Andrea301AG
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Concetti Chiave

  • La legge non impone parità di trattamento, ma vieta la discriminazione quando si basa su fattori protetti nel lavoro.
  • La violazione del divieto di discriminazione comporta nullità degli atti e risarcimento del danno alla vittima.
  • Le norme comunitarie hanno un ruolo primario nella regolamentazione dell'uguaglianza nel diritto del lavoro.
  • La discriminazione per sesso o genere è vietata e sancita sia dalla costituzione che dalla normativa europea e internazionale.
  • Il Codice delle pari opportunità distingue tra discriminazione diretta e indiretta, tutelando anche gravidanza e genitorialità.

Parità di trattamento e divieto di discriminazione

La legge non impone la parità di trattamento perché l’adozione di misure diversificate spesso è doverosa al fine di tenere conto delle differenze di capacità, esperienza e impegno. Nel mondo del lavoro, questa differenziazione diviene illecita solo quando si scontra con un fattore protetto.
La violazione del divieto di discriminazione produce diverse conseguenze: in primo luogo, gli atti o i patti stipulati in sua funzione vengono dichiarati nulli; l'autore della violazione, inoltre, è tenuto a risarcire il danno, patrimoniale o non, patito dalla vittima succube della discriminazione.
L'uguaglianza nel diritto del lavoro è regolamentata anche da norme comunitarie, le quali hanno rango di norma primaria: eventuali disposizioni interne in contrasto con esse possono essere disapplicate dal giudice nazionale.
Fra le discriminazioni, la più illecita e importante è quella per sesso o genere.

Essa è vietata dalle disposizioni costituzionali: l'articolo 37 sancisce che la donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni spettanti al lavoratore. Il divieto di discriminazione retributiva è stato fissato anche nella normativa europea e in quella internazionale.

L'ordinamento interno ha disciplinato la materia tramite numerose leggi, confluite nel codice delle pari opportunità tra uomo e donna, emanato nel 2006. L’articolo 25 del Codice considera discriminazione di genere qualsiasi atto o patto che produca un effetto pregiudizievole, discriminando le lavoratrici o i lavoratori in ragione del loro sesso (discriminazione diretta).
Affinché vi sia discriminazione non è rilevante il motivo psicologico di chi ha adottato l'atto o il patto illecito; bisogna tener conto esclusivamente delle effetto discriminatorio causato.
Il codice, inoltre, distingue la discriminazione diretta da quella indiretta: quest'ultima sussiste quando una disposizione, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono il lavoratore di un determinato sesso in una posizione di svantaggio rispetto ai colleghi del sesso opposto. I suddetti atti o patti non si considerano discriminatori solo se costituiscono requisiti essenziali per lo svolgimento dell'attività lavorativa.
Infine, si considera discriminatorio anche ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, di maternità o paternità.

Domande da interrogazione

  1. Qual è la differenza tra discriminazione diretta e indiretta secondo il codice delle pari opportunità?
  2. La discriminazione diretta si verifica quando un atto o patto produce un effetto pregiudizievole discriminando in base al sesso, mentre la discriminazione indiretta avviene quando disposizioni apparentemente neutre svantaggiano un sesso rispetto all'altro.

  3. Quali sono le conseguenze della violazione del divieto di discriminazione nel mondo del lavoro?
  4. Gli atti o patti discriminatori vengono dichiarati nulli e l'autore della violazione deve risarcire il danno subito dalla vittima, sia esso patrimoniale o non patrimoniale.

  5. Come viene trattata la discriminazione retributiva nel contesto normativo?
  6. La discriminazione retributiva è vietata sia dalle disposizioni costituzionali che dalla normativa europea e internazionale, garantendo pari retribuzione a parità di lavoro tra uomini e donne.

Domande e risposte

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