Concetti Chiave
- L'estensione temporale della prestazione lavorativa deve rispettare limiti per tutelare il lavoratore e bilanciare vita professionale e personale.
- La distribuzione del lavoro può avvenire su tre turni: mattina, pomeriggio e notte, seguendo un modello di distribuzione equa delle opportunità.
- La legge del 1923 prevedeva un massimo di 8 ore giornaliere e 48 settimanali, ridotte a 40 ore settimanali con la "settimana corta".
- La direttiva europea 104/1993 ha spinto per riforme legislative sugli orari di lavoro, con recezione in Italia mediante la legge Treu e il d.lgs. 66/2003.
- Nuove modalità lavorative come smart work e lavoro interinale hanno influenzato la gestione degli orari lavorativi.
Estensione temporale della prestazione lavorativa
Uno degli elementi caratterizzanti del rapporto lavorativo è l’estensione temporale della prestazione. Questa estensione deve rispettare dei limiti (come la definizione dell’orario giornaliero e settimanale) al fine di tutelare l’integrità del lavoratore e conciliare la vita professionale con quella personale.
Nel corso della giornata, la prestazione può essere distribuita su un massimo di 3 turni: mattina; pomeriggio e notte.
Negli anni recenti, l’imperversare della disoccupazione ha incentivato la tendenza a favorire o persino ad imporre riduzioni generalizzate dell’orario di lavoro, al fine di distribuire fra il maggior numero possibile di persone le occasioni occupazionali a disposizione.
L’articolo 36.2 della Costituzione italiana impone la necessità di stabilire, per legge, un limite alla durata massima della giornata lavorativa.
Secondo una legge del 1923, l’orario lavorativo poteva avere una durata massima di 8 ore giornaliere e quarantotto settimanali. L’introduzione della cosiddetta «settimana corta», però, ha gradualmente abbassato l’orario settimanale medio a 40 ore.
Le disposizioni contenute nella legge del 1923 hanno mantenuto la propria efficacia fino all’adozione della direttiva europea 104/1993, che ha sollecitato gli Stati a riformare la disciplina inerente gli orari di lavoro.
In Italia, la recezione della direttiva è stata discontinua e graduale:
- l’articolo 13 della legge 197/1996 (legge Treu) ha ridotto l’orario settimanale da 48 a 40 ore;
- il decreto legislativo 66/2003 ha demandato ai CCNL la facoltà di derogare gli orari legali di lavoro. La fonte normativa ha anche posto limiti temporali all’impiego dei lavoratori, al fine di tutelare la loro salute. In particolare, il d.lgs. ha stabilito che la violazione dei suddetti limiti può dar luogo, oltre a richieste di risarcimento, anche all’irrogazione di sanzioni amministrative da parte dell’Ispettorato del lavoro.
Lo sviluppo di nuove forme di lavoro (come lo smart work o il lavoro interinale) ha modificato profondamente la disciplina in materia di orari lavorativi.
Domande da interrogazione
- Qual è l'importanza dell'estensione temporale della prestazione lavorativa?
- Come è cambiata la normativa sugli orari di lavoro in Italia nel tempo?
- Quali sono le conseguenze della violazione dei limiti di orario lavorativo?
L'estensione temporale della prestazione lavorativa è fondamentale per tutelare l'integrità del lavoratore e conciliare la vita professionale con quella personale, rispettando limiti giornalieri e settimanali.
La normativa sugli orari di lavoro in Italia è cambiata con la riduzione dell'orario settimanale da 48 a 40 ore grazie alla legge Treu del 1996 e con il decreto legislativo 66/2003 che ha permesso deroghe tramite i CCNL, ponendo limiti per tutelare la salute dei lavoratori.
La violazione dei limiti di orario lavorativo può portare a richieste di risarcimento e all'irrogazione di sanzioni amministrative da parte dell'Ispettorato del lavoro, secondo il decreto legislativo 66/2003.