaso); l’Olmeio (torrente oggi detto Kefalari). Le divinità citate vengono presentate in ordine cronologico inverso, dalle olimpiche alle primordiali;

-la scelta delle Muse di investire Esiodo come poeta e l’oggetto del canto (22-34): Esiodo non è un aedo, ma un semplice pastore, cui le Muse accordano lo straordinario privilegio (simboleggiato dallo scettro d’alloro) della parola poetica: egli passa così dalla condizione di ἄζνθνο (rozzo) a quella di detentore di ζνθία. Le Muse sono dette Olimpie (v.25, figlie di Zeus), non potenze minori, ma vere dee, che conoscono la verità e scelgono a chi farne dono. Esse, dapprima, quasi aggrediscono il poeta, accomunandolo alla mala genia dei pastori, solo ventre (πνηκέλεο ἄγξαπινη, θάθ' ἐιέγρεα, γαζηέξεο νἶνλ, , v.26), poi però instaurano immediatamente uno scarto tra due diverse modalità di relazione: in una, esse cantano menzogne simili al vero (ad un pubblico che, ipotizziamo, non merita altro, poiché privo di discernimento: ἴδκελ ςεύδεα πνιιὰ ιέγεηλ ἐηύκνηζηλ ὁκνῖα, v. 27); nell’altra, esse cantano la verità, perché possono farlo, se vogliono: ἴδκελ δ' εὖη' ἐζέισκελ ἀιεζέα γεξύζαζζαη, v. 28). Le Muse rendono Esiodo un poeta a cui possano dire il vero. Nella fattispecie, esse gli concedono due doni, uno materiale, ma simbolico (lo ζθῆπηξνλ δάθλεο), l’altro immateriale, ma concreto (l’ispirazione di un canto divino: ἐλέπλεπζαλ δέ κνη αὐδὴλ ζέζπηλ, vv. 31-32). In Omero lo scettro (ζθῆπηξνλ) è riservato a re, araldi, sacerdoti e veggenti e concede il diritto di parola nelle assemblee. Il fatto che sia δάθλεο, d’alloro, lo connette ad Apollo e dunque alla sfera della poesia e della divinazione (che sia per prevedere il futuro, per cantare il presente o un passato remotissimo, il poeta deve possedere “la vista”: ἵλα θιείνηκη ηά η' ἐζζόκελα πξό η' ἐόληα, v.32). Le Muse danno un ordine preciso ad Esiodo: egli dovrà cantare il γέλνο καθάξσλ αἰὲλ ἐόλησλ (la stirpe dei beati, che vivono per sempre, v. 33), ma con una significativa peculiarità: ζθᾶο δ' αὐηὰο πξῶηόλ ηε θαὶ ὕζηαηνλ αἰὲλ ἀείδεηλ (ma esse per prime e alla fine, sempre): come detto, esse sono sia soggetto che oggetto della parola poetica. La dichiarazione di verità del canto limita in se stessa il pubblico che potrà fruirne: Esiodo si pone ideologicamente al di fuori dell’epos (che mai aveva utilizzato la verità come criterio narrativo, se non riferendosi al comportamento dei personaggi) e limita il suo pubblico a coloro i quali vogliano credere solo alle Muse che raccontano il vero (cioè alle sue!).
Quanto all’incontro con le Muse, è bene ricordare che già nell’epos omerico erano presenti epifanie e colloqui di un mortale con delle divinità, ma quello che racconta Esiodo è cosa nuova, perché dà la possibilità al poeta di rivendicare un proprio patrimonio di verità. L’investitura poetica diverrà un topos fortunatissimo della letteratura successiva: da Callimaco a Teocrito, fino a Ennio e Properzio, Virgilio ed Ovidio, questo dispositivo formidabile (pur mutando nei secoli per ispirazione e modalità di utilizzo) servirà di volta in volta per nobilitare e legittimare le scelte poetiche degli autori.

- la nascita delle Muse stesse (35-79): il canto deve quindi cominciare con le Muse (Μνπζάσλ ἀξρώκεζα, v. 36), quelle Olimpie (Μνῦζαη Ὀιπκπηάδεο, v.52), figlie di Zeus e Mnemosyne. Esse conoscono il passato, il presente e il futuro (εἴξνπζαη ηά η' ἐόληα ηά η' ἐζζόκελα πξό η' ἐόληα, v. 38). Al verso 77-79, Esiodo elenca nel dettaglio le Muse stesse e
poiché è il primo a farlo, si è ipotizzato che sia sua la paternità del complessivo sistema di nove divinità: Clio (storia), Euterpe (lirica), Talia (commedia), Melpomene (tragedia), Tersicore (danza), Erato (lirica erotica), Polimnia (mimo-inni), Urania (astronomia), Calliope (epica).

-il ruolo di guida che queste hanno per re ed aedi (80-103): le dolci parole ispirate dalle Muse, ministre di Zeus, danno ai re il potere di comporre le contese secondo giustizia, e agli aedi, di placare gli affanni dell’animo col dolce balsamo della parola poetica.

*Invocazione alle Muse: (104-115) dopo il lungo proemio, questa è la vera invocazione, attraverso cui il poeta chiede alle Muse di concedergli il canto, affinché egli possa celebrare la stirpe degli dei (vv. 104-105: ραίξεηε ηέθλα Δηόο, δόηε δ' ἱκεξόεζζαλ ἀνηδήλ· θιείεηε δ' ἀζαλάησλ ἱεξὸλ γέλνο αἰὲλ ἐόλησλ: Salve, figlie di Zeus, donatemi l’amabile canto, celebrate la sacra stirpe degli immortali che vivono per sempre), di conoscere come essi si divisero l’ ἄθελνο (il patrimonio del mondo) e le ηηκαί (onori, competenze, poteri) (v. 112:ὥο η' ἄθελνο δάζζαλην θαὶ ὡο ηηκὰο δηέινλην),2 e di farlo a partire dal primo di essi (ἐμ ἀξρῆο, θαὶ εἴπαζ', ὅηη πξῶηνλ γέλεη' αὐηῶλ, v. 115: dal principio, e ditemi quale per primo nacque di loro).

*Narrazione (116-1018). Segue la narrazione della genealogia degli dei, a partire dalle divinità primordiali (CAOS, GAIA, TARTARO, EROS). Gaia genera Urano, che viene evirato dal figlio Crono, il quale, a sua volta, divora i figli avuti dalla sorella, Rea. La genealogia degli dei, per accoppiamento o partenogenesi, s’interrompe per una quarantina di versi, una volta giunti ad Ecate (411-452): dea d’incredibile complessità, Ecate, secondo Esiodo, ricevette da Zeus potestà su cielo, terra e mare, poiché egli la onorava più di tutti gli altri dei e le diede poteri enormi. In effetti, la posizione di Ecate nella Teogonia esiodea è un unicum. Al v. 453 la narrazione ricomincia da Rea e dai figli avuti con Crono e prosegue con lo spodestamento di questi ad opera di Zeus. Segue il racconto (vv. 535-616) delle astuzie di Prometeo: prima l’inganno al banchetto (ossa e grasso agli dei; carne e interiora agli uomini), poi la conseguente decisione di Zeus di privare gli uomini del fuoco; il furto di questo da parte di Prometeo e la punizione di Zeus a questo ennesimo misfatto del titano: la creazione della prima donna. Dal verso 617 al 733, si racconta della liberazione dei Centimani, che pone fine alla guerra tra Titani e Olimpi. I Titani vengono così relegati nel Tartaro, in una prigione custodita dai Centimani stessi. Segue la descrizione del Tartaro (732-819) e la vittoria finale di Zeus che sconfigge anche il mostro Tifeo (820-868).

Dopo una breve parentesi sui venti (869-880), segue l’affermazione della presa di potere da parte di Zeus (881-885) e, a partire dal verso 886 fino al v. 1020, una sezione che contiene una serie di altre genealogie (Zeus e Metis, genealogie di altre divinità olimpiche, catalogo di figli di dee e uomini mortali) e che non da tutti è considerata autentica.

*Conclusione (1021-1022): Gli ultimi due versi connettono la Teogonia al Catalogo delle donne o Eoie: [λῦλ δὲ γπλαηθῶλ θῦινλ ἀείζαηε, ἡδπέπεηαη Μνῦζαη Ὀιπκπηάδεο, θνῦξαη Δηὸο αἰγηόρνην: ora cantate la stirpe delle donne, o dolci nel canto, Muse Olimpie, figlie di Zeus Egioco].

TEOGONIE E COSMOGONIE
Anche Omero dava notizia di genealogie precedenti Zeus, ma per lui la coppia originaria era quella di Oceano e Teti, mentre per Esiodo è quella di Gaia e Urano. Esiodo dunque, segue tradizioni teogoniche diverse, panelleniche, ed è il caso di ricordare che la Teogonia esiodea non è certamente l’unica del mondo greco: è solo l’unica che ci è pervenuta integra. Teogonie e cosmogonie erano attribuite anche ad altre figure più o meno leggendarie: Orfeo, Museo, Aristea, Epimenide. Lo stesso ciclo epico aveva una Titanomachia e una Gigantomachia. Nel VI sec. a.C. Ferecide di Samo e (probabilmente) nel V a.C. Acusilao di Argo scriveranno sugli dei in prosa.

Quanto alle Teogonie orientali, sia per la sua origine che per la cultura che dimostra, è difficile pensare che Esiodo non conoscesse o non venisse, almeno in parte, influenzato dagli antecedenti teogonici egizi, mesopotamici, ittiti, ebraici, persiani. Ciò, tuttavia, nulla toglie all’originalità del poeta greco, che, pur consapevole di queste tradizioni, riesce a metabolizzarle senza abdicare alla peculiare modalità greca di narrazione del reale. Le Teogonie raccontavano la generazione degli dei e fornivano perciò anche una cosmogonia attraverso la successione delle divinità, ipostasi dei vari elementi. Questo legame apparentemente indissolubile tra pensiero mitico (nascita degli dei) e scientifico (spiegazione dei fenomeni) venne messo in crisi solo nel VI secolo a.C., quando, proprio dal fertile terreno della contaminazione e dello scambio culturale costituito dall’Asia Minore, nacque il pensiero filosofico, concepito in prima istanza come risposta razionale alle origini del cosmo fornite dalla mitologia.

Pubblico della Teogonia
La Teogonia era destinata alle recitazioni dell’epos se, come sembra, essa fu recitata da Esiodo a Calcide in occasione delle celebrazioni per Amfidamante. Del resto, tutto ci suggerisce una destinazione di questo tipo: non solo la mancanza di altre occasioni verosimili per un carme del genere, ma soprattutto la tematica epica e la forma compositiva, correttamente epica, che presenta l’inno iniziale e l’aggancio con la narrazione successiva.

Schema metrico dell'esametro dattilico
Il termine esametro (dal gr. εξ = sei + κέηξνλ = misura, piede) dattilico suggerirebbe una sequenza di sei dattili. In realtà un esametro dattilico è costituito da 5 dattili e da un piede finale costituito da due sillabe, la prima delle quali è sempre lunga, mentre la seconda può essere indifferentemente lunga o breve: l'ultimo piede, quindi, non è mai un dattilo, ma è uno spondeo -- o un trocheo -˘ . Ciascuno dei primi 4 piedi può essere costituito da dattilo o da uno spondeo, ma se l'esametro ha uno spondeo in 5^ sede, esso è detto spondaico. Esistono diversi tipi di pause (o cesure) nella lettura del verso: noi utilizziamo la pentemimera o semiquinaria, dopo il quinto mezzo piede, ovvero dopo l’arsi (accento) del terzo piede.

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