Concetti Chiave
- La Corte d'Appello di Torino ha riconosciuto il lavoro su piattaforma come eterorganizzazione, secondo l'art. 2.1 d.lgs. 81/2015, classificandolo come «subordinazione spurie».
- Ai rider è garantita una retribuzione proporzionata alle attività svolte, con riferimento al contratto collettivo nazionale del lavoro per la logistica.
- In assenza di iscrizione sindacale da parte delle piattaforme, è stata applicata la retribuzione minima inderogabile secondo l'articolo 36 Cost.
- La decisione della Corte si presenta come intermedia, intervenendo su alcuni aspetti ma non prendendo posizione su altre richieste dei ricorrenti.
- La sentenza è stata ulteriormente impugnata alla Corte di Cassazione, che si è pronunciata il 24 gennaio 2020.
Riconducibilità della gig economy all’eterorganizzazione (Corte D’appello di Torino)
La Corte d’Appello di Torino ha ridisegnato la disciplina applicabile al lavoro su piattaforma (gig work). Il tribunale ha ricondotto la fattispecie all’ambito dell’eterorganizzazione (art. 2.1 d.lgs. 81/2015).
Questa tipologia di impiego si contraddistingue per il requisito dell’eterorganizzazione attribuito a forme di lavoro che, altrimenti, sarebbero nettamente ricondotte all’ambito dell’autonomia.
I riders hanno diritto a una retribuzione proporzionata alle attività di lavoro effettivamente svolte e, non esistendo parametri di riferimento, la Corte d’Appello di Torino assume come parametro il contratto collettivo nazionale del lavoro per la logistica. In mancanza di un’iscrizione sindacale da parte della piattaforma, la Corte ha applicato la suddetta fattispecie servendosi dell’articolo 36 Cost. (retribuzione minima inderogabile). Tutte le altre richieste dei ricorrenti (risarcimento del danno per violazione della privacy, qualificazione del rapporto di lavoro come subordinato, ridefinizione delle norme di sicurezza sul lavoro) non è stata invece esaminata.
Per questo motivo, la soluzione offerta dalla Corte d’Appello di Torino si configura come «intermedia»: da un lato il tribunale è intervenuto in maniera poderosa e decisiva; sotto altri aspetti, invece, la disamina non si è sbilanciata.
Per quanto riguarda il diritto alla reintegra, i ciclofattorini ricorrenti rivendicavano anche l’estensione della tutela reale alla fattispecie del gig work. Dopo il loro ricorso, infatti, la piattaforma aveva disconnesso il loro account, comportamento di fatto analogo al licenziamento.
La Sentenza della Corte d’APpello è stata a sua volta impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione, la quale si è espressa il 24 gennaio del 2020.