Concetti Chiave
- Il patto di non concorrenza deve essere stipulato in forma scritta, pena la sua nullità, come richiesto dall'art. 2125 del codice civile.
- È obbligatorio concordare un corrispettivo per il lavoratore, che può essere un'indennità mensile o una somma una tantum al termine del rapporto di lavoro.
- Il patto deve rispettare limiti precisi di oggetto, tempo e luogo, con una durata massima di 5 anni per i dirigenti e 3 anni per gli altri lavoratori.
- La giurisprudenza richiede che il corrispettivo sia adeguato alla restrizione imposta, preferendo soluzioni una tantum per la loro prevedibilità.
- La violazione del patto può comportare responsabilità per danni secondo l'art. 1218 c.c., spesso accompagnata da una clausola penale dissuasiva.
Patto di non concorrenza
Un divieto di concorrenza può essere previsto anche per la fase successiva alla cessazione del rapporto di lavoro, allorquando l’art. 2105 non è più operante; ma tale ulteriore previsione richiede la stipulazione consensuale di un apposito patto, annesso al contratto di lavoro. L’art. 2125, c.c., disegna la cornice giuridica entro cui il patto di non concorrenza è consentito dall’ordinamento, secondo una logica per cui, posto che tale patto comporta il temporaneo sacrificio del diritto al lavoro, costituzionalmente tutelato, la legge esige che esso sia sottoposto a prescrizioni e limiti, e in particolare che il sacrificio richiesto al lavoratore sia adeguatamente compensato.
Anzitutto, ai sensi del comma 1, il patto deve risultare, a pena di nullità (requisito di forma ad substantiam), da un atto scritto. In secondo luogo, deve essere pattuito un “corrispettivo” a favore del lavoratore, che può consistere in un’indennità mensile, o in un’erogazione una tantum all’atto della cessazione del rapporto. La giurisprudenza ha chiarito che deve trattarsi, sempre a pena di nullità, di un corrispettivo adeguato all’entità del vincolo pattuito, da cui anche la preferenza per le erogazioni una tantum, che rendono più calcolabile il corrispettivo, visto che quelle in corso di rapporto sono legate all’imprevedibile durata di questo. Infine, è previsto che il vincolo a non lavorare in concorrenza deve essere contenuto “entro determinati limiti di oggetto, di tempo, e di luogo”. La locuzione usata è oltremodo generica, e dunque di incerta applicazione. Tuttavia, per i limiti temporali del vincolo, è lo stesso art. 2125, c. 2, a chiarire che la durata dello stesso non può essere superiore a 5 anni, per i dirigenti, e a 3 anni, per gli altri lavoratori (la diversa durata massima si spiega con la minore pericolosità concorrenziale dei non dirigenti). Se è pattuita una durata maggiore, essa si riduce nella misura suindicata, secondo la tecnica della nullità parziale con inserimento automatico della disposizione di legge violata. In caso di violazione del patto di non concorrenza, il lavoratore può essere chiamato a rispondere, ex art. 1218, c.c., dei danni arrecati all’imprenditore; è diffusa, a tale proposito, la previsione di una clausola penale, anche a fini dissuasivi nei confronti del dipendente.Domande da interrogazione
- Quali sono i requisiti formali per la validità di un patto di non concorrenza?
- Qual è la durata massima consentita per un patto di non concorrenza?
- Cosa accade in caso di violazione del patto di non concorrenza da parte del lavoratore?
Il patto di non concorrenza deve essere stipulato per iscritto, pena la nullità, e deve prevedere un corrispettivo adeguato per il lavoratore.
La durata massima è di 5 anni per i dirigenti e di 3 anni per gli altri lavoratori, secondo l'art. 2125 c.c.
Il lavoratore può essere chiamato a rispondere dei danni arrecati all'imprenditore e spesso è prevista una clausola penale a fini dissuasivi.