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Concetti Chiave

  • L'accidia è descritta come una malattia della volontà, un'insufficienza nell'amore del bene, che Dante riconosce come un peccato spirituale.
  • Dante illustra l'accidia attraverso personaggi che non perseguono con energia e perseveranza gli scopi spirituali, collegando il peccato alla mancanza di fervore religioso.
  • Gli esempi di accidia punita includono gli Ebrei nel deserto e i Troiani che non seguirono Enea, evidenziando la mancanza di decisione nel raggiungere obiettivi spirituali e storici.
  • Dante contrappone la vita contemplativa e attiva, sostenendo che entrambe sono importanti e che il vero bene risiede nel compiere la volontà di Dio in tutti i campi.
  • L'accidia è vista come pusillanimità, una mancanza di coraggio nel perseguire i doveri spirituali, distinta dalla semplice pigrizia e trattata con rispetto nel contesto del Purgatorio.

Indice

  1. Introduzione
  2. Il peccato d'accidia
  3. Esempi di accidia punita
  4. Accidia-pusillanimità

Introduzione

La seconda parte narrativa di questi due canti comprende il racconto della prima sonnolenza che coglie Dante e del sopraggiungere della schiera degli accidiosi (XVIII 87-98); gli esempi di sollecitudine (99-105): il colloquio di Dante con uno degli accidiosi, un abate di S. Zeno a Verona (112-129): gli esempi d'accidia punita (133-138); infine il tramutarsi dei pensieri in sogno (139-145).

Il peccato d'accidia

L'accidia consiste essenzialmente in una malattia della volontà, propria di chi non vede nella vita scopo degno d'essere perseguito, o, vedendolo, non sa perseguirlo con l'energia o la perseveranza necessarie: è il peccato che nella generazione successiva a quella di Dante il Petrarca riconoscerà come il suo principale.

Dante lo definisce proprio nei termini che abbiamo ora detti: nel girone degli accidiosi si espia - egli dice - l'insufficienza dell'amore del bene: «L'amor del bene, scemo / del suo dover, quiritta si ristora» (Pg XVII 85-86); insufficienza di energia morale: Stazio sconta per più di 400 anni, nel girone degli accidiosi, la sua «tepidezza» nel professare il cristianesimo (Pg XXII 88-93).

I teologi e i filosofi maestri di Dante affermavano che l'accidia è contrassegnata dal taedium, dalla tristitia: di ciò il poeta non parla, ma il silenzio non sembra così importante come a molti è sembrato, dal momento che taedium e tristitia (che il Petrarca analizzerà in sé con lucida spietatezza) non costituiscono il peccato, ma la conseguenza di esso, e pertanto non sono indispensabili alla sua definizione.

Accostando tale definizione a quel che segue, e soprattutto a XVII 100-101, in cui è detto che il peccato di accidia si ha quando l'amore «corre nel bene» con minore cura di quel che è necessario, si ha la certezza che il «bene» a cui il poeta si riferisce è quello spirituale, è Dio.

Esempi di accidia punita

A molti è sembrato che a ciò contrastassero sia uno dei due esempi di sollecitudine (la rapidità e decisione dell'agire bellico di Cesare, XVIII 101-102), sia i due esempi di accidia punita: il primo di essi concerne gli Ebrei non abbastanza energici da seguire Mosè sino alla meta, e Dio li puni facendoli perire nel deserto, prima che toccassero la Terra promessa (133-135); il secondo i Troiani che parimenti non seguirono Enea sino in fondo, preferendo restare in Sicilia; rinunciarono così alla gloria di contribuire alla fondazione dell'Impero (136-138).

Questi esempi, si è detto, non attingerebbero la sfera dello spirituale, restando nell'ambito della vita pratica e storica; lo stesso contrapasso (gli accidiosi corrono senza fermarsi neppure per un istante) sembrerebbe confermare l'identificazione dell'accidia con la semplice pigrizia.

Ma per Dante, se la vita contemplativa è «ottima», l'attiva o «civile» è «buona» (Cv II iv 10, IV xvii 10-11) ed egli è ben lontano dal rinnegarla. Per lui il «bene» è unico, e s'identifica col volere di Dio; il peccato di accidia consiste nel non adempiere sino in fondo a questo dovere, in tutti i campi.

Accidia-pusillanimità

Giacché Cesare eseguì con fervore, energicamente, la volontà di Dio che l'Impero fosse fondato; gli Ebrei e i Troiani dei due episodi ricordati, pur apprezzando la meta loro additata da Dio, non furono abbastanza forti da continuare ad affrontare i disagi necessari per raggiungerla. Insomma, l'accidia per Dante è in definitiva pusillanimità: non per nulla la pena di questi accidiosi purgatoriali somiglia molto a quella dei pusillanimi di If III: anche questi corrono senza posa; salvo che il poeta disprezza costoro, non ' si cura di loro, li immagina « stimolati » da fastidiosi insetti; disprezzo che naturalmente non c'è quando egli descrive gli accidiosi del Purgatorio, ormai anime sante.

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