“Il mito delle stirpi umane”
Il mito delle stirpi umane è un mito diffuso non solo nella cultura greca, ma anche in altre civiltà, come quella mesopotamica e indiana. È un mito nel quale viene delineato un processo di graduale decadenza della condizione dell’uomo, a partire da una condizione edenica, che ritroviamo nell’età dell’oro (Crono), caratterizzata da una condizione di assoluta beatitudine, senza alcuna sofferenza, fino ad arrivare all’età del ferro.
La novità che viene ad essere inserita nel trattare questo processo di decadenza è il fatto che egli interrompe questo processo inserendo l’età degli eroi, che corrisponde a quella di coloro che presero parte alla spedizione di Troia e al Ciclo tebano. Il motivo di questo inserimento è stato molto discusso: varie interpretazioni, fra cui la più significativa è quella per cui l’età degli eroi venga inserita come contraltare all’età del bronzo. Gli uomini di entrambe le stirpi sono dediti alla guerra, ma i guerrieri dell’età del bronzo rappresentano il lato più violento e brutale, mentre quelli dell’età degli eroi, definiti come uomini giusti, si connotano per una coscienza etica totalmente assente rispetto ai loro predecessori, da cui anche il diverso destino dopo la morte. Agli eroi è riservata l’isola dei beati.
Questa interpretazione deriva dal fatto che dalla lettura degli antropologi, questo è un mito che rispecchia la struttura della società umana e le tre principali funzioni all’interno della società umana: funzione politica, che viene rappresentata dagli uomini della razza aurea e argentea; funzione militare, con due facce differenti; funzione produttiva, che narra la storia degli uomini che svolgono le operazioni necessarie nell’età del ferro.
Versi 174-175: Esiodo introduce l’età del ferro con un’esclamazione, che rappresentano una problematica con più interpretazioni: l’interpretazione tradizionale, che per lungo tempo è stata accreditata, è stata che questi versi testimonino una concezione ciclica del tempo. Da un lato Esiodo sembra rimpiangere il fatto di non essere nato nell’età degli eroi, ma in quella del ferro, caratterizzata da una progressiva degenerazione morale, ma dall’altro sembra che in Esiodo sia presente una concezione ciclica del tempo, in cui in seguito all’età del ferro vi sia un’altra età del progresso. Si è arrivato persino a pensare che vi possa essere una nuova età dell’oro. Questa concezione troverebbe sostegno nel fatto che nelle società arcaiche è fortemente radicata la concezione ciclica del tempo, che è propria delle civiltà contadine, che organizzano il proprio tempo sulla base della ciclicità della natura (inverno=morte/estate=vita).
Oggi molti studiosi si discostano da questa interpretazione: la studiosa Strauss Clay vede questa interpretazione come in contrapposizione con l’esortazione religioso-lavorativa che Esiodo fa. Questo tipo di esortazione non porta una palingenesi.
L’epoca a cui Esiodo appartiene è l’età del ferro, in cui è necessario il lavoro, poiché la società è permeata dal male. Il lavoro implica sudore e fatica, ma è contemporaneamente lo strumento attraverso il quale l’uomo può affermarsi, è contemporaneamente in questa epoca l’uomo ha la possibilità di conoscere il bene, o almeno di bilanciare la sofferenza. All’interno dell’età del ferro dipinge anche, con toni apocalittici, un cammino di progressiva degenerazione della condizione dell’uomo, che vedrà il sostituirsi della forza e della violenza alla giustizia. Il quadro dell’età del ferro è apocalittico e noi vediamo ogni forma di vizio e di violenza, prevalere sui valori etici, al punto tale che ogni vincolo familiare e sociale su cui poggia la società ci viene dipinto come violato.
In questi ultimi versi vengono rappresentati anche Rispetto (Aidòs con l’omega) e Giustizia (Nemesis): quadro potente delle virtù necessarie alla virtù umana. È significativo che la Giustizia venga definita come Nemesis, non come Dike, perché la giustizia qua intesa è la giustizia retributiva, che indica un esercizio della giustizia che interviene in modo proporzionale alla colpa commessa. Tanto Aidòs quanto Nemesi abbandonano la terra, di fronte al prevalere dell’Ingiustizia e della Violenza.
Esiodo vuole mettere in guardia i suoi destinatari dai rischi che essi corrono qualora a prevalere sia un comportamento come quello di Perse o come quello dei re divoratori, che si sono lasciati corrompere. Questa condotta di vita comporta le conseguenze che Esiodo ci descrive: gli uomini a cui viene narrato il poema vivono nel bene e nel male, quindi, con una condotta retta, possono vivere nel bene.