GreMo80
Autore
13 min lettura
design

L’uomo che oggi disegna le aziende doveva gestire una ditta di autotrasporto, ma poi si è ribellato al suo destino ed alla sua famiglia. Antonio Romano - pugliese di nascita, romano (cittadino) di adozione, professore di Architettura – è il partner fondatore di InArea, multinazionale della brand design.

Se avesse seguito le orme del padre, oggi CGIL, Finmeccanica, LUISS, MAXXI, ILVA, SNAM, CONI, Milan, Autostrade per l’Italia (soltanto per citarne pochissime del suo ricco palmares) avrebbero un altro volto o, per dirla secondo i suoi insegnamenti, un’altra identità.

“Più che seguire le orme sarebbe più corretto dire: seguire i suoi ordini – racconta Antonio – mio padre non amava essere contraddetto! Aveva fatto due anni nei campi di concentramento, nel 1947 intuì che il fermento della ricostruzione avrebbe offerto opportunità di riscatto e avviò una ditta di autotrasporti. L’intuizione fu corretta, la ditta ha avuto successo ed ha permesso alla mia famiglia di crescere in un solido contesto economico e sociale. Con mio fratello e le due mie sorelle abbiamo ricevuto un’educazione molto rigorosa e l’opportunità di studiare e laurearci.”

  • E da che cosa hai dovuto ribellarti allora?

"Dal destino che mio padre aveva pensato per me. Essere il suo erede nella gestione della ditta. Pensa che nonostante avessi la voglia e le qualità per fare il Liceo come mio fratello e le mie sorelle, mi iscrisse all’Istituto Tecnico perché dovevo possedere competenze di elettronica e meccanica per comprendere al meglio il mondo dei camion!"

  • Avevi già le idee chiare sul voler fare altro?

"Mi è sempre piaciuto leggere e disegnare. Probabilmente avevo qualche capacità innata che mi orientava in tal senso. Alle elementari ed alle medie vincevo premi di piccoli concorsi con i miei disegni e questo mi dava grande motivazione. I miei genitori snobbavano un po’ queste mie qualità, disegnare non era considerata una capacità degna di nota. La scintilla si accese a 14 anni grazie a mio fratello che mi regalò un libro: “Artista e Designer” di Bruno Munari. Rimasi folgorato dalla lettura e capii che da grande avrei fatto l’Architetto o, meglio, il designer."

  • E con i piani di tuo padre come hai fatto?

"Molto semplice: mi sono ribellato. Dopo il diploma spesi i miei pochi risparmi per un viaggio a Roma e Milano. Dovevo soltanto capire quale Università scegliere, ma non c’era alcun dubbio sul fatto che mi sarei iscritto ad Architettura. Affrontai i miei genitori a viso aperto e gli feci capire che, questa volta, non avrei accettato ingerenze ed avrei seguito comunque la mia strada. Spiegai a mio padre che, così come lui aveva “disobbedito” a mio nonno lasciando la campagna e dedicandosi ai trasporti, anche io avevo la mia strada da seguire."

  • Dopo questa scelta i tuoi genitori hanno continuato a supportarti negli studi?

"Non fu semplice, ma il legame familiare era solido e non mi fecero mancare il loro appoggio, anche economico. Secondo me credevano che prima o poi sarei tornato all’ovile con comodo approdo dell’azienda di famiglia. Il problema era che io non volevo soltanto studiare: smaniavo per fare il designer! Così iniziai a girare le tipografie di Roma per chiedere di “passarmi” qualche cliente con esigenze particolari.

All’epoca in pochi avevano la consapevolezza di che cosa volesse dire curare l’immagine. Io partivo dalle piccole cose, la carta intestata, i biglietti da visita e li convincevo dei vantaggi di un’identità coordinata (nome con il quale era conosciuta, all’epoca, la brand identity).

In caso di successo venivo pagato, altrimenti…niente! Il risultato fu che il primo anno riuscii a dare un solo esame, un po’ poco per gli standard dei miei genitori. Ricordo ancora la sonora punizione che mi rifilarono!

Da quel momento mi misi a studiare seriamente. Poi ho aperto il mio studio e mio padre provò nuovamente a tirarmi dalla sua parte, ricordo che mi disse: 'Ma tu sei un ragazzo intelligente, non potevi fare qualche cosa di più serio?', ma capì che avevo trovato la mia strada e mi lasciò libero di seguirla. Anni dopo ha riconosciuto anche lui che era quella giusta."

  • Lo “Studio Romano”…una scelta non proprio originale!

"Ma io sono fatto così, un mix di umiltà ed autostima! L’umiltà è necessaria per dialogare con il cliente, comprenderne le esigenze, conquistarne la fiducia. L’autostima per credere in quello che fai, portare avanti la tua visione, vincere le difficoltà ed affermare le tue idee.

Lo 'Studio Romano' non era un nome originale, soprattutto a Roma, ma era la sintesi inevitabile del mio progetto. Dopo aver aperto cercai in tutti i modi di conquistarmi lavori stabili e routinari, per dare una base solida alla mia attività.

Ma ero un signor nessuno impegnato in un’attività quasi sconosciuta. Ho speso anni ad impaginare giornali, disegnare gadget, fare calendari…tutto da solo, giorno e notte, spendendo più di quello che guadagnavo.

I miei amici mi dicevano che tutto questo sacrificio non valeva la pena e che, con il mio talento, avrei potuto farmi assumere da qualche parte, guadagnando di più e lavorando meno.

Ma io ero lo Studio Romano e non avrei rinunciato per niente al mondo alla mia identità ed al sogno di realizzarmi con il mio nome in quello che facevo.

  • C’è stata una svolta nella tua storia?

"Piano piano il mercato si è consolidato, ho iniziato ad ampliare lo Studio, ma niente più di una piccola 'bottega' da artigiano. Fino a quando, nel 1983, la CGIL mi cercò per lo studio di un’immagine da associare ad una manifestazione.

Nacque il quadrato rosso che ancora campeggia nelle bandiere del sindacato. Fu un successo straordinario che mi aprì le porte di una delle più grandi organizzazioni dell’epoca e, di conseguenza, quelle delle aziende. In poco tempo iniziammo ad ingrandirci ed arrivarono Finmeccanica, ILVA ed Enichem che mi avvicinò a Milano ed alla dimensione internazionale."

  • Affermarsi come “Studio Romano” a Milano, un’impresa da titani…

"Fin troppo ambiziosa...nella realtà milanese, che all’epoca era il massimo per la brand design, ero un signor nessuno ed i clienti che volevano lavorare con me iniziarono delicatamente a farmi notare che con quel nome sarei andato poco lontano.

Così adottai prima il nome di AREA (Antonio Romano E Associati) e poi, con l’espansione all’estero, quello di IN-AREA che, nella preposizione “IN” ha sia il pregio di indicare apertura e coinvolgimento, sia la dimensione internazionale (International). Dal 2004 abbiamo più di 200 professionisti associati in tutto il mondo."

  • Guardando il book dei vostri progetti le aziende famose non si contano, sembra che abbia disegnato tutto tu…

"Bisogna uscire dalla logica che vede il disegno di un brand come l’intuizione felice ed improvvisa di un’artista. La definizione di un’identità è figlia di processi e metodi strutturati fatti di analisi, progettazione, test.

E’ frutto del lavoro di decine di professionisti, ciascuno con le proprie competenze. Poi certo, c’è sempre il tratto di un bravo designer che fa la differenza, ma la chiave del mio successo e di quello di INAREA è l’aver creato un contesto in grado di dialogare con le grandi aziende per comprenderne l’essenza e farla diventare un’identità.

Dopo il quadrato della CGIL abbiamo creato la farfalla della RAI, la doppia XX del Maxxi, il simbolo della Treccani, lo scudo della città di Milano, la doppia II di Pompeii, le livree degli autobus di Roma, la & di Autostrade…centinaia di progetti, ognuno una scoperta per noi e per i nostri clienti."

  • Come nasce la tua esperienza come Professore?

"Posso dire di studiare architettura da quando ho 14 anni. La mia passione mi ha portato a divorare qualsiasi libro di settore fin da ragazzo.

L’università è un ambiente nel quale mi sono sempre trovato a mio agio, La Sapienza nel 2005 mi ha addirittura dedicato una mostra al Vittoriano, i cui primi visitatori furono Giorgio Napolitano e la moglie.

La carriera accademica non mi ha mati attratto, ma il rapporto con gli studenti sì. Non avendo figli cerco nel dialogo con le nuove generazioni gli stimoli per disegnare il futuro, il mio ed il loro.

Dopo una lunga esperienza nella facoltà di Scienze della Comunicazione in Sapienza, insegno da qualche anno alla Scuola di Design del PoliMi, un’eccellenza ambita dai migliori giovani talenti del settore, ai quali cerco di trasmettere idee e passione."

  • Esiste anche un Antonio Romano scrittore?

"Soltanto per gioco. Per distrarmi mi piace scherzare con le parole, sono un creatore di “calambour”. Ne è nato un libro “Sedotto e abbottonato” (Sperling & Kupfer, 2004) che ho dedicato “a me spesso, a me steso ed a me sesso”, un modo come un altro per descrivere chi sono. Mi piace togliere il guinzaglio al cervello, sono un sognatore conto terzi."

  • Consigli da dare a futuri brand designer?

"L’identità è relazione, per scoprirla servono competenze tecniche unite a capacità di dialogo, ascolto e pensiero. Se trovate questa passione seguitela, cercando sempre di restare liberi ed indipendenti per accogliere gli altri, senza ricevere ordini dagli altri.

La vera raccomandazione è di godersi quello che si fa: a furia di pensare per conto degli altri non riesco più a distinguere i miei sogni da quelli altrui. Ogni tanto sdraiato a faccia in su sul letto, come adoro fare nei momenti di relax, immagino il titolo della mia autobiografia: 'Scusa, hai visto la mia vita? E’ passata, ma non me ne sono accorto'. Poi torno a pensare a quale volto dare alla prossima azienda."

 

Gregorio Moretti
Sono nato nel 1980, laureato in Teorie della Comunicazione, da oltre 20 anni mi occupo di persone nelle aziende

Data pubblicazione 7 Marzo 2025, Ore 9:30
Skuola | TV
E ADESSO? La verità su cosa fare dopo la maturità

Rivedi lo speciale di Skuola.net e Gi Group dedicato a tutti i maturandi che vogliono prendere una decisione consapevole sul proprio futuro grazie ai consigli di esperti del settore.

Segui la diretta