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Dallo scoppio della pandemia il lavoro dei rider si è triplicato, diventando quasi fondamentale per milioni di persone. Le famiglie, costrette a stare in casa per periodi prolungati, hanno spesso utilizzato le piattaforme online specializzate per farsi portare la cena (ma anche la spesa o altri beni di prima necessità) direttamente a domicilio.

Tale frenesia nel ricorrere al comodo acquisto ha però contribuito a peggiorare le condizioni di lavoro e, conseguentemente, di vita di questi ‘fattorini’ del terzo millennio; già di base tutt’altro che esaltanti. Ma, in questi giorni, è avvenuta una svolta che potrebbe presto permettere a molti di loro di vedersi finalmente riconosciuto lo status di lavoratori subordinati a tutti gli effetti. Perché finora, pur essendo al servizio di un solo datore di lavoro, formalmente sono ancora inquadrati come lavoratori autonomi. Con una pressoché totale assenza di tutele e diritti. Ma, prima di addentrarci nell’attualità, è bene spiegare chi sono e cosa fanno i riders che ci bussano quotidianamente alla porta.

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    In Italiano si chiamano “ciclofattorini”. Una parola che, forse, può aiutare a capire meglio di quale categoria di lavoratori stiamo parlando. Scorrazzano per la città in sella ad una bici o, nel migliore dei casi, di in un motorino. Portando sulle spalle un ingombrante zaino stracolmo di consegne, da fare in un orario stabilito. Se li vedete correre a velocità sostenuta, come se fossero mosche impazzite, rischiando la pelle, è perché molto probabilmente stanno cercando di completare tutte le consegne per portarsi a casa un gruzzoletto più dignitoso. Visto che più ne fanno, più guadagnano. E se, storicamente, a svolgere questi ‘lavoretti 2.0’ erano ragazzo/a di giovane età, negli ultimi tempi - complice la pandemia che ha fatto perdere il lavoro a tantissime persone - anche molti ‘over’ si sono aggregati alla truppa.

    Il datore di lavoro dei riders (se così può essere chiamato, visto che sulla carta non lo è affatto) è, invece, una delle tante piattaforme online di food delivery - come Just Eat, Deliveroo, Glovo - o un altro servizio analogo. Esercizi che riescono a garantire le consegne 24 ore su 24, anche durante i festivi e i weekend, grazie ai riders e le applicazioni che possiamo installare sul nostro pc o smartphone.

    Per diventare un rider basta firmare un contratto online e poi tutto va in automatico. La formazione ormai è volontaria e ogni ciclofattorino ha un suo punteggio riguardante le caratteristiche di affidabilità e qualità, influenzate soprattutto dalla puntualità della consegna. Un aspetto chiave, perché sarà in base al ranking, ossia la posizione in classifica, che si potrà accedere in via preferenziale a consegne e turni di lavoro più remunerative.

    Come detto, stiamo parlando di un lavoro autonomo che però è ampiamente “manovrato” da un sistema a turni subordinati. Con le piattaforme che impugnano, per così dire, “il coltello dalla parte del manico”. Senza contare il fatto che spesso, nelle loro incessanti corse contro il tempo, questi “fattorini” rischiano di perdere la vita per svolgere un lavoro ampiamente sottopagato. Riconoscendo l’inattività solo se il rider non deve fare nessuna corsa e con una paga che, pur dovendo in teoria essere di 5 euro lordi a consegna, nel pratico è ampiamente variabile a seconda della piattaforma che si considera e del turno di lavoro. In ultimo, dobbiamo considerare il fatto che i riders non sono per niente tutelati: ogni danno al mezzo o la semplice manutenzione è a loro spese. Senza aver diritto né a ferie né a malattie pagate.

    Le richieste dei riders

    Viene facile, dunque, intuire quali siano state le richieste che negli anni hanno ripetutamente avanzato per cercare di rendere più sopportabile il loro lavoro. In una proposta, risalente a qualche anno fa, le rappresentanze dei riders avevano persino chiesto al Governo l’emanazione di un decreto specifico da far entrare in vigore insieme al reddito di cittadinanza. All’interno di tale decreto sarebbe dovuta entrare la regolamentazione del contratto di lavoro subordinato per la loro categoria. Questo perché, ai sensi dell’articolo 2094 c.c: “chiunque si obblighi, dietro retribuzione, a collaborare nell’impresa prestando la propria attività lavorativa intellettuale o manuale sulla base dell’inserimento nella struttura di piattaforma e con l’utilizzo di programmazione informatica (…) è considerato prestatore di lavoro subordinato”.

    Inoltre, tramite questa proposta, i riders chiedevano l’abolizione del pagamento a cottimo (ovvero per quante consegne effettivamente fatte) e l’introduzione di una paga oraria, nonché una sostanziale tutela dal punto di vista previdenziale e assicurativo che andasse al di là del minimo garantito. Infine, col decreto, si chiedeva la regolamentazione degli algoritmi (i sistemi che assegnano consegne e turni di lavoro) e l’inserimento di una regola molto importante: il diritto di disconnessione, ossia la possibilità di non essere contattati in continuazione ma solo dopo il trascorrere di 11 ore dal termine dell’ultimo turno svolto.

    L’accordo tra Just Eat e i sindacati

    Solo nell’ultimo anno, di fronte all’innegabile evidenza del valore di questi lavoratori, la vertenza dei riders ha avuto un’accelerazione decisiva. Il primo datore di lavoro a muoversi è stato Just Eat, che ha siglato un accordo con le organizzazioni sindacali Filt-Cgil, Fit-Cisl e UIL Trasporti col quale vengono inquadrati i riders all’interno del contratto collettivo di lavoro del settore logistica, trasporto, merci e spedizione. E, molto probabilmente, tra il 2021 e il 2022 verranno assunti i primi 4mila riders. Secondo i sindacati, questo è un risultato storico, frutto di un’intensa mediazione tra le diverse esigenze in campo: quelle dell’attuale mercato del food delivery e quelle che interessano i fattorini.

    Tale traguardo non è certo da sottovalutare dal momento che, con la firma del contratto, i ciclofattorini risulteranno dipendenti subordinati al 100%, con delle vere buste paga, ferie, malattie, TFR, rimborso spese, premio di valorizzazione, tutele e così via. Dunque, non un semplice contratto ma una vera e propria conquista di diritti.

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    Stefania Ruggiu, La Politica Del Popolo

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