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Indice

  1. Eschilo
  2. Caratteristiche e innovazioni della tragedia eschilea
  3. Opere
  4. Persiani
  5. Orestea
  6. La figura di Clitemnestra

Eschilo

Eschilo fu uno dei più importanti tragediografi del V secolo a.C. Figlio di Euforione, nacque nel 525 a.C. a Eleusi, una piccola città vicino ad Atene, da una famiglia aristocratica. Nel corso della sua vita assisté e partecipò in prima persona agli eventi della città di Atene. In primo luogo, vide, durante la sua giovinezza la fine della tirannide di Pisistrato e vide la nascita della democrazia ad Atene nel 508 a.C.
Nel corso della sua giovinezza vide, in ambito poetico, ottenne una serie di vittorie agoniche, già a partire dal 484 a.C., nonostante la sua attività poetica e letteraria fosse fiorita nel 499 a.C.
Per quanto riguarda l’attività militare nel 490 partecipò alla battaglia di Maratona, per poi riprendere il ruolo di oplita nel 480 a.C.

nella Battaglia di Salamina, alla quale dedicò una descrizione epica all’interno de I Persiani. Quest’ultima gli valse l’invito presso la corte del tiranno Ierone di Siracusa, che aveva iniziato una campagna di mecenatismo, circondandosi dei più illustri poeti e intellettuali del V secolo. Qui, Eschilo potè distinguersi tra gli altri, apportando una serie di innovazioni alle forme di teatro già preesistenti.
Stabilitosi ormai in Sicilia, morì nel 456 a.C. a Gela. La sua fu una discendenza di uomini di teatro, che caratterizzò le quattro generazioni successive all’antenato.
Eschilo ottenne 13 vittorie negli agoni teatrali che gli valsero il privilegio di poter far riportare sulla scena le sue opere anche dopo la morte, ottenendo così altre 15 vittorie.

Per quanto riguarda la produzione scritta, è noto che compose circa una novantina di drammi, di cui sono noti settantanove titoli, fra drammi satireschi e tragedie.
Per intero, rimangono:
I Persiani - 472 a.C.
I sette contro Tebe - 467 a.C.
Le Supplici - 465-460 a.C.
Prometeo Incatenato - ?
Orestea (Agamennone, Coefore e Eumenidi) - 458 a.C.

Caratteristiche e innovazioni della tragedia eschilea

Eschilo apportò una serie di modifiche e innovazione alla forma di tragedia già preesistente, come l’organizzazione delle tragedie in trilogie, l’introduzione del secondo e del terzo attore, la caratterizzazione dei personaggi, la ὓβρισ e la ἂτη, il ruolo della giustizia come conseguenza della ὓβρισ e il conflitto tra il caos e l’ordine. Inoltre, è fondamentale ricordare che il teatro eschileo è un teatro dove la parola assume il ruolo principale
Trilogia legata: Eschilo organizza le sue tragedie come parte di una trilogia, al cui interno ciascuna di esse narra un singolo episodio di una storia più articolata. Inoltre, le sue trilogie non girano intorno ad un solo personaggio, ma tratta una storia collettiva, attraverso la quale mette in scena un sistema di valori della città di Atene. Infatti, ovunque il dramma si svolga, si veda il caso dell’Orestea, è comunque la πόλις ateniese a fare da sfondo.
Temi: partendo dalla prospettiva della sua città, Eschilo tratta tematiche molto importanti e universali, come la famiglia, il diritto, il rapporto tra potere e libertà e grandi problemi del pensiero religioso, come la presenza degli dei nella vita quotidiana umana come garanti della giustizia.
Stile e lingua: i drammi eschilei sono caratterizzati da uno stile molto solenne e rigido, riprendendo la tradizione arcaica; le sue sono opere in cui l’azione procede molto lentamente e viene descritta attraverso un linguaggio alto, difficile ricco di invenzioni verbali, come i neologismi, epiteti complessi e composti, spesso accumulati in serie, metafore che si intrecciano tra di loro, insomma, elementi che insieme formano tra di loro un linguaggio e uno stile lontano dal parlato per il lessico e la sintassi. Tuttavia, la metrica da lui utilizzata è sicuramente il trimetro giambico - formato da tre metri, ciascuno composto a sua volta da due piedi giambici (formato da un'arsi di una sillaba breve e di una tesi di una sillaba lunga) - adoperato nei dialoghi.
Innovazioni drammaturgiche: Eschilo è noto per la sua continua ricerca per effetti emozionanti e speciali, anche attraverso i costumi - bisogna ricordare che fu proprio Eschilo a introdurre le maschere e i coturni - e le macchine, per creare una scenografia spettacolare. Tuttavia, gli deve essere riconosciuto il merito di aver introdotto nella tragedia un secondo attore, permettendo così la nascita di un dialogo tra i due, facendo diventare l’hypocritēs un prōtagōnistēs attraverso il secondo attore, deuteragōnistēs. In questo modo, diventando l’azione un dialogo, è possibile sviluppare le ragioni di entrambi.
Coro: quasi come conseguenza, all’aumentare degli attori, il coro va pian piano perdendo la sua importanza. Infatti, nonostante Eschilo avesse aumentato il numero dei partecipanti al coro, quest’ultimo andò via via defilandosi, in quanto perse la funzione di dialogare con l’attore.
I personaggi eschilei: i personaggi di Eschilo sono fortemente stilizzati. Gli eroi eschilei non sono psicologicamente realistici poiché, nonostante mostrino passioni assolute e totali, presentano esclusivamente un solo lato della loro personalità. Infatti, mancano di dubbio e tormento interiore, e fanno parte di un mondo in cui si scontrano con una rete di forze invisibili che ne limitano l’autonomia.
Forze oscure e invisibili: il mondo psicologico dell’eroe eschileo è sottomesso agli impulsi di forze esterne, come demoni e forze maligne, che spingono l’uomo alla rovina, intorno al quale si muovono terribili divinità sotterranee, come le Erinni - punisce chi viola i valori morali e compie vendette di sangue. Queste forze o energie invisibili sono la ὓβρισ e la ἂτη:
ἂτη è accecamento, la sconsideratezza di una decisione, si veda Agamennone che sacrificò la figlia non presagendo la sciagura
ὓβρισ è l’atteggiamento tracotante di chi non riconosce i propri limiti e anzi li oltrepassa, compiendo azioni eccessive o terribili, che comporta poi la rovina e la sciagura. Occorre dunque che l’uomo rispetti questi confini.
Il ruolo degli dei: se da una parte vi stanno queste forze invisibili che portano alla rovina, dall’altra gli dei sono chiamati a garantire la giustizia, la δίκη, che in Eschilo è intesa come la legge che gli dei impongono al mondo e che spiega la casualità degli avvenimenti che in genere non possono essere spiegati, regolando così la colpa e la punizione di chi ha commesso un reato, che possono essere espiate per il concetto di πάθει μάθος, ovvero che attraverso il dolore, che ogni uomo è destinato a soffrire, l'essere umano matura la propria conoscenza rendendosi cioè conto dell'esistenza di un ordine perfetto e immutabile che regge il suo mondo.
Rapporto tra caos e ordine: il mondo sembra essere governato da forze oscure e selvagge, che vengono però sottomesse dagli dei che fanno prevalere sia la giustizia, e progredisce la civiltà. Il conflitto tra caos ed ordine equivale al mondo della natura elementare e quello della πόλις, in quanto fuori ad essa si muovono le forze violente e primitive della distruzione, che vengono frenate dalla città.

Opere

Persiani

I Persiani furono rappresentati per la prima volta nel 472 a.C., 8 anni dopo la Battaglia di Salamina, che viene descritta epicamente in questa codesta tragedia.
I Persiani in realtà facevano parte di una trilogia che comprendeva Fineo, Glauco e il dramma satiresco Prometeo accenditore di fuoco, che in realtà non avevano nessuna connessione logica tra di esse.

I Persiani è una tragedia che in realtà si basa su un evento storico,le guerre persiane, avvenute qualche anno prima della messa in scena della tragedia, al quale partecipò lo stesso Eschilo come oplita. Il motivo per cui decise di mettere in scena un evento così contemporaneo, piuttosto che un mito, risiede nei valori che questo evento ha apportato. Infatti, l’avvento di Serse e del suo esercito minacciò pericolosamente la libertà e l’indipendenza della Grecia. Infatti, la storia ci riporta un racconto in cui per la prima volta, tutta la Grecia si unì sotto un unico esercito, mettendo da parte i conflitti interni, al fine di difendersi dai Persiani e di mantenere viva e salda la loro libertà, per non diventare sudditi del regno di Persia. In particolar modo, si vedono Sparta e Atene che difendono i loro regimi politici, il primo oligarchica, il secondo democratico.
Per la prima volta, dunque, si nota lo scontro tra Occidente e Oriente, due grandi culture che fino ad ora sono in conflitto per motivi politici, religiosi e culturali, volendo prevalere l’uno sull’altro.
Per questo motivo, Eschilo decise di trasformare questo avvenimento storico in un mito, in quanto questo, essendo atemporale, è in grado di portare avanti tutti i valori patriottici e collettivi contenuti in questa guerra, facendo riflettere su questi stessi valori anche a distanza di 2400 anni.

L’evento storico trattato nella tragedia non è in realtà una novità di per sé, in quanto fu Frinico il primo a portare in scena, nel 494 a.C., La presa di Mileto, ad opera dei Persiani, che sconcertò non poco il pubblico. Ancora, nel 476, lo stesso Frinico mise in scena un dramma, le Fenicie, in cui narrava la vittoria dei Greci nella Battaglia di Salamina.
Tuttavia, nonostante entrambe le tragedie portassero con sé i valori patriottici che la guerra persiana conservava, Eschilo la rappresentò in modo diverso, preferendo inquadrare la vicenda storica dal punto di vista degli sconfitti, rinunciando al definire i Persiani come barbari invasori e a manifestare la grandezza di Atene. Infatti, fondò la tragedia sullo scontro tra est e ovest, tra l’ideologia democratica ateniese e la monarchia teocratica persiana, tra la libertà di espressione dei valori morali e il dispotismo persiano che impediva ai sudditi di esprimere la loro opinione. Inoltre, se da una parte, ad Atene, ogni componente della città era considerato cittadino, dall’altra, vi sono i sudditi.

Serse viene associato alla ὓβρισ e non viene rappresentato come personaggio storico, come nemico degli ateniesi, ma come uomo che non sa discernere il bene dal male, come uomo che, a causa della sua continua smania di potere, non ha saputo discernere il limite tra potenza e violenza.

Orestea

Fu rappresentata per la prima volta nel 458 a.C. nell’ambito di un concorso drammatico in cui ottenne la vittoria.
La vicenda si sviluppa in tre fasi:
Agamennone: l’arrivo di Agamennone ad Argo e la sua uccisione per mano della moglie Clitemnestra
Coefore: ritorno del figlio Oreste in patria che, alla notizia della morte del padre, lo vendica uccidendo la madre e l’amante Egisto
Eumenidi: la fuga a Delfi dalle Erinni e l’assoluzione nell'Areopago di Atene
Vari sono i temi che vengono affrontati in questa trilogia:
la vendetta tribale: nella trilogia, la vendetta si realizza all’interno dello stesso clan; ci si fa giustizia da sé, come dimostra prima Clitemnestra, poi Oreste. Tuttavia, la tragedia in questo mostra la malfunzione di questo meccanismo, in quanto ogni tentativo di riparazione dimostra solo una nuova contaminazione che si aggiunge nella catena omicida della famiglia degli Atridi.
la giustizia divina: affiancata al tema della vendetta personale, vi è la giustizia divina, la Δίκη, di cui gli dei dell’Olimpo sono garanti. Tuttavia, se nelle prime due tragedia, la giustizia viene fatta da sé, nelle Eumenidi sono gli dei a farla attraverso l’istituzione di Atena dell’Areopago, segno di cambiamento che introduce le forze civili, facendo notare la differenza tra le leggi tribali, appartenenti al mondo arcaico, e le leggi della polis, che come simbolo ha l’Areopago stesso. Vi è dunque un confronto tra passato e presente. Al contempo, vi è un contrasto molto forte tra le divinità cittadine - Apollo e Atena, che simboleggiano il cielo, e le Erinni, demoni antichi appartenenti al mondo sotterraneo.
la giustizia e l’insegnamento attraverso la sofferenza: l’uomo, se ha peccato di ὓβρισ, deve prendersi le sue responsabilità e accettare il suo destino, in quanto questo è l'irrevocabilità della pena dell’uomo stabilità dagli dei. Di conseguenza, l’uomo ne deve prendere coscienza e cercare di scontare la sua pena. Infatti, Eschilo ha introdotto per la prima volta il concetto di πάθει μάθος, ovvero la redenzione attraverso la sofferenza che permetteva la conoscenza di sé stesso e dell’accettazione dei propri limiti.

La figura di Clitemnestra

Clitemnestra è senza dubbio il personaggio centrale dell’intera trilogia, sia fisicamente, in quanto compare in tutte e tre le tragedie, sia caratterialmente. Un personaggio sicuramente subdolo, che attende il ritorno del marito solo per poter vendicare la figlia Ifigenia, per potersi liberare dell’uomo che nel tempo ha imparato ad odiare.
La sua astuzia la si trova nel frammento in cui attende il marito alle porte della città di Argo, con un tappeto color porpora, che ricorda il colore del sangue, quel sangue che presto sarebbe sgorgato dalla gola di Agamennone, ma anche il simbolo di potere. Le parole da lei scelte attentamente hanno un doppio significato: Agamennone però non intende il vero senso delle parole di Clitemnestra e le intende come segno di benevolenza. L’attesa quasi pressante di Clitemnestra, inoltre, deriva dal desiderio di ucciderlo con le proprie mani, e non che venisse ucciso in battaglia.

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